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I vecchi e i giovani



Autore Luigi Pirandello
Prezzo E 8,90
Pagine 464
Data di pubblicazione 2011
Editore Rizzoli
Collana BUR Grandi Romanzi


“Non si tratta di un romanzo storico a sfondo sociale, ma di un romanzo che rientra pienamente nel solco della grande narrativa pirandelliana: romanzo che, poggiando su uno sfondo di eventi sociali, affronta in un’ambientazione inconsueta temi all’autore consueti. Tanto che Leonardo Sciascia potrà affermare tranquillamente che questo romanzo, a una rilettura, gli si rivelò come forse l’opera di Pirandello più pirandelliana.”
(dall'introduzione di Andrea Camilleri)

Dopo lo scandalo della Banca Romana e la repressione nel sangue dei Fasci siciliani, Pirandello scrive il suo unico romanzo storico, doloroso omaggio alla "sicilianitudine", ma soprattutto congedo dall'epopea di Garibaldi, dal Risorgimento e dai sogni della sua giovinezza. Ad animare le vicende del romanzo, che rappresenta l'opera più vasta e complessa di Pirandello, sono aristocratici ancora borbonici, nuovi borghesi arrivisti, plebi inquiete: tutti finiranno trascinati nella polvere. Una scrittura senza un vuoto né un momento di sollievo, che ha il ritmo di una durissima e attuale requisitoria.
Dopo lo scandalo della Banca Romana e la repressione nel sangue dei Fasci siciliani, Pirandello scrive il suo unico romanzo storico, doloroso omaggio alla "sicilianitudine", ma soprattutto congedo dall'epopea di Garibaldi, dal Risorgimento e dai sogni della sua giovinezza. Ad animare le vicende del romanzo, che rappresenta l'opera più vasta e complessa di Pirandello, sono aristocratici ancora borbonici, nuovi borghesi arrivisti, plebi inquiete: tutti finiranno trascinati nella polvere. Una scrittura senza un vuoto né un momento di sollievo, che ha il ritmo di una durissima e attuale requisitoria.


