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Lido Azzurro



Autore Angelo Pitrone
Prezzo  
Pagine Portfolio di fotografie
Data di pubblicazione  
Editore Salarchi Immagini


La cartella Lido Azzurro contiene quattro immagini Polaroid litografate di Angelo Pitrone e un testo di Andrea Camilleri.
L'edizione, per conto della Salarchi Immagini, è stata tirata a mano con tirabozze litografico su carta Fedrigoni presso la stamperia d'Arte di Angelo Buscema - Comiso.




Ho letto recentemente un informato articolo nel quale veniva data notizia di un fenomeno, come dire, sempre più in espansione: stanno diventando un numero considerevole i pittori che preferiscono far ricorso alla macchina fotografica, abbandonando il pennello (o qualsiasi altro mezzo del quale si servivano). Si tratta, naturalmente, di un certo tipo di pittori legati ancora, magari con un filo sottilissimo, alla tradizione dell'immagine, non di artisti da installazione o da body e via innovando (non sto facendo dell'ironia, tutt’altro, mi sto limitando a una constatazione). E del fatto che siano pittori in qualche modo ancorati alla tradizione è spia l'apparecchio prescelto in sostituzione: la macchina fotografica. Che. a voler ben guardare, sta diventando oggetto di modernariato, prima attaccata alla Super8 e poi quasi completamente scalzata dalle modernissime e piccolissime e fedelissime e costosissime telecamere da taschino. Comunque sia, la notizia non mi sembra esaltante. E ne dico le ragioni, la prima delle quali è questa, elementare: la mano del pittore non è l'occhio del fotografo. La seconda, altrettanto elementare, è che si nasce fotografi come si nasce pittori, quindi "passare" (come era scritto nell'articolo) dalla pittura alla fotografia non è cosa da poco, non si tratta di un semplice passaggio, ma di una rieducazione totale.
E non è detto che le rieducazioni riescano sempre. E poi: il fotografo coglie una sua realtà per adeguarla con mezzi tecnici e successivi trattamenti alla sua verità, mentre la verità del pittore non ha bisogno di rapportarsi alla realtà. Anzi. Scriveva Van Gogh: "sono stato tutto l’anno a dannarmi dietro la natura, tuttavia m’accorgo, ancora una volta, di fare stelle troppo grandi". Ecco: la macchina fotografica avrebbe concesso a Van Gogh di fare quelle strepitose stelle troppo grandi che nascevano, ostinate, da una sua necessità interiore? Forse conviene che mi spieghi meglio. In un anonimo Libellus de natura animalium un capitoletto è dedicato all'Agnello vegetale della Tartaria (familiarmente conosciuto come Borametz o Barometz) che è un essere vivente prodotto dall'unione di un animale con una pianta. Viaggiatori medievali giurarono e spergiurarono d'aver visto in Tartaria un albero i cui frutti, a forma di zucca, quando erano maturi si spaccavano e al loro interno mostravano minuscoli agnelli "la cui lanugine i Tartari adoperavano per tessere indumenti". Lo stelo che sorreggeva la zucca era molto flessibile sicché gli agnelli vegetali, quando avevano appetito, lo facevano piegare sino a toccar terra per brucare l'erba. Poiché il Borametz era incollato alla zucca, quando aveva mangiato tutta l'erba raggiungibile era inevitabilmente condannato a morire di fame. Il sangue degli agnelli vegetali sapeva di miele, la carne aveva gusto di pesce e per questo i lupi della Tartaria ne andavano pazzi. Bene, quest'essere fantastico non è altro che il risultato dei racconti dei primissimi viaggiatori dell'Occidente che si erano imbattuti nella, mai vista prima, pianta di cotone. Un pittore medievale poteva benissimo inventarsi una pianta che produce agnelli, ma se, per assurdo, lo stesso pittore medievale si fosse recato in Tartaria munito di macchina fotografica, non avrebbe fotografato altro che una normalissima pianta di cotone, perché questo e solamente questo aveva visto l'apparecchio fotografico. A questo punto son sicuro che qualcuno, leggendo queste righe, si ribellerà accusandomi di condannare i fotografi a non essere altro che riproduttori della realtà. No, non sono riproduttori, ma interpreti dei molteplici, prismatici aspetti della realtà, la realtà è il loro punto di partenza e di ciò sono perfettamente coscienti. E quando inquadrano, trattano, modificano, manipolano l'immagine non fanno altro che arricchirci lo sguardo, invitarci a una più libera visione del mondo. Guardate, per fare un clamoroso esempio, queste foto di Angelo Pitrone scattate ai Lido Azzurro di Porto Empedocle nel 1999. Se si dovesse inventariare quello che in queste immagini si trova, verrebbe fuori un elenco tra i più banali: sabbia, cielo, mare, ombre, cabine. Del resto, cosa sì può trovare di diverso su un lido ripreso, oltretutto, quando è finita la stagione e non c'è più anima viva? Un altro occhio fotografico, non certo quello di Pitrone, avrebbe potuto raccontarci la malinconia della stagione morta, della spiaggia deserta, dei colori del cielo e del mare che cominciano a cangiare nell'imminenza dell'autunno e via di questo passo fino ad arrivare ad una estenuata elegia. Un altro avrebbe potuto narrarci la solitudine degli oggetti abbandonati, ombrelloni, sedie a sdraio, teloni, secchielli, quando non c'è più l'uomo a servirsene e via via arrivare al metafisico dechirichiano. Un terzo avrebbe potuto... No, blocchiamo qui l'elenco perché anche un granello di sabbia potrebbe raccontare una storia diversa da quella raccontata da un altro granello.
Ora il principale merito di Pitrone è quello di astenersi dal raccontare. Egli non chiede a chi guarda questi suoi lavori altra partecipazione che non sia. appunto, solo ed esclusivamente quella dello sguardo. È questo sguardo egli, Pitrone, sa organizzare con acutezza, con intelligenza, con rigore, in modo che colui che guarda sia guidato in una sorta di percorso bidirezionale, di andata e ritorno. Pigliamo a caso una di queste foto. A prima vista, e per qualche frazione di secondo, ci viene difficile decrittare l'immagine: i segni ci sembrano così astratti, le forme ci appaiono così stilizzate da convincerci a una visione non soggetta alla presenza del reale, a una pura e geniale invenzione, ma proprio mentre stiamo per abbandonarci a questa libertà, l'occhio ha messo finalmente a fuoco la rappresentazione. Allora i segni perdono l'astrazione, le forme la stilizzazione e ci si compone davanti la realistica sequenza delle staccionatine di legno the dividono l’una dall'altra le verandine davanti a ogni cabina. E si svela, ricomponendosi, il gioco delle ombre sulle porte.
Ognuna di queste immagini costringe a seguite questo duplice cammino. E allora viene spontaneo domandarsi se Pitrone. prima di scattare le sue foto, non le abbia già lui stesso concepite e viste come insieme di segni astratti e di forme stilizzate, invitandoci cioè, con estrema generosità, alla scoperta di come "vede" l'occhio di un fotografo che è un artista certamente autentico, certamente originale.

Andrea Camilleri



Last modified Tuesday, March, 07, 2023