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I poeti della scuola siciliana

Vol. I: Giacomo da Lentini
Vol. II: Poeti della corte di Federico II
Vol. III: Poeti siculo-toscani


   

Autore a cura di Roberto Antonelli (vol. I),
Costanzo Di Girolamo (vol. II),
Rosario Coluccia (vol. III)
Prezzo E 55,00 (a volume)
Pagine p. 864 (vol. I) / p. 1328 (vol. II) / p. 1448 (vol. III) /
Data di pubblicazione 2008
Editore Mondadori
Collana I Meridiani


In edizione critica e commentata, l'intero corpus dei poeti che nel Duecento hanno segnato la nascita della letteratura italiana


L'amore raccontato dai poeti della mia Sicilia

Ci siamo abituati negli ultimi anni in Italia a sprecare, a scialacquare parole. E più vengono usate a vuoto e più le parole perdono peso e colore, s´assottigliano, si usurano come un tessuto liso. Le recenti letture dantesche hanno avuto uno strepitoso successo in tv forse perché ci riconsegnano l´intatto valore della parola. Ora si presenta una splendida occasione per riassaporare altre e più antiche parole, quelle che sono a un tempo l´origine stessa della nostra lingua e civiltà letteraria.
Sono arrivati in questi giorni in libreria tre Meridiani mondadoriani, di complessive pagine 3044, dedicati a I Poeti della scuola siciliana (euro 55 a volume). Essi rappresentano il frutto della felice unione di un ventennio d´impegno del Centro di studi filologici e linguistici siciliani (attualmente rappresentato da Buttitta, Ruffino, Varvaro) con l´intelligente entusiasmo di Renata Colorni che i Meridiani dirige.
Il primo volume, curato da Roberto Antonelli, è interamente dedicato a Giacomo da Lentini; il secondo, dovuto alle cure di Costanzo Di Girolamo, comprende i poeti della corte di Federico II; il terzo, coordinato da Rosario Coluccia, assembla i poeti siculo-toscani. Ogni curatore, a sua volta, è assistito da una nutrita schiera di ricercatori che si occupano di un singolo poeta o di gruppi di poesie.
Sono convinto che quest´opera, che non esito a definire grandiosa (e anche gioiosa, dirò poi perché) rappresenterà un punto fermo, e non facilmente superabile, per tutti gli studiosi delle origini della poesia e della cultura italiana.
In questa prospettiva, il primo volume non poteva che essere dedicato a Giacomo da Lentini, il protopoeta, che Antonelli nella sua prefazione definisce tout court il "fondatore" della lirica italiana, acutamente analizzandone le influenze trobadoriche e le sedimentazioni della cultura latina. Tra l´altro a Giacomo da Lentini si deve la strepitosa invenzione di quella forma metrica perfetta che è il sonetto. Ma Antonelli riconosce che il merito dello «stimolo decisivo alla nascita e allo sviluppo» della poesia siciliana va a Federico II, e alla sua politica culturale. La quale spazia dall´urbanistica all´architettura, dai vasti compiti assegnati alla Magna Curia Imperialis ai rapporti tutt´altro che limitativi con musulmani ed ebrei. E non si può omettere la fondazione nel 1224 dello Studium napoletano, la prima università d´Europa, per la preparazione di quella che oggi chiameremmo una nuova classe dirigente.
«Il re e imperatore - scrive ancora Antonelli - è in senso lato, per molteplici evidenze, il grande "committente" della lirica siciliana, i cui poeti sono tutti nobili o funzionari legati alla Magna Curia». E nel secondo volume infatti, accanto a nomi notissimi perché si trovano in tutte le antologie scolastiche, come lo stesso Federico che non si limitava alla committenza ma scendeva in campo nella tenzone poetica come uno qualsiasi degli altri poeti, o Guido e Odo delle Colonne, o Cielo d´Alcamo o Giacomino Pugliese, troveranno posto anche Tommaso Di Sasso o Filippo da Messina e tanti altri meno noti (e ci sono anche moltissime liriche senza nome dell´autore) che servono a completare, arricchendolo, il quadro d´insieme. A proposito di Federico, colgo l´occasione per ricordare che l´anno scorso è stato pubblicato il suo enciclopedico De arte venandi cum avibus a cura di A. L. Trombetti Budriesi e con una introduzione di Ortensio Zecchino che traccia un esauriente quadro culturale della corte federiciana.
Nel terzo volume trovano posto i poeti siculo-toscani, quelli cioè che ripropongono sostanzialmente, in Toscana, il modulo poetico siciliano e non sono da confondersi coi poeti toscano-siculi (come Guittone d´Arezzo) che ricercano e sperimentano modi nuovi e diversi da quelli della scuola siciliana. Una curiosità: in questo terzo volume è presente nientedimeno che Brunetto Latini con una canzone, l´unica pervenutaci, il cui primo verso suona così: «S´eo son distretto inamoratamente». Ebbene, secondo alcuni studiosi, Avalle in testa, è a causa di questa canzone che Dante ha sistemato per l´eternità Brunetto nel settimo cerchio dell´Inferno. E non gli si può dare tanto torto. Infatti, se andate a leggere la canzone, Brunetto canta esplicitamente i suoi tormenti amorosi per un ello e non per un´ella. Ancora troppo lontano il tempo nel quale avremmo letto senza scandalo e con tanta partecipazione i tenerissimi egli di Sandro Penna.
