Mauro Assante è, prima di ogni altra cosa, un uomo serio: ha sempre lavorato con scrupolo estremo, guadagnandosi incarichi di crescente responsabilità nell'istituzione in cui presta servizio, l'authority preposta al controllo della trasparenza delle banche italiane. Si è sposato tardi, con la sola donna che sia riuscita ad aprire una breccia nel suo temperamento ombroso, e ha un figlio piccolo, che trascorre i mesi estivi con la madre, in montagna.
Questa estate Mauro si trattiene in città perché gli è stato affidato il compito di stilare una relazione particolarmente delicata su di un istituto bancario che con ogni probabilità verrà commissariato in seguito alla sua ispezione.
Ma proprio durante queste solitarie giornate di lavoro, nella sua prevedibile esistenza iniziano ad aprirsi minuscole crepe.
Dimentica aperta la porta di casa, riceve una telefonata beffarda, si convince di essere seguito da un uomo in motorino. Soprattutto, riceve la visita di una meravigliosa ragazza che evidentemente ha sbagliato indirizzo. Strano, ci dev'essere stato un errore. Ma dalla vita di Mauro Assante gli errori erano sempre stati banditi; così come sarebbe bandito il batticuore che invece lui prova quando, poche sere dopo, rincontra per caso quella stessa ragazza bionda...
L'estate avanza, le temperature aumentano, la stesura della relazione si fa più complessa e con essa l'ansia di consegnare tutto senza sbavature, senza condizionamenti. Mauro non può fare a meno di incamminarsi lungo il sentiero scivoloso di un'altra relazione: ancor più segreta, infinitamente più appassionata, terribilmente pericolosa.
In un crescendo hitchcockiano di indizi, ombre, piccole crepe quotidiane che lasciano intravvedere un baratro vertiginoso, Camilleri dà vita a un romanzo ad altissima tensione, tutto giocato sul sottile confine che separa la verità dall'apparenza, la giustizia dal torto – l'onestà dalla perdizione.
La relazione burocratica e quella tra un uomo e una donna finiscono per intrecciarsi, come la paura e il desiderio, in un romanzo più che mai attuale ma che è al tempo stesso la parabola senza tempo di un uomo solo di fronte a un compito più grande di lui, di un uomo onesto circondato dalla invisibile ragnatela della corruzione.
Camilleri parla del romanzo al TG1, intervistato da Vincenzo Mollica (17.1.2015)
Mauro ha gli occhi affaticati. Distoglie lo sguardo dallo schermo, manca qualche minuto alle sette e mezzo, è dalle tre del pomeriggio che lavora ininterrottamente al computer, scrivendo, cancellando, riscrivendo, modificando, pesando ogni parola, ogni aggettivo. Per non essere disturbato, ha alzato una barriera di silenzio, staccando la spina del telefono fisso e spegnendo il cellulare. Addirittura, ha tirato un po’ le tende e ora accende il lume da tavolo, intenzionato a continuare per un’altra mezzoretta. Rilegge l’ultima frase che ha scritto. Non funziona, troppo contorta e lunga, sarebbe meglio dividerla in due periodi.
Il trillo del campanello è stato così breve che Mauro rimane indeciso se abbiano bussato o no. Resta per qualche istante col busto eretto, la testa sollevata dallo schermo in attesa di un secondo trillo di conferma che però non arriva. Ha appena ripreso a leggere che il suono si ripete. Breve come il primo, quasi che la persona che bussa sia intimorita da ciò che sta facendo.
Stavolta Mauro si alza, esce dallo studio, percorre il corridoio, accende la luce dell’anticamera, apre la porta. È certo di trovarsi davanti l’anziana Baronessa scesa dal piano di sopra per rinnovare l’invito a cena. Invece la donna che ha bussato e che gli sorride è una trentenne alta, bionda, elegante e soprattutto molto, molto bella.
«Eccomi qua» dice. «Puntualissima».
