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La rete di protezione



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 14,00
Pagine 304
Data di pubblicazione 25 maggio 2017
Editore Sellerio
Collana La memoria n.1066
e-book € 9,99 (formato epub, protezione acs4)


Vigàta è in subbuglio: si sta girando una fiction ambientata nel 1950. Per rendere lo scenario quanto più verosimile la produzione italo-svedese ha sollecitato gli abitanti a cercare vecchie foto e filmini. Scartabellando in soffitta l’ingegnere Ernesto Sabatello trova alcune pellicole, sono state girate dal padre anno dopo anno sempre nello stesso giorno, il 27 marzo, dal 1958 al 1963. In tutte si vede sempre e soltanto un muro, sembra l’esterno di una casa di campagna; per il resto niente persone, niente di niente. Perplesso l’ingegnere consegna il tutto a Montalbano che incuriosito comincia una indagine solo per il piacere di venire a capo di quella scena immobile e apparentemente priva di senso. Fra sopralluoghi e ricerche poco a poco in quel muro si apre una crepa: un fatto di sangue di tanti anni fa, una di quelle storie tenute nell’ombra. Ma non c’è tempo per arrivare a una conclusione del mistero perché il clima di allegra sovraeccitazione che regna a Vigàta invasa dalla troupe della fiction viene sconvolto da un episodio tanto grave quanto indecifrabile: nella scuola media irrompono uomini armati e mascherati, si dirigono nella III B, minacciano; poi in fuga esplodono alcuni colpi di pistola. Il Questore coinvolge l’antiterrorismo ma Montalbano, che sa indagare fra le pieghe dell’animo umano, capisce che tutto potrebbe avere a che fare proprio con la scuola, frequentata tra gli altri da Salvuzzo, il figlio di Mimì Augello. Eccolo allora immergersi nel mondo per lui nuovo dei social, fra profili facebook, twitter e blog, dimostrando, anche senza l’aiuto di Catarella, di districarsi a dovere.



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Una quotidianità sventatamente rapinosa, da fiera o luna park, sconcia Vigàta. Il villaggio è diventato il set di una fiction prodotta da una televisione svedese. Per falsare il paesaggio urbano e riportarlo indietro, fino agli anni Cinquanta, i tecnici si sono ispirati ai filmini amatoriali recuperati dalle soffitte. La mascherata cinematografica prevede di coinvolgere persino il commissariato, messo a rischio di subire l'oltraggio di un'insegna che lo dichiara «Salone d'abballo». Un'eccitazione pruriginosa monta attorno alle attrici svedesi e minaccia gli equilibri coniugali. Durante il ricevimento per il gemellaggio tra Vigàta e la baltica Kalmar arriva anche il finger food. Montalbano ribolle d'insofferenza; gli appare «tutto fàvuso». Temperamentoso com'è, cerca luoghi solitari. E tiene testa alla situazione. Dalla polvere di scartoffie dimenticate sono emersi, durante la ricerca delle domestiche pellicole d'epoca, sei filmini datati che, per sei anni di seguito, sempre nello stesso giorno e nello stesso mese, riprendono con ossessione il biancore ottuso di un muro. Montalbano è sfidato a leggere dentro quello spazio vuoto e rituale la trama, il giallo che si dà e si cancella: angosciosamente schivo ed enigmatico; forse intollerabile. Diversamente peritosa è l'altra inchiesta che, attraverso un episodio di bullismo misteriosamente complicato da una incursione armata a scuola, porta Montalbano a misurarsi generosamente (lui non più giovane) con l'intensità sagace e luminosa di adolescenti che socializzano attraverso skype; e, con lo slancio fiducioso di nuovi argonauti, affidano la loro fragile tenerezza all'avventura della rete.
Fra argute intemperanze e astuzie varie, Montalbano riafferma le sue qualità rabdomantiche che lo fanno archeologo di trame sepolte e di esistenze nascoste, oltre che sottile e lucido analista di quella «matassa 'ntricata che è l'anima dell'omo in quanto omo». Irritato dalla volgarità geometrica e aggressiva del falso, si prodiga per risolvere due casi delicatissimi collocati in quella plaga morale, labile e sfumata, che non rende mai del tutto colpevoli o del tutto innocenti ed esige indagini riguardose ed emozionalmente partecipi: tra «protezione» e verità rivelata (ovvero scoperta e di nuovo velata, per non renderla insopportabile o sconvenientemente perniciosa). Non stupisce che Montalbano, in questo grande romanzo dell'introspezione, e del confronto pensoso con il disagio, si dichiari lettore e ammiratore della commedia di Jean Giraudoux,
La guerra di Troia non si farà; e citi la battuta con la quale Ulisse si congeda da Ettore, ricordando le rispettive mogli per rendere intimamente credibile la solidarietà data affinché la guerra non ci sia: non è questione di semplice «noblesse», di generica nobiltà d'animo, dice; e tira fuori la carta segreta: «Andromaca ha lo stesso battito di ciglia di Penelope».
Salvatore Silvano Nigro


