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Lo sbarco della mafia
Pif, Camilleri e lo strano caso della mafia in Sicilia

"Maestro, ma com'erano 'sti americani?"
CARO CAMILLERI,
il 27 ottobre uscirà il mio secondo film, In guerra per amore, che parla dello sbarco degli alleati in Sicilia durante la Seconda guerra mondiale. Mi scusi se specifico che è avvenuto durante la Seconda guerra mondiale, lo so che Lei è edotto sui fatti, ma purtroppo mi sono reso conto che gli italiani ne sanno un po' pochino. E tra questi c'ero anche io prima di occuparmene. Spesso viene confuso, addirittura, con lo sbarco dei Mille a Marsala. Le scrivo questa mia, per chiederle di aiutarmi a rispondere a una serie di domande, a cui io ho provato a dare un senso attraverso il mio film.
Mi rivolgo a Lei non solo perché è siciliano, non solo perché ha trattato questo tema nel suo sceneggiato Un siciliano in Sicilia, ma soprattutto perché, non volendo assolutamente sottolineare la sua saggia età anagrafica, mi sembra di intuire che lei, facendo due calcoli, questi americani li abbia visti di persona. E come le sembrarono: invasori o liberatori? E noi siciliani cosa eravamo per loro? Glielo chiedo, perché leggendo la Guida del soldato in Sicilia che l'esercito alleato diede ai propri uomini, un filo di pregiudizio nei nostri confronti traspare.
E poi ho un altro dubbio: mi sembra che gli americani, a cui certamente dobbiamo la libertà, avessero molti meno pregiudizi nei confronti dei mafiosi. E forse un mio pregiudizio?
Se gli alleati fossero sbarcati in Sardegna che mafia avremmo avuto? Quello che è certo è che lo sbarco ha cambiato il corso della Seconda guerra mondiale e soprattutto la nostra vita. Perché, allora, ne sappiamo così poco? Ci dà fastidio ammettere che nel luglio del 1943 eravamo dalla parte sbagliata?
Avrei ancora tante domande da farle, ma non vorrei abusare della sua saggezza. Aspetto con trepidazione la sua risposta.
Con umile devozione.
Pif

"Parlavano in siciliano"
CARO PIF,
innanzitutto tanti in bocca al lupo per il film. Mi sembra già una grande sfida che vi siate occupati di un tema di cui agli italiani poco importa, sarà per questo che nessuno lo conosce o comunque non lo ricorda.
Ha ragione, conti alla mano, io c'ero. Gli ultimi mesi prima dello sbarco erano stati per la Sicilia assolutamente devastanti. A quell'epoca io avevo quasi diciott'anni e ricordo come ci mancasse ogni cosa, viveri e soprattutto medicinali. Dallo stretto di Messina non passava più una nave per i continui bombardamenti degli Alleati, non arrivavano rifornimenti di nessun genere. Eravamo veramente ridotti allo stremo quindi l'immediata sensazione che tutto questo avrebbe potuto avere termine con lo sbarco, ci portava semplicemente sollievo. Un sollievo economico, civile, prima ancora che politico. Significava la pace.
Le racconto la mia esperienza personale che ho già narrato ne Il gioco della mosca. I soldati americani che sbarcarono erano al novanta per cento di origine siciliana e parlavano il dialetto. Ricordo ancora il mio sentimento: provai gioia e nello stesso tempo una sorta di indefinibile malinconia che mi fece letteralmente spuntare le lacrime. Bene o male, quella gente in divisa era stata fino al giorno prima il nemico.
Sentimenti contrastanti, simili ai miei, mi confessò di avere avuto Leonardo Sciascia. Fu, mi perdoni l'ossimoro, una mesta esultanza. A quella Guida del soldato che lei cita, io molti anni dopo ho fatto una prefazione. Non c'è il sospetto ma la certezza che gli americani fossero pieni di pregiudizi. Pregiudizi che però, devo dire per esperienza vissuta, si dissolsero in pochissimo tempo. La fraternizzazione avvenne quasi subito. Ciò non toghe che l'Amgot (il governo militare alleato dei territori occupati, ndr) ci considerasse come dei nemici vinti. I continui bandi militari imposero già subito molte restrizioni alla conquistata libertà. Era proibito, per esempio, spostarsi da un paese all'altro senza la preventiva autorizzazione delle autorità occupanti.
Lei ha citato il mio Un siciliano in Sicilia, quello sceneggiato televisivo nasce da una lettura di documenti ufficiali nei quali è dimostrato che mentre la Casa Bianca faceva paracadutare in Sicilia due avvocati siculo-americani per preparare una rete di antifascisti che potessero assumere incarichi politico amministrativi, il Pentagono paracadutò invece dei mafiosi perché aiutassero lo sbarco, cosa che puntualmente avvenne. L'Amgot ripagò quindi i favori resi dalla mafia nominando, per esempio, noti mafiosi sindaci di numerosissimi paesi, gli stessi uomini che il fascismo aveva messo, come si usa dire, in sonno.
Non c'è bisogno di ricordarle che Leonardo Sciascia in proposito scrisse che l'unica libertà che i siciliani avevano conosciuto durante il fascismo era stata la libertà dal potere mafioso, ma che poi questo potere era stato ripristinato con l'appoggio degli americani.
Lei mi chiede cosa sarebbe avvenuto se lo sbarco fosse stato in Sardegna, non glielo so dire ma sicuramente con l'avvento della democrazia ci sarebbe stata in Sicilia comunque una rinascita della mafia, forse non così rigogliosa.
Credo infine che a provocare la rimozione dello sbarco, sia stato un insieme di elementi. Certo, una delle ragioni può essere la difficoltà ad ammettere di essersi trovati dalla parte sbagliata ma io vorrei raccontarle di due scritte murali che vidi quattro giorni dopo lo sbarco, ad Aragona. Una diceva esattamente così: "Fimmini buttani pirchì vasati all'americani?". E l'altra in italiano diceva: "Vergogna! Avete abbracciato il nemico che ha distrutto le nostre case, che ha ucciso i nostri uomini".
E questo può essere anche uno dei fattori che hanno concorso alla dimenticanza.
Le auguro tanto buon lavoro,
Andrea Camilleri

(pubblicato su La Repubblica, 2 ottobre 2016)


 
Last modified Monday, October, 03, 2016