Mauro è senza parole, confuso e sorpreso, quella ragazza gli è perfettamente estranea. Mai vista prima, ne è certo. Una donna così, se l’hai incrociata anche una sola volta, impossibile dimenticarsela. E non può nemmeno essere una delle poche amiche di sua moglie perché quelle le conosce tutte.
«Non mi lascia entrare?» domanda la bionda avanzando di mezzo passo e accentuando il sorriso.
Mauro adesso ne sente il profumo. Leggero ma insinuante.
«Credo che lei si stia sbagliando» dice brusco senza riuscire a distogliere gli occhi da quelli di lei, due sereni laghi azzurri.
Il sorriso della donna si spegne immediato, viene sostituito da una espressione perplessa. C’è una nota allarmata nella sua voce. «Non è stato lei a telefonare all’agenzia?»
«Non ho telefonato a nessuna agenzia.»
Ora gli occhi della ragazza si fanno sospettosi.
«Non ha per caso cambiato idea e...»
Su cosa avrebbe cambiato idea?
«Non so di che stia parlando» dice irritato.
«Allora mi sono sbagliata, mi scusi» fa la donna.
Gli volta decisa le spalle, percorre il pianerottolo, comincia a scendere le scale.
Solo quando è sparita Mauro chiude la porta. Non ha potuto fare a meno di restare a guardarla, affascinato, mentre s’allontanava.
Dopo dieci minuti che ha ripreso a lavorare, è costretto a prendere atto che per quella sera gli sarà difficile continuare, il filo del complesso ragionamento che stava intessendo si è irrimediabilmente spezzato per l’imprevista intrusione di quella sconosciuta. È venuta l’ora di ricollegarsi col mondo. Spegne entrambi i computer, reinserisce la spina del telefono, accende il cellulare.
Allora mi sono sbagliata, mi scusi.
Un momento. Che significa che si è sbagliata? O meglio: come ha fatto a sbagliare?
Lui, Mauro Assante, vive da sette anni con la moglie Mutti e il figlio Stefano al primo piano di una superstite palazzina liberty del romano quartiere Prati. Al piano terra abita il colonnello dei carabinieri Germani con la moglie e la figlia diciottenne; al secondo e ultimo l’ottantenne Barone Ardigò con la moglie Margherita. La palazzina non ha portiere, spetta al colonnello Germani aprire il portone alle sette del mattino e richiuderlo alle otto di sera. Fuori, accanto al portone, ci sta il citofono con i cognomi degli inquilini. Ipotesi improbabile che quella donna fosse stata chiamata da Germani o da Ardigò. Quindi la sconosciuta avrà fatto confusione non coi cognomi o coi piani, bensì col numero civico, anche se sarebbe bastato descriverle la palazzina per metterla in condizioni di non sbagliare.
È sorpreso da un improvviso e irresistibile bisogno di fumare. Ha smesso da cinque anni, perché allora questa voglia irrazionale? Sa di avere, nel secondo cassetto della scrivania, un pacchetto di sigarette mai aperto. Lo prende, lo posa davanti a sé, l’osserva. IL FUMO UCCIDE. Sorride. La frase minacciosa potrebbe essere facilmente stravolta. IL FUMO UCCIDE LA NOIA.
Strappa l’involucro di cellophane, apre il pacchetto, ne estrae una sigaretta, se la mette tra le labbra ma non può accenderla perché non ha accendini o cerini a portata di mano. Si ricorda di aver notato una scatola di fiammiferi ma non ha voglia di alzarsi. Se lo vedesse Mutti! Già, Mutti. Forse la spiegazione del suo disagio consiste nel fatto che è la prima volta, in sette anni di matrimonio, che è costretto a vivere separato da lei per un lungo periodo. Il pediatra di Stefano ha detto che al bambino avrebbe portato gran giovamento l’aria di montagna e Mutti non se l’è fatto ripetere due volte.