La sveglia si misi a sonare di malo.
Montalbano, ancora con l'occhi chiusi, stinnì 'na mano verso il commodino e, tastianno, circò d'astutarla scantannosi che la rumorata arrisbigliasse a Livia che gli dormiva allato.
Ma le sò dita ncontraro un bicchieri che prima s'arrovisciò e po' cadì 'n terra.
Santiò. E subito sintì a Livia che arridacchiava. Si girò verso di lei.
«Ti ha svegliato la...?».
«No, lo ero da un pezzo».
«Davvero? E che facevi?».
«Cosa volevi che facessi? Aspettavo la luce del giorno e ti guardavo».
Montalbano pinsò che la sò testa, taliata di darrè, doviva essiri un paisaggio monotono.
«Lo sai che negli ultimi tempi mentre dormi talvolta ti capita di fischiettare?» spiò Livia.
A 'sta rivelazioni, Montalbano, va' a sapiri pirchì, s'irritò.
«Come faccio a saperlo se dormo? E poi sii più precisa: fischietto canzonette, opere liriche o cosa?».
«Calma, non ti sarai offeso, spero! Mi spiego meglio: certe volte emetti una specie di fischio».
«Col naso?».
«Non lo so».
«La prossima volta stacci attenta se fischio col naso o con la bocca e poi me lo dici».
«Ma fa differenza?».
«Sì, grandissima. Mi ricordo di avere letto qualcosa su un tale che aveva un fischio al naso che poi si rivelò un sintomo letale».
«Ma dai! A proposito, ho fatto un brutto sogno».
«Me lo vuoi raccontare? ».
«Stavo seduta a leggere in una verandina identica alla nostra che però dava sulla banchina del porto. A un tratto sento delle voci concitate e alzo gli occhi. Vedo un uomo che grida aiuto inseguito da un altro che gli intima di fermarsi. Quello che scappa ha in testa un foulard, una bandana, qualcosa annodato sotto il mento. L'inseguitore ha una larga cintura nella quale sono infilati una gran quantità di lunghi coltelli. A un certo momento l'inseguito si trova davanti la fiancata di un barcone. Ha un attimo d'esitazione e l'inseguitore ne approfitta per lanciargli un coltello che raggiunge l'uomo alla nuca, la trapassa e, uscendo dalla gola, l'in-chioda contro il legno della fiancala. Una cosa orribile. Allora l'inseguitore si ferma e si mette a lanciare altri coltelli verso la vittima disegnandone il contorno del corpo. Poi, di colpo, si volta verso di me avanzando di un passo. E qui. per fortuna, mi sono svegliata».
«Ieri sera ci abbiamo dato dentro coi polipetti!» fu il commento di Montalbano.
«E tu hai sognato?» addimannò Livia.
Fu in quel priciso momento che la sveglia sonò. Ma com'era possibili? Se l'aviva fatto cinco minuti prima!
Ancora 'ntronato dal sonno il commissario raprì l'occhi e subito accapì d'essiri sulo nel letto. Livia non c'era, si nni stava a Boccadasse. Si era 'nsognato tutto, compreso il sogno di Livia.
Si susì, annò 'n cucina, si priparò la solita cicaronata di cafè e po' annò a 'nfilarisi sutta alla doccia. Tanticchia cchiù tardo, si nni stava a fumarisi la sicaretta che ac-compagnava il cafè assittato nella verandina. La jornata s'apprisintava di prima qualità. Ogni cosa pari va pittata di frisco, tanto era addrumata di colori.
Non aviva nisciuna gana di annare a Vigàta, o almeno in quella che fino a qualichi jorno avanti era stata Vigàta. Pirchi in realtà ora il paìsi aviva cangiato completamente di facci, era. come dire, arretrato nel tempo, tornanno ad essiri la Vigàta dell'anni Cinquanta.
A Montalbano la facenna dava fastiddio assà pirchi gli pariva tutto fàvuso, come se fusse stato dintra a 'na festa maschirata di cannalivari.
La storia era principiata quattro o cinco misi avanti quanno che «Televigàta» aviva nvitato i sò ascoltatori a circari 'n casa i vecchi filmini superotto, che erano stati tanto dì moda intorno alla mità del secolo passato, e a mannarli 'n redazioni. Ci avrebbiro po' fatto 'na trasmissioni, 'na speci di «Come eravamo» e di come s'apprisintava il paisi nell'anni Cinquanta.
