Il parlamento ha votato una legge per impedirgli di concorrere alla Procura nazionale antimafia. La politica e l’informazione hanno cancellato la verità sul processo Andreotti. Gian Carlo Caselli, magistrato torinese ed ex Procuratore capo di Palermo, ripercorre con lucida indignazione le vicende di cui è stato protagonista negli ultimi anni. Ai feroci attacchi subìti per aver toccato il nodo dei rapporti tra mafia e politica, Caselli risponde facendo parlare gli atti processuali. Un documento duro e sobrio, orgoglioso e anche doloroso, sul mestiere di magistrato nell’Italia di oggi. Con un messaggio ai giovani colleghi.
“Sono l'unico magistrato italiano al quale il Parlamento ha dedicato espressamente una legge. Una legge contra personam che mi ha espropriato di un diritto: quello di concorrere, alla pari con altri colleghi, alla carica di Procuratore nazionale antimafia.”
Gian Carlo Caselli
Dietro la nuova filibusta, il solito virus fascista
Nel 1945, che era appena finita la guerra, mi capitò di leggere su una delle prime
riviste politico-culturali dell’epoca un lungo articolo di un importante giornalista
politico inglese, Herbert Matthews.
Nell’articolo, che si intitolava “Non l’avete ucciso” ed era rivolto agli italiani, si
sosteneva che tutti coloro che credevano esser finito il fascismo con l’uccisione di
Mussolini e dei suoi gerarchi si sbagliavano di grosso, in quanto il fascismo era stato
un virus oltretutto mutante iniettato nelle nostre vene e del quale per decenni e decenni
saremmo stati affetti. Allora avevo vent’anni e quella tesi mi sembrò non pessimistica, ma
addirittura errata. Oggi, a ottant’anni compiuti, quella tesi non solo mi appare del tutto
condivisibile, ma addirittura mi fa credere che quel virus non sia mai stato iniettato
nelle nostre vene, c’era già, latente e che il fascismo l’abbia solo reso attivo.
Negli anni che vennero dopo, segnati dal predominio della Democrazia Cristiana, il
virus ebbe fasi alterne, conobbe epifanie e eclissi apparenti.
Un’epifania esemplare fu il lungo esercizio della censura culturale in campo
cinematografico e teatrale e io non posso dimenticare il visto d’ingresso negato al
Berliner di Brecht, la proibizione dell’Arialda di Testori o della Governante
di Brancati, e di decine di altre opere teatrali, l’ostracismo e gli attacchi a
La terra trema di Visconti e ad altri film… Potrei continuare per ore. Per fatto
personale: mi venne proibita, alla vigilia dell’andata in scena, la rappresentazione del
Pellicano di un classico come Strindberg perché “opera contraria ai principi
cristiani della famiglia”.
E non parliamo di come il virus si manifestò in tutta la sua virulenza all’apparire
della televisione. Ma l’infezione era evidente anche in quel principio “o con noi o contro
di noi”, in quel clima di guerra santa contro il comunismo, che durante il periodo del
potere democristiano e dei suoi alleati regolò promozioni, avanzamenti di carriera,
prebende, ostracismi, esclusioni, arricchimenti illeciti, voti di scambio, l’ingresso
della mafia nella politica, uso politico dei processi (uno per tutti, il caso Montesi) e
via di questo passo.
Con Mani pulite pensammo che la profezia di Matthews avesse trovato fine. Ci
illudevamo ancora una volta. In questi ultimissimi anni il virus mutante è tornato ad
esplodere. E non tanto perché i postfascisti facciano parte del governo assieme ai cripto
fascisti inconsapevoli padani col loro celodurismo, col loro razzismo, con le loro
manifestazioni d’intolleranza da fascismo di strapaese. No. Dietro lo schermo del
rinnovamento e delle riforme si sta consumando il più esplicito attacco di stampo fascista
alle istituzioni che reggono e formano uno stato democratico. Dalla stessa costituzione
alla scuola, dal federalismo trasformato in devolution alle leggi sul lavoro, dalla
libertà di stampa alla giustizia, non c’è stato un elemento costitutivo di uno Stato
democratico, uno solo, che non sia stato stravolto in un’ottica sostanzialmente
antidemocratica.