Il primo di giugno se ne è andata con Stefano nel paesino del Trentino dove è nata e dove vivono i suoi genitori, col proposito di restarci almeno tre mesi filati. Mauro passerà con loro le vacanze agostane.
Ecco: sono trascorse già due settimane e Mauro non riesce ancora a ritrovarsi nella condizione, sia pure provvisoria, di scapolo. Se fosse un uomo meno metodico e meno ordinato di quello che è, il cambiamento dei ritmi della sua vita sarebbe stato più sopportabile. Il lavoro, certo, l’impegna molto, sia nelle ore d’ufficio sia a casa, ma l’impiego delle ore serali rappresenta un autentico problema. Le amiche di Mutti hanno fatto a gara per invitarlo a casa loro, ma lui non se l’è sentita di andarci da solo. Perché, e se ne rende conto solo adesso, in quelle cene, in quegli incontri, è stata sempre Mutti a offrirgli un pretesto per coinvolgerlo nella conversazione,
altrimenti avrebbe fatto scena muta. Non per timidezza, ma per la sua innata incapacità di aprirsi interamente agli altri. Mutti invece, fin dalla prima volta che ha scambiato poche parole con lui, ha saputo miracolosamente trovare la chiave giusta per liberarlo dalla sua blindatura.
Se, a quarant’anni compiuti, non avesse incontrato Mutti, di certo non si sarebbe mai sposato, mai avrebbe avuto la gioia di un figlio.
Si toglie la sigaretta dalle labbra, la rimette dentro il pacchetto e lo seppellisce nuovamente nel cassetto.
Il trillo del campanello lo fa sobbalzare. Immagina per un attimo di trovarsi di fronte la sconosciuta. Un’alterazione minima del battito del cuore. Va ad aprire. La Baronessa Margherita Ardigò lo fissa imperiosa.
«Se tra dieci minuti non sale su a cenare con noi non le rivolgerò mai più la parola.»
È stata Mutti a raccomandarlo alla Baronessa e quella ha preso sul serio il compito assegnatole. Non può sottrarsi, rifiutare per la terza volta l’invito suonerebbe come un’offesa ingiustificata.
(Incipit pubblicato su
Il Sole 24 Ore - Domenica, 4.1.2015)
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Con una Nota di Antonio Franchini
«Un romanzo aspro, mai sfiorato da quell’ironia che in Camilleri attenua anche i passaggi in cui indignazione civile e condanna morale si fanno evidenti. In tutte queste pagine è lo stesso italiano standard che inaugura una tonalità fredda, ostile, una dimen-sione di distaccata ufficialità rara da incontrare nelle altre opere di Camilleri, dove la burocrazia, il decoro statale, la pompa cerimoniale, pur manifestandosi spessissimo, si caricano sempre di risonanze grottesche, risibili, a volte addirittura affettuose, mai di una condanna così inappellabile, così gelidamente espressa».
Antonio Franchini
La relazione (pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2014) appartiene al gruppo di romanzi che Camilleri scrive in un limpido italiano, abbandonando, solo per un momento, il vigatese, la sua lingua d’invenzione e di elezione. Il perché di questa scelta risiede nella materia stessa del romanzo, si tratta di una storia borghese, ambientata nell’Italia contemporanea e non in Sicilia. A Mauro Assante, integerrimo funzionario, viene affidato un incarico delicato: scrivere una relazione sulla Banca Santamaria su cui si allungano le ombre dell’illegalità. In una rovente estate romana, con moglie e figlio al mare, Assante comincia a stendere il suo rapporto, ma si ritrova al centro di impalpabili manovre che paiono volerlo far desistere dal condurre a termine il lavoro. La visita di una bellissima quanto sconosciuta ragazza, strane telefonate, sottili allusioni, lettere anonime precipitano il funzionario in un intrigo in cui rimane fatalmente impigliato. «Mi interessava provare a scardinare tutte le certezze di un uomo come Assante nell’Italia di oggi. Volevo capire come una vita così strutturata, così razionale possa essere sconvolta e scardinata dall’irrazionale». La relazione è insieme thriller, romanzo psicologico, riflessione sul potere, e vi emerge forte la passione di Camilleri per il teatro e la sua inclinazione per i temi civili e politici.