E a proposito di Dante, cade qui a taglio l´omaggio che egli volle rendere ai poeti siciliani nel De vulgari eloquentia: «Imperocchè pare che il volgare siciliano abbia fama sopra gli altri, perché qualunque cosa compongano in verso gl´Italiani si chiama siciliano...», concludendolo con la citazione di un verso dal Contrasto di Cielo d´Alcamo.
Una piccola parentesi. È curioso notare come nelle radici culturali dei poeti siciliani non rimanga traccia alcuna della grande fioritura della poesia araba di Sicilia, che pure, meno di duecento anni avanti di Giacomo da Lentini, aveva raggiunto livelli altissimi con Ibn Hamdis («A torto castigasti la tenerezza del cuor mio/ con la durezza del cuor tuo...») e molti altri. Forse perché la scuola siciliana ha quasi esclusivamente come oggetto l´amore, mentre nei poeti arabi le tematiche sono assai diverse? Chiusa la parentesi.
Va soprattutto detto che la straordinaria importanza dei tre volumi mondadoriani non è solo nella grande quantità di testi finalmente raccolti e sistemati, ben 337. Ai poeti siciliani avevano in precedenza dedicato un´antologia Gianfranco Contini nel 1960 e due volumi Bruno Panvini nel triennio ‘62-´64. La prima era dotata di scarni commenti però priva di apparati critici, i due volumi antologici invece erano mancanti di commento. Questa edizione dei Meridiani è, al contrario delle antologie precedenti, una sorta di esaustiva trattazione globale che va dai temi generali ai dettagli filologici. Cito quanto scrivono i tre curatori al termine della loro introduzione: «Ogni autore ha una sua specifica nota biografica; ciascun componimento è preceduto da un´articolata introduzione. L´apparato critico, collocato al piede della pagina, è di tipo negativo, raccoglie cioè le lezioni che, a parte adeguamenti grafici spiegati nella Nota al testo dei singoli volumi, divergono dalla lezione assunta a testo. Segue il commento ad versum. Ogni volume è infine corredato da articolati Indici dei luoghi citati nel commento».
Fino a questo momento ho privilegiato i tre volumi agli occhi di coloro per i quali, professori, studenti, cultori, la scuola poetica siciliana è oggetto di studio o semplicemente d´interesse. Era doveroso per il grande impegno, l´assoluta serietà, l´acuta intelligenza, lo scrupolo estremo dei curatori e dei loro collaboratori.
Ma io personalmente non sono uno studioso della materia, ne sono particolarmente attirato, questo sì, per una specie di orgoglio di campanile, lo confesso, e quindi vorrei ora dedicare qualche rigo alla spiegazione di un aggettivo, gioiosa, che ho usato iniziando a parlare di quest´opera.
Perché gioiosa? Perché i poeti della scuola siciliana non facevano altro che parlare dell´amore, ragionare sull´amore, cantare l´amore. E l´amore, quando porta con sé sofferenza e pena, resta comunque un sentimento vitale e rivitalizzante.
Una leggenda dice che Federico amava riunire i poeti della sua corte a Enna, l´ombelico della Sicilia, dove aveva fatto costruire, oltre a un castello, anche una torre ottagonale nella quale gli scanni in pietra erano tutti uguali. Egli sedeva lì, accanto agli altri, non era nemmeno primus inter pares, si era spogliato di ogni emblema imperiale, e leggeva ai compagni le sue poesie per la donna amata (forse nessuna delle tre che sposò), attendendone con una certa trepidazione il giudizio.
In questi tre volumi tantissime voci diverse si cimentano dunque sopra un unico tema, tentandone tutte le variazioni possibili. Non si ha che l´imbarazzo della scelta.
«Meravigliosamente /un amor mi distringe», attacca Giacomo da Lentini. «Gioiosamente canto /e vivo in allegranza, /ca per la vostr´amanza /madonna, gran gioia sento», gli fa seguito Guido delle Colonne.
«Rosa fresca aulentissima», così Cielo d´Alcamo definisce l´amata. «Allegramente canto», dichiara Iacopo Mostacci. «Ben mi deggio alegrare», concorda Ruggerone da Palermo.
E Rinaldo d´Aquino: «Per in amore vao sì allegramente...».
E Stefano Protonotaro: «Pir meu cori allegrari...».
Mi fermo qui. Concludendo con un suggerimento ai lettori che ai severi cultori della sacralità della poesia potrà apparire addirittura blasfemo. Ma ricordo che un poeta come Paul Eluard usava dire che la poesia non solo non è sacra, ma deve servire agli uomini per uso quotidiano. Il suggerimento nasce da una domanda: vi piacciono le storie d´amore? Se la risposta è sì, allora portatevi i tre Meridiani sotto l´ombrellone, non temete, nemmeno l´Imperatore di sentirà offeso, anzi, lasciate che il vento ne sfogli le pagine, leggete una poesia a caso. E comunicate la vostra inevitabile emozione a chi sta accanto a voi. La poesia è fatta per questo, per essere condivisa.

Andrea Camilleri

(Recensione pubblicata su La Repubblica, 7 luglio 2008)



Last modified Wednesday, July, 13, 2011