E poiché siamo qui per parlare del libro di un alto magistrato, che si autodefinisce
fuorilegge in quanto messo fuori con apposita legge, mi soffermerò su quello che a me,
semplice cittadino, appare sia successo, e ancora succede, nel campo della giustizia.
Quando il fascismo, quello di Mussolini per intenderci, chiese il giuramento di
fedeltà al partito, non allo Stato, intendiamoci bene, tutti, magistrati e docenti
universitari, professori e impiegati, giurarono senza batter ciglio. Solo dodici si
rifiutarono e vennero allontanati dagli incarichi. Persero il posto, ma salvarono la loro
dignità e, in minima parte, anche quella nostra.
Con la democrazia cristiana e alleati alla giustizia si chiese e si ottenne una sorta
di allineamento quasi totale, una tacita acquiescenza, pena rivalse, rappresaglie,
trasferimenti, ostacoli alla carriera. Del resto, il codice Rocco, quello fascista, non
era stato abolito, se ne era modificato solo qualche articolo. E così venne l’epoca degli
insabbiamenti, del porto delle nebbie, oppure dei processi di comodo.
Cominciarono a reagire i cosiddetti pretori d’assalto, ve li ricordate?
Poi esplose Mani pulite. A mio parere, Mani pulite non fu la rivincita della
magistratura contro la politica, ma semplicemente capitò che la politica cominciò a
scricchiolare, a traballare paurosamente sotto il peso della sua stessa corruzione e la
magistratura si venne a trovare nella situazione di poter finalmente fare quello che non
aveva potuto fare tanto tempo prima.
Cioè, semplicemente, il suo dovere. E quel semplice fare, dopo anni e anni di totale
non fare, ci sembrò addirittura una mezza rivoluzione. E non lo era, era, semmai, un
ritorno alla normalità. Che durò assai poco, perché dalle sue stesse ceneri il peggio
della prima repubblica rinacque come la Fenice, stavolta travestita coi panni della
filibusta, secondo l’appropriata definizione del professor Cordero. Ed è inutile elencare
quali antileggi possa escogitare la testa di un capo della filibusta che ha sempre
navigato border line per favorire se stesso e i suoi. Ed è stato un crescendo, dalla
legge sul falso in bilancio al legittimo sospetto, dalla Cirielli all’accorciamento dei
termini di prescrizione alla legittima difesa, tutte leggi ad personam, in un perfetto
stile fascista.
Si è fatta una legge apposita, su misura, contro un magistrato per escluderlo da un
concorso che avrebbe sicuramente vinto. Il relatore, tale Bobbio (al quale non dovrebbe
esser consentito di portar quel cognome che fu di Norberto), postfascista, ex magistrato,
ha esplicitamente dichiarato che la legge era fatta per escludere quel magistrato.
L’incarico in concorso era quello di capo dell’antimafia e Caselli quindi non era l’uomo
adatto.
Sinceramente, trovo corretta la posizione di Bobbio, che non solo è la cinghia di
trasmissione del capo filibusta, ma, secondo ultimissime risultanze dell’altrieri, sarebbe
stato interessato in prima persona, in quanto, secondo l’atto d’accusa del procuratore
generale di Napoli, quando era pm alla Dda, avrebbe compiuto una serie di omissioni nelle
indagini su alcuni clan camorristici, al punto tale, scrive il procuratore generale
Galgano, che “è possibile ravvisare, senza impegno di fantasia e senza ricorso a
strumenti logici e giuridici sofisticati, i possibili estremi di numerose fattispecie
criminose”.
Perché chi fa volute omissioni nelle indagini su clan camorristici o chi ha come
fraterno amico e collaboratore d’affari un uomo condannato, sia pure non definitivamente,
per collusioni mafiose, chi inoltre si è tenuto in casa un mafioso e con lui
quotidianamente ha praticato, è inevitabile che della mafia e della camorra abbiano una
visione leggermente diversa da chi la delinquenza organizzata l’ha severamente combattuta
e senza fare proclami, ma fatti.
Insomma, cosa deve scontare Caselli? Il suo rigore, la sua onestà, il suo coraggio,
il suo senso morale, la sua fedeltà alle leggi e allo Stato, la sua intransigenza? Tutte
cose che una volta da qualche parte furono di segno positivo ed oggi invece vengono
giudicate, nella migliore delle ipotesi, cose d’antiquariato e, nella peggiore, come
fanatismo, parzialità, partito preso.