La lingua della crisi, l'abito del lutto
Nel 2014 Andrea Camilleri pubblica La relazione, terzo di un gruppo di
cinque romanzi, dopo Un sabato, con gli amici (2009) e L’intermittenza
(2010), e prima di Il tuttomio (2013) e Noli me tangere
(2016). Tutte uscite per la prima volta da Mondadori, sempre nel mese di gennaio
dei rispettivi anni di edizione, queste opere costituiscono, all’interno del
corpus camilleriano e nelle intenzioni dello stesso scrittore, una sorta di
blocco narrativo a sé stante definito, con un’oggettività poco brillante ma
difficile da aggirare: «la serie dei romanzi in italiano».
Al di là della lingua
usata, un italiano assolutamente, dichiaratamente standard, nel senso che sembra
quasi voler sottolineare l’obbedienza alla norma almeno tanto quanto tutte le
altre opere se ne allontanano, questi cinque romanzi sono accomunati da molto
altro: sono piuttosto brevi, hanno temi rigorosamente contemporanei, sono
veloci, caratterizzati da una rapidità che li avvicina non solo al passo di una
sceneggiatura ma a un ritmo, un respiro quasi teatrale. E poi sono romanzi
borghesi: borghesi i protagonisti (direttori di banca, manager, magistrati,
professionisti), borghesi le loro donne dalla sensualità accesa, spesso
capricciosa e distruttiva, ma atteggiata in maniera infantile, bamboleggiante,
come per compiacere il modello di erotismo prediletto dai loro uomini che le
vorrebbero sempre disponibili e sottomesse. Infine, sono tutti romanzi aspri,
mai sfiorati da quell’ironia che in Camilleri attenua anche i passaggi in cui
indignazione civile e condanna morale si fanno evidenti.
In tutte queste pagine
è lo stesso italiano standard che inaugura una tonalità fredda, ostile, una
dimensione di distaccata ufficialità rara da incontrare nelle altre opere di Camilleri, dove la burocrazia, il decoro statale, la pompa cerimoniale, pur
manifestandosi spessissimo, si caricano sempre di risonanze grottesche,
risibili, a volte addirittura affettuose, mai di una condanna così
inappellabile, così gelidamente espressa.
In realtà è molto interessante notare
come il primo di questi romanzi compatti e tanto strettamente legati l’uno
all’altro che alcuni personaggi, soprattutto femminili, quasi potrebbero migrare
senza grandi sconvolgimenti da una storia all’altra, abbia avuto un’origine
curiosa, addirittura casuale. Un sabato, con gli amici nasce perché
Camilleri è rimasto molto impressionato dalla lettura de La solitudine dei
numeri primi di Paolo Giordano, appena pubblicato con grande successo e
vincitore del Premio Strega. Il dettaglio che, soprattutto, intriga Andrea e lo
sollecita a lavorare su una storia che vada nella stessa direzione è come un
evento traumatico, capitato a uno o a più personaggi nell’infanzia o
nell’adolescenza, ne possa condizionare senza scampo tutta la vita successiva.
