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Homo berlusconensis




Grazie alla televisione Berlusconi ha creato una involuzione di homo sapiens a sua perfetta immagine e somiglianza. Un essere che rifiuta la cultura e l’intelligenza, che osanna alle virtù del Capo, che ne invidia lo stile di vita. Un grande scrittore traccia, come un naturalista, il catalogo classificatorio di questa solo parzialmente inedita specie zoologica.

Devo fare una premessa
assolutamente necessaria. Che in realtà è una doverosa precisazione. In queste poche pagine non prenderò in esame, tra le molteplici categorie e sottocategorie attraverso le quali il fenomeno dell’homo berlusconensis si appalesa, tutti coloro che del berlusconismo sono in qualche modo attivi e pubblici esponenti, collaboratori, operatori vuoi in qualità di membri del governo, del parlamento e del partito vuoi in quanto amministratori comunali, provinciali e regionali. La cosiddetta classe politica, insomma, di ogni ordine e grado.
E nemmeno m’attarderò a prendere in esame tutti coloro che ne sono diffusori del credo, in qualità, ufficialmente riconosciuta e retribuita, d’apostoli o di zelatori.
Ai quali, com’è noto, settimanalmente l’Idolo appare via etere comunicando il Verbo, la Parola da diffondere.
L’esclusione è dovuta al fatto che resta del tutto impossibile all’analisi verificare quanto il loro grado di purezza d’adesione all’ideale berlusconiano sia o non sia inquinato da fattori degenerativi quali, primo tra tutti, il desiderio di far rapida carriera, di guadagnare, d’avere un certo potere.
Prenderò in esame perciò solo l’homo berlusconensis communis, quello, diciamo così, puro, colui che, in parole povere, difende tutte le manifestazioni della berlusconità, quali che esse siano, al mercato o sul tram, che guarda l’attuale Tg1, il telegiornale di Rete 4, (Canale 5 no perché non sempre è rigidamente ortodosso), che non