E così si spiega come Caselli, per la filibusta, rappresenti un vero e proprio
pericolo. E si deve quindi tentare non solo di escluderlo dai posti dove possa in
qualche modo tirar fuori le sue qualità, ma anche colpendolo in quanto giudice guidato,
secondo loro, non dal codice, ma da un’idea politica.
Valga per tutti la trista faccenda del processo Andreotti.
Tra parentesi, credo che Caselli stia pagando anche per quel processo. Mi pare che
dalla sentenza della Cassazione emerga in tutta chiarezza che “l’autentica, stabile ed
amichevole disponibilità dell’imputato verso i mafiosi non si sia protratta oltre la
primavera del 1980”. Ergo, Andreotti è stato amico autentico, stabile e disponibile dei
mafiosi, almeno nel decennio precedente.
Avete mai fatto il conto di quante persone sono state ammazzate in Sicilia dalla mafia
in quel decennio? Avete mai fatto mente locale sul fatto che Andreotti era stato avvertito
dal mafioso Bontade in persona che se Piersanti Mattarella, democristiano e presidente
della regione Sicilia, non la finiva con la lotta alla mafia, andava incontro alla morte?
Avete mai fatto mente locale che Mattarella venne ammazzato il 6 gennaio 1980? Vale a dire
quando ancora Andreotti era con la mafia in amichevoli e disponibili rapporti? Avete mai
fatto mente locale che il Presidente Andreotti non avvertì né Mattarella né un qualsiasi
maresciallo dei carabinieri di quella morte annunciata? Avete mai fatto mente locale su
cosa significhi questo rapporto tra un Presidente del consiglio e un mafioso pluriomicida?
Quanto sia devastante?
Poiché siamo di memoria corta, faccio qualche nome: Mauro De Mauro, giornalista de
L’Ora; Pietro Scaglione, Procuratore capo di Palermo; Giuseppe Russo, l’ufficiale dei
carabinieri che indagava sul caso De Mauro; Mario Francese, cronista giudiziario del
Giornale di Sicilia; Michele Reina, segretario della Dc di Palermo; Boris Giuliano, capo
della squadra mobile di Palermo; Cesare Terranova, magistrato. Mi fermo qui per non
tediarvi.
Ma su tutto ciò, vale a dire l’associazione per delinquere, reato che la sentenza
dice “commesso”, è caduta la prescrizione. Per quello che riguarda l’attività successiva,
Andreotti è stato assolto in base a un articolo sostitutivo di quello sull’insufficienza
di prove. Immediatamente questa sentenza è stata stravolta, per i giornali e le Tv il
enatore è stato semplicemente “assolto”, qualcuno ha detto che gli è stato restituito
l’onore e tanti altri hanno affermato che avendo Caselli sbagliato, avrebbe dovuto pagare
per l’errore. I media, insomma, ancora una volta hanno dimostrato di essersi trasformati
da fabbriche del consenso in fabbriche del credere. E infatti a Caselli gliela hanno fatto
pagare. E hanno voluto impedire che facesse qualche altro “errore” come quello fatto con
Andreotti.
In conclusione, cos’è questo libro di Caselli? Il suo valore è quello di non essere
né un lacrimoso cahier de doléance né un’invettiva, ma una oggettiva, equilibrata
esposizione dei fatti.
Ma l’ultimo capitolo, quello intitolato Orgoglio e gratitudine, va letto da chi alla
filibusta non appartiene proprio con l’orgoglio da italiani di avere ancora dei magistrati
come lui e con la gratitudine, sempre da italiani, per l’esempio che egli ci ha dato e
continua a darci di un fermo agire secondo l’autonomia, l’indipendenza, la libertà di
giudizio, e senza mai timore di entrare in rotta di collisione con il potere corrotto.
Con persone come lui, si può finalmente cominciare a pensare di poterlo finalmente
uccidere, il fascismo.
Andrea Camilleri
Testo della presentazione del libro tenutasi a Roma il 3 febbraio 2006 presso l’Associazione Informazione@futuro
Labirinto 2 (via Pompeo Magno 29), pubblicato su
Articolo 21 il 13 febbraio 2006.
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