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«Lei poco fa ha detto una parola, piramide. E a me è tornato in mente… Sa che dentro alla
piramide di Cheope nessuno per lungo tempo ci è potuto entrare perché non si riusciva a scoprire
l’accesso? Poi qualcuno ha rotto gli indugi e ha praticato un foro nella parete, foro non
autorizzato dai custodi della piramide. Ma così anche i custodi, che fino a quel momento erano
stati costretti a starsene fuori, poterono penetrare all’interno».
In Una lama di luce avevamo lasciato Montalbano e Livia sconvolti per la fine di François,
il protagonista del Ladro di merendine, il bambino che Livia avrebbe voluto adottare. Livia
non si è mossa da Boccadasse e nelle lunghe telefonate con Salvo mostra tutta la sua prostrazione,
ma in un’alba livida la telefonata di Fazio interrompe il sogno angoscioso di Montalbano per
trascinarlo in una nuova indagine. Sono giorni di pioggia a Vigàta, quegli acquazzoni violenti e
persistenti che non danno requie, fiumane d’acqua scatenata che travolgono case e terreni
lasciando dietro di sé un mare di fango. È in una di queste giornate che un uomo, Giugiù Nicotra,
viene trovato morto in un cantiere, mezzo nudo, colpito da un proiettile alle spalle. Aveva
cercato scampo in una specie di galleria formata da grossi tubi per la costruzione di condotte
d’acqua. L’indagine parte lenta e scivolosa, ma ben presto ogni indizio, ogni personaggio, conduce
al mondo dei cantieri e degli appalti pubblici. Un mondo non meno viscido e fangoso della melma di
cui ogni cantiere è ricoperto.
Districandosi tra tutto quel fango nel quale «sguazzariano» costruttori, ditte, funzionari
pubblici, una cosa Montalbano non riesce a togliersi dalla testa: che Nicotra, il morto, andando
a morire dentro alla galleria, avesse voluto comunicare qualche cosa.
Si sono aperte le cateratte del cielo. I tuoni erompono con fragore. Nel generale ottenebramento, e sotto la pioggia implacabile, tutto si impantana e smotta. Il fango monta e dilaga: è una coltre di spento grigiore sulle lesioni e sulle frane. La brutalità della natura si vendica della politica dei governi corrotti, che non si curano del rispetto geologico; e assicurano appalti e franchigie alle società di comodo e alle mafie degli speculatori. A Vigàta dominano le sfumature opache e le tonalità brune delle ombre che si allungano sull’accavallato disordine dei paesaggi desolati; sui lunari cimiteri di scabre rocce, di cretti smorti, e di relitti metallici che sembrano ossificati. Questa sgangherata sintassi di crepature e derive ha oscuri presagi. E si configura come il rovescio tragico dell’allegra selvatichezza vernacolare di Catarella, che inventa richiami fonici ed equivalenze tra «fango» e «sangue»; e con le confuse lettere del suo alfabeto costruisce topografie che inducono all’errore. Del resto, macchiate di sangue sono le ferite fangose del paesaggio; e l’errore è consustanziale al labirinto illusionistico dentro il quale i clan mafiosi vorrebbero sospingere il commissario Montalbano per fuorviarlo, e convincerlo che il delitto sul quale sta indagando è d’onore e non di mafia. La vicenda ha tratti sfuggenti, persino elusivi. Un giovane ferito a morte ha inforcato una bicicletta e ha pedalato con fatica in quella solitudine di fango. Sua moglie è scomparsa. E con lei un presunto zio, che non ha nome, non ha volto, e non lascia impronte. Ci sono attentati, intimidazioni, delazioni, false confessioni e depistaggi spregevoli. Scorre altro sangue. E c’è una casa dei misteri. Montalbano stenta a farsi un quadro generale della situazione. Conduce le indagini con l’indolenza di chi sbriga una pratica burocratica. È in preda a una morbida malinconia. Pensa con tenerezza e apprensione a Livia lontana, al loro ménage, alla mestizia che asserraglia la donna. Prevale alla fine la saggezza dell’istinto; lo scatto leonino, che gli dà esattezza di visione. Ha nella mente un «romanzo»: il «romanzo» di un segreto, che i clan mafiosi custodiscono e occultano nella lutulenta piramide delle loro criminali macchinazioni. Capisce che deve fare «un buco nella parete della piramide», e decapitarla. Ci riesce con uno «sfunnapedi» o «trainello». Dimostra così la verità degli slarghi narrativi della sua «bella storia», del suo romanzo, della sua «opira di pupi». Intanto la natura si risveglia. Di tra le rughe polverose e le spaccature del fango essiccato, fanno capolino nuovi ciuffi di luminosa erba fresca. Montalbano può correre adesso all’abbraccio con Livia, a Boccadasse.
Salvatore Silvano Nigro
Il 6 giugno 2014 Andrea Camilleri, ospite di
Una Marina di Libri
(il festival del libro di Palermo promosso da
Consorzio Centro Commerciale Naturale Piazza Marina & Dintorni,
Navarra Editore e
Sellerio Editore),
ha presentato il romanzo conversando con Antonio D’Orrico.
Di seguito il video integrale,
filmato da Gaspare Lo Presti del
Camilleri Fans Club.