Va' a sapiri pirchì e va' a sapiri pircomo, l'iniziativa aviva avuto un successo clamoroso. Forsi a scascione del fatto che la cosa era addivintata un motivo di divertimento per la genti che se la scialava a vidiri la trasformazioni che il tempo aviva fatto a loro stissi o ai loro figli quanno erano ancora nìcareddri. Picciliddri che parivano beddri come angileddri scinnuti allura allura do cielo si erano stracangiati in omini anziani, sdintati, malatizzi, senza capilli, e fimmine che erano state la luci del paisi, ora erano vicchiareddre che potivano mittirisi a fare la quasetta.
Po', appresso, si era scoperto che tutto 'sto mutuperio in realtà aviva 'no scopo priciso: tutto il materiali doviva sirviri come traccia a 'na truppi tilevisiva che sarebbi vinuta 'n paisi per fari quella che oggi s'acchiama 'na ficzion.
Puntualmenti, doppo qualichi tempo, erano arrivati i tecnici della truppi, mità svidisa e mità taliàna.
Ora, la cosa straordinaria era che tra i tecnici svidisi c'erano certe fimminazze da livari il sciato che facivano strambi mesteri: aiuto scenografe, tecniche del sono, machiniste... e via di 'sto passo. Onde per cui lo strammamento della genti 'n paisi che a vidiri lavoranti accussì beddre s'addimannava cosa potivano essiri le attrici quanno che sarebbiro arrivate.
E 'nfatti, quanno che arrivaro, il travaglio a Vigàta s'apparalizzò.
La genti con un pretesto qualisisiasi lassava a mezzo quello che stava facenno e curriva a vidiri girari le scene della ficzion. Tanto che era stata richiesta la forza pubblica per tiniri luntani i curiosi. E la forza pubblica, naturalmenti, s'era 'mpirsonifìcata soprattutto nella pirsona di Mimì Augello, mittuto a capo dell'agenti che protiggivano la truppi, e in special modo le attrici.
'Nzumma, a farla brevi, nel commissariato erano ristati praticamente in tri: lui, Fazio e Catarella. E meno mali che era un periodo di stanca e non capitava nenti.
Il paisaggio di Vigàta era cangiato: via le antenne televisive, scomparuti i cassonetti della munnizza e le 'nsegne al neon, non era sopravvissuto manco uno dei negozi che Montalbano accanosciva.
Il commissario si era fatto contare la trama della ficzion: era 'na storia ambientata appunto nell'anni Cinquanta, indove 'na pìcciotta svidisa 'mbarcata come nostromo supra a un vapori provenienti da Kalmar, duranti la navicazioni si era malata gravi ed era stata perciò arricoverata allo spitali di Montelusa.
'Na vota 'n saluti si nni era scinnuta a Vigàta, per stari vicino al porto, e aviva attrovato ospitalità in una casa di piscatori, aspittanno il ritorno della sò navi.
Per una catina di fatti contrari, il vapori però tardava a tornari e la svidisa s'era 'ntanto 'nnamurata di un picciotto vigatisi e s'era fatta 'na vita 'n paisi, avenno sempre però, in funno al core, la sigreta spranza che la navi se la annasse a ripigliari.
E 'sta spranza continua a mantiniri macari quanno si marita e quanno avi un figlio.
Finalmenti arriva il jorno che la navi s'arripresenta e la picciotta addicidi di 'mbarcarisi ammucciuni dalla famiglia. S'appatta con un marinaro che la porta con la sò varca fino a sutta alla navi, ma all'ultimo minuto la svidisa ci ripensa, e toma narrè, nella sò casa di Vigàta.
A Montalbano la storia, quanno gliela contaro, gli parsi un plagio di una bellissima novella di Luigi Pirandello, «Lontano», indove al posto della nostromo, il protagonista era un marinaro di nome Lars.
Ma non ne dissi nenti a nisciuno.

(L'incipit qui riportato è stato pubblicato sul Giornale di Sicilia del 26.5.2017)



Last modified Saturday, July, 25, 2020