Il
presente volume raccoglie le copertine di tutte le edizioni pubblicate, in
Italia e all'estero, delle opere di Andrea Camilleri, a far data dal primo
romanzo, Il corso
delle cose (Lalli, 1978), fino al giugno 2005, suddivise per titolo e
ordinate iniziando dalle case editrici italiane. Eventuali mancanze e omissioni
sono da attribuirsi alla dispersione delle fonti editoriali.
Nota
dell'editore
Quando
in casa editrice ricevemmo il primo romanzo di Andrea Camilleri, si decise di
inserirlo in una collana di contenuti siciliani che, in obbedienza a uno degli
schematismi editoriali che spesso scattano per prudenza o per inerzia, sembrò
la più adatta. La stagione della caccia era un libro di ambientazione
locale, pescava profondamente nella storia e nella sociologia, e poi in una
certa immagine psicologica della Sicilia propria di chi la conosce nell'anima;
era un giallo e non lo era. Inoltre, ci confondeva alquanto la questione del
linguaggio, quell'italiano contaminato da espressioni che sembravano siciliano
senza essere quello a noi noto. Parole e modi di dire spesso sconosciuti, solo
intuibili: eppure non solo la lettura non si inceppava mai ma anzi seguire la
storia diventava più scorrevole, familiare, musicale. Era esattamente la lingua
di quei personaggi e il suono dei luoghi in cui vivevano. Ma l'avrebbero capito
tutti? Anche a Roma e a Milano? Perciò la sua collana era i «Quaderni della
Biblioteca siciliana di storia e letteratura». Una bella collezione, fondata da
Leonardo Sciascia. In più, di Camilleri era stato pubblicato un altro libro
nella stessa collana dei «Quaderni», La strage dimenticata, che inclinava
più verso la storia che verso il racconto (vi leggevamo, per la prima volta, un
concetto chiave per capire Camilleri, che i siciliani sono tragediatori: «"Tragediatore"
è, dalle parti nostre, quello che, in ogni occasione che gli càpita, seria o
allegra che sia, si mette a fare teatro, adopera cioè toni e atteggiamenti più
o meno marcati rispetto al livello del fatto in cui si trova ad essere
personaggio. ... So bene che il "tragediatore" altrove viene più
semplicemente chiamato "commediante", ma perché da noi si preferisca
tirare in ballo la tragedia piuttosto che la commedia è cosa così
caratterialmente ovvia - e spiegata in centinaia di libri di pensiero e di
fantasia - che non è manco il caso di perderci altro fiato sopra»). Tutte
queste circostanze rafforzavano la scelta di inserire in quella collocazione il
primo romanzo che Andrea Camilleri ci offriva, e che si sarebbe rivelato il
primo episodio di un'avventura letteraria lunga e appassionante.
Ai tempi, Camilleri aveva già pubblicato due romanzi altrove. L’avevamo già
conosciuto per ragioni culturali, sapevamo che era il produttore dello splendido
Maigret e l'autore di alcune riduzioni televisive da Sciascia. Approfondimmo la
conoscenza in occasione delle nostre pubblicazioni dei suoi libri. E verificammo
in pieno la fama che Sciascia aveva preparato per lui. Con quella concezione che
aveva del lavoro letterario, come attività che congiunge un certo tipo di verità
un certo tipo di piacere e un'assoluta libertà di critica, Sciascia considerava
Camilleri uno scrittore che innanzitutto cerca diletto dalla scrittura a cui si
dedica e, quindi, tanto sa darne ai suoi lettori, quanto ne trae dalla sua
scrittura. Ce ne aveva parlato come di un autore che cerca nelle pieghe
dell'erudizione storica, del particolare, dello sconosciuto, dello smarrito, i
soggetti per le proprie finzioni, e inoltre i segni e le evidenze di quelle
verità letterarie che intende testimoniare con il proprio racconto. Autori che
trovano diletto, appunto, nel cercare, nello scoprire e nel raccontare la
ricerca e la scoperta ai lettori.