Che un autore anziano e ormai da tempo investito da un successo senza precedenti
possa essere curioso dell’opera di un autore giovanissimo al punto da farsene
apertamente ispirare testimonia nel modo migliore l’apertura dell’uomo e la sua
generosa disponibilità; ma ritornando al tema e isolando La relazione da
questo blocco di romanzi non possiamo non notare come anche la storia di Mauro
Assante, «funzionario integerrimo, sposo e padre ineccepibile, nessun vizio»,
incaricato di condurre un’ispezione sulla chiacchierata Banca Santamaria,
richiami la vicenda reale raccontata da una delle narrative di inchiesta più
importanti della letteratura italiana recente: Un eroe borghese di
Corrado Stajano (1991). Come l’avvocato Giorgio Ambrosoli è incaricato dalla
Banca d’Italia di liquidare l’impero bancario di Michele Sindona, così Mauro
Assante si immerge nel suo lavoro da solo e con dedizione assoluta. L’indagine
comincia, come è buona tradizione cinematografica, mentre la moglie è in
vacanza, nella semideserta città estiva, quando qualunque evento straordinario è
più facile a prodursi per la momentanea latitanza della struttura difensiva
costituita dalla famiglia e, in qualche modo, anche dalla stessa città che, una
volta svuotata, è come se lasciasse affiorare pericoli e trappole, laddove i
radi passanti non potendo più confondersi nella folla si trasformano subito in
presenze ammonitorie, apparizioni, minacce.
Così Mauro Assante si sente preso di
mira, ma in maniera indiretta e tortuosa, al punto che i segnali che gli vengono
inviati sembrano piuttosto eventi strani, manifestazioni incongrue, piccoli,
inspiegabili strappi nel tessuto della sua fino a quel momento tranquilla,
prevedibile quotidianità. Come la visita della bellissima ragazza che una
mattina gli suona alla porta di casa convinta di avere un appuntamento con lui.
Carla è una femme fatale della stessa famiglia della Renata di Un
sabato, con gli amici, della Licia de L’intermittenza, della
ingenuamente perversa Arianna ne Il tuttomio e della inafferrabile Laura,
protagonista di Noli me tangere.
Nei romanzi italiani di Camilleri la
donna non ha l’erotismo solare, anche se talvolta pericoloso, che caratterizza
le numerose figure femminili della serie di Montalbano o dei romanzi storici, ed
è invece, sempre, una presenza tanto seducente quanto distruttiva offrirsi, è in
realtà strumento di morte.
La devastazione morale di tutti i personaggi di Un
sabato, con gli amici, la finanza senza scrupoli de L’intermittenza,
il malaffare tra politica e mondo delle banche de La relazione, la
depravazione che ne Il tuttomio richiama esplicitamente il famoso delitto
Casati Stampa che nel 1970 aveva scandalizzato l’Italia borghese e senz’altro
impressionò Camilleri tanto che alcuni aspetti di quella stessa vicenda si
possono leggere anche nel rapporto tra l’anziano scrittore e l’inquieta Laura di
Noli me tangere, sono altrettanti tasselli di un dramma unico in cinque
atti, una specie di Italian decadence senza speranza, forse anche perché
qui non c’è un eroe come Salvo Montalbano, per quanto umano e imperfetto possa
essere, a interporre un argine di onestà, un baluardo di decoro al dilagare del
cinismo.
È probabile che all’umor nero che pervade queste opere abbia
contribuito una delusione profonda e l’avversione al nuovo corso della politica
italiana che Camilleri non ha mai nascosto e che, anzi, ha fatto irruzione più
volte nelle pagine dello stesso Montalbano, personaggio la cui personalità è
influenzata, afflitta e modificata dagli eventi esterni, a differenza del
Maigret dell’amato Simenon che non viene mai scalfito dalla storia del suo
paese.