Pirandello contro il Gattopardo

Il giovanissimo Pirandello, prima di partire per Bonn e lì laurearsi, aveva manifestato forti simpatie verso il radicalismo, verso un socialismo più letterario che politico, ferma restando comunque la sua inattaccabile fede patriottica. Rientrato in Italia, ed essendo nel frattempo diventato legale il partito socialista, fino a quel momento fuori legge, Pirandello aveva ripreso i contatti coi suoi amici di tendenza radicale, ora diventati in gran parte socialisti a pieno titolo. Alle elezioni del 1892 non esita a far parte del comitato elettorale di Giuseppe Salvioli, docente universitario a Palermo e candidato dei Fasci, al quale inviò da Roma, dov’era andato a vivere, un telegramma così concepito: «Se voti animo andassero urna, i miei soli assicurerebbero trionfo professor Salvioli». Il quale, però, non venne eletto.
«Pirandello» scrive Gaspare Giudice nella sua esaustiva biografia «odiò la repressione antisiciliana del governo, ma stranamente, almeno in un secondo tempo, quando scrisse I vecchi e i giovani, prosciolse il Crispi dalla responsabilità degli eccidi e delle violenze. Nel romanzo, cioè intorno al 1908, sembra partecipe del riflusso delle simpatie nazionalistiche nei riguardi del Crispi, e gli eleva lodi incondizionate».
Pirandello in politica fu sempre ondivago, anche rispetto al fascismo finì col comportarsi in maniera contraddittoria.
In realtà egli, di fronte alla politica, aveva reazioni non tanto razionali quanto piuttosto emotive, superficiali, addirittura viscerali, perché non era in grado di penetrare in profondità nei problemi, né tutto sommato gliene importava molto, completamente immerso com’era in se stesso e interessato solo alle vicende dei suoi personaggi.
Fu proprio lo scandalo della Banca Romana a fargli nascere la convinzione dell’esistenza delle due generazioni contrapposte. «Schema» nota sempre Giudice «criticamente superficiale, ma suggestivo e custodito a lungo nel cuore».
«E certamente la più autobiografica (a livelli coscienti e subcoscienti)» scriverà ancora Sciascia a proposito di quest’opera. Tra il 1947 e il 1952 il professor Calogero Ravenna si dedica a un’attenta opera di identificazione dei personaggi de I vecchi e i giovani con persone realmente esistite. In altre parole, si tratta di sostituire con veri nomi anagrafici quelli di fantasia che Pirandello, certamente per ragioni d’opportunità, aveva assegnato ai personaggi. Questa ricerca, apparsa su periodici locali agrigentini, non sfugge a Leonardo Sciascia che, dopo averla sottoposta ad attento controllo, ne conferma la validità. [...]
Queste identificazioni concorrono a far sbiadire l’etichetta del romanzo storico che, pure per Sciascia, è una semplice scorza dentro la quale «ribolle a fonderla il magma autobiografico».
Ma a ribollire, nel magma, a far da indispensabile elemento legante è il sentimento di una bruciante e difficilmente attenuabile disillusione.
Si era voluta e pagata «a prezzo di lunghi martirii e di sangue» l’Unità, la si era amata di un amore appassionato e quindi la disillusione successiva era stata pari a quella di un tradimento amoroso. Si era ardentemente sperato che l’Unità realmente avesse significato la liberazione della Sicilia dalla miseria dei contadini, la prosperità dei commerci, il sorgere di piccole attività industriali. Nulla di tutto questo accadde, anzi una serie di leggi improvvide stroncò quel poco che ancora restava, si chiusero i telai, non furono presi provvedimenti governativi a favore delle miniere o della pesca o dell’agricoltura.
Ma la disillusione di Pirandello si estende anche ai riformatori socialisti, che portano alla sconfitta dei Fasci per un eccesso di leggerezza, mancando di una strategia adeguata e di un reale controllo sulle masse.
Perciò «amarissimo» definisce Pirandello, e a ragione, il suo romanzo.
In conclusione, inevitabile è un raffronto tra due principi siciliani, don Ippolito Laurentano de I vecchi e i giovani e il principe di Salina de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Com’è stato già detto, don Ippolito fa del suo feudo di Colimbètra uno scampolo del Regno delle Due Sicilie, un’oasi borbonica, guardata da un manipolo di venticinque uomini in divisa borbonica comandato da un caporale, Sciaralla, che si dà arie di capitano. E certamente il principe non è disposto ad avere contatti coi rappresentanti del governo italiano.
Il principe di Salina, invece, accoglie benevolmente il cavaliere Chevalley, inviato da Torino per proporgli d’accettare la nomina a senatore, ma rifiuta cortesemente, adducendo quelle ragioni che sono diventate un passo classico del romanzo.
Tutti e due, insomma, si sottraggono alla partecipazione alla vita politica. Ma è assai diversa, anzi opposta, la posizione dei due autori nei riguardi di questo rifiuto dei loro personaggi.
Mentre Tomasi di Lampedusa sembra sostanzialmente convenire con le ragioni del principe di Salina, e non poteva essere diversamente dato il comune lignaggio, Pirandello è fortemente critico, e non poteva essere diversamente date le sue profonde convinzioni unitarie.
Infatti, nel romanzo di Pirandello, c’è un episodio estremamente indicativo. Quando Sciaralla, a cavallo della mula Titina, esce da Colimbètra per andare a fare la spesa o per recarsi a Valsanìa, immancabilmente s’imbatte in Marco Prèola, figlio scapestrato del segretario del principe, il quale gli canta una canzoncina da lui composta che comincia così: «Sciarallino, Sciarallino, dove vai con tanta boria, sul ventoso tuo ronzino? Sei scappato dalla storia, Sciarallino, Sciarallino?».
Ma a scappare dalla storia, su quel ventoso ronzino, sembra dire Pirandello, non c’è solo Sciaralla, ma anche il principe Laurentano e il principe di Salina e con loro quasi tutta la nobiltà siciliana, che o non capì la grande occasione che veniva loro offerta o non la volle capire.
Forse se la borghesia illuminata e la nobiltà si fossero venute a trovare dalla stessa parte della barricata...
Ma la Storia, è risaputo, non si fa con i se.

Andrea Camilleri
(brano pubblicato su La Stampa, 26 agosto 2011)



Last modified Sunday, August, 28, 2011