A noi si presentò personalmente come uno spirito acuto, una conversazione
brillantissima, una bella voce profonda da attore che sapeva scandire un
impeccabile toscano e contemporaneamente usare con elegante disinvoltura il
dialetto (rara cosa in Sicilia, dove usare il dialetto è considerato volgare e
perde carattere e purezza di lingua per trasformarsi in gergo). E soprattutto
una di quelle intelligenze che bisognerebbe definire entusiasmanti, con cui
sembra di condividere sempre una continua scoperta, che seducono senza
sopraffare. Trapelava con la sua presenza l'alone di una vita vissuta
intensamente, di gusto e con gusto. È forse per tutte queste belle qualità
vitali, unite a un'assoluta mancanza di ostentazione, che in casa editrice
cominciammo a intuire con meraviglia un «caso Camilleri». Si era probabilmente
abituati ancora a un'immagine tradizionale dello scrittore siciliano: più
letterato che creativo, introverso. Invece Camilleri era una mente felice in
ogni momento. E la felicità è diffusiva di sé.
Così La stagione della caccia si diffondeva, ed era talmente originale,
lasciava nella memoria immagini e battute così indimenticabili e persistenti,
che tutti capivano che la sua qualità andava più conosciuta; anche perché
chiunque lo leggesse ne restava incantato e ne parlava con entusiasmo. Cominciò
ad agire sulla sua fortuna quello che si chiama il «passaparola», cioè a dire
il critico letterario più formidabile e convincente che esista. Ragion per cui
il nostro primo romanzo di Camilleri fu trasferito dopo un po' di tempo nella
nostra collana più nota e diffusa, quella «Memoria» che ha visto il nascere,
nello stesso anno 1994, del commissario Montalbano.
E La stagione della caccia cominciò a muoversi di vita propria.
Forse perché per un piccolo editore sono come comunicazione pura, i libri
diventano come una specie di forma vivente, e l'andamento delle loro vendite
assomiglia di più al cammino di una vita che a un fenomeno merceologico. Ma nel
caso della Stagione della caccia questa sensazione quasi biologica di un
organismo in crescita era fortissima. Edizione dopo edizione - e ovviamente con
un ancor più travolgente crescendo alla pubblicazione dei primi casi del
commissario Montalbano -, recensione dopo recensione, ma soprattutto nei
commenti nelle lettere nelle richieste nella risposta dei lettori, si capiva che
Camilleri era diventato un caso letterario, il caso letterario del tempo, che un
vento soffiava nelle sue vele, che la sua arte era diventata proprietà comune
dei lettori che non lo avrebbero lasciato più perché sentivano in qualche modo
di creare anche loro leggendo nella sua scrittura. Sentivano di partecipare - se
si vuole azzardare un'ipotesi interpretativa del travolgente successo - a quel
progetto di ricostruzione etico-politica della società di cui i personaggi e le
storie di Camilleri rappresentavano l'espressione letteraria, critica,
l'esigenza, il desiderio. Non è questo che si intende dire con opera d'arte
come «opera aperta»? E non è questa semplice capacità di comunicazione il
segno della grandezza di uno scrittore?
Di Andrea Camilleri e del suo caso straordinario di creatore di personaggi, di
intrecci e atmosfere ma anche di linguaggio si è detto molto e ancora si dirà.
Una scrittura colta, innovativo, densa di storia e psicologia che diventa tra le
più lette di tutti i tempi, è un fenomeno destinato a infiniti dibattiti. Noi
possiamo aggiungere: è un grande scrittore, ed è un'altrettanto grande
persona. E un grande amico.
E al grande amico, in occasione dei suoi ottanta
anni, la casa editrice regala la misura geometrica della sua grandezza di
scrittore, affinché la consideri nella sua voluminosa e meravigliosa
concretezza e ne prenda pieno compiacimento e giusto orgoglio. Affinché
conosca, vedendo quanto lontano ha portato anche il nostro nome di editori,
quanto deve essere grande l'orgoglio l'affetto e la gratitudine di averlo come
il nostro autore. In questo libro ci sono tutte le copertine di tutte le
edizioni in tutti i paesi in cui i suoi libri sono stati tradotti e pubblicati.
Ci sono quanti chilometri si possono fare partendo da Vigàta. E in quante
lingue può arrivare a dirsi: «Montalbano sono».
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