Allo stesso modo, l’aspetto erotico è importantissimo in tutti e cinque
questi romanzi borghesi, che risentono spesso di echi moraviani, un’influenza
evidente e mai sufficientemente sottolineata. L’eros rappresenta il
catalizzatore della crisi, l’elemento dirompente che ne La relazione
investe perfino il titolo, volto a sottolineare l’ambiguità tra la relazione da
scrivere e quella extraconiugale, con la seconda destinata a travolgere la
prima, schiantando il matrimonio di un uomo tanto legato al dovere e alla
famiglia da chiamare «Mutti» (mamma, in tedesco) la moglie che,
all’inizio della storia e prima della discesa agli inferi, è, non a caso, quasi
più materna confidente che partner amorosa. Ma il lavoro sul personaggio, anche
qui come sempre in Camilleri, non è mai frettoloso, mai imbocca scorciatoie
convenzionali. E così, l’abitudinario Mauro Assante, sempre bisognoso di
assistenza e di conforto nonostante sia dotato di assoluta onestà professionale
- un quadro psicologico che farà esclamare a uno dei suoi colleghi: «lasciatelo
dire senza offesa, sei anche ‘nu poco fesso…» - finirà col riprodurre anche con
la bellissima Carla lo stesso rapporto che ha con la moglie Mutti: «A lei non
intende rinunziare per nessuna ragione al mondo. Carla è l’unica persona che in
questi amari frangenti gli sia stata fedelmente a fianco, consigliandolo,
proteggendolo anche, condividendo tutto, offrendogli persino il suo corpo per
regalargli qualche ora di pura felicità...».
Si potrebbe credere, confrontando
queste opere secche e taglienti con le evoluzioni armoniose dello stile del Camilleri classico fondato su una lingua che conserva la ricchezza del suo
dettato anche nei momenti più risentiti, che quello dei «romanzi italiani» sia
un Camilleri minore. Confesso di averlo pensato anch’io, in passato, ma non è
così. È un equivoco che può nascere perché in queste storie è come se il disegno
della trama, non ricoperto dalla rigogliosa carne dello stile cui il lettore si
è assuefatto, affiorasse con un’evidenza ruvida, scheletrica. La prevalenza
dell’intreccio sulla lingua però è voluta e non si deve a una rinuncia
espressiva ma all’esigenza di privilegiare un meccanismo implacabile e in
qualche modo scandaloso, affinato in anni di lavoro di sceneggiatore la cui
creatività doveva essere stata tenuta a freno non poco dal perbenismo della
televisione degli anni Sessanta.
E così, in un singolare rovesciamento, mentre
le storie si scatenano in una direzione morbosa e nera, la lingua italiana
diventa il vestito ufficiale, l’abito delle cerimonie che i personaggi di questo
collettivo De profundis indossano per partecipare al funerale dell’etica
e di ogni civile speranza.
In questo senso, i «romanzi italiani» hanno un
precedente, una specie di prova generale. Si tratta di Il tailleur grigio,
uscito nel 2008, un anno prima di Un sabato, con gli amici nella stessa
collana.
Il tema - il rapporto tra un uomo, direttore di banca appena andato in
pensione, e la sua giovane e bellissima moglie Adele, che lo tradisce senza
tuttavia mai venir meno ai suoi doveri coniugali - è già analogo a quello dei
futuri romanzi italiani, anche se la lingua è formalmente ancora quella classica
di Camilleri. Formalmente, perché già in queste pagine l’italiano tende ad
allargarsi e a occupare spazi sempre maggiori, presago della sua cupa, ipocrita
funzione regolativa. Avendo rimosso il pensiero della pensione, in quello che
dovrebbe essere il suo primo giorno di libertà, il protagonista Febo Germosino
si veste esattamente come se dovesse ancora partecipare a un consiglio
d’amministrazione: «completo grigio scuro, cammisa bianca, cravatta severa».
Mentre il tailleur grigio del titolo è l’abito che Adele indossa quando qualcuno
vicino a lei è in procinto di morire: «Perché era chiaro che quel tailleur lei
l’usava solo come doppo lutto stritto o come prelutto».
Ecco, si potrebbe
concludere così: che l’italiano di cui si veste la lingua usata per scrivere
questi romanzi è l’«abito scuro», il «tailleur grigio» che Camilleri fa
indossare ai suoi uomini e alle sue donne per presenziare alla fine della
solidarietà umana, alla morte dell’anima. Antonio Franchini (pubblicata
su
La Stampa - Tuttolibri, 19 aprile 2025,
col titolo
Eros e decadenza nei drammi borghesi del Camilleri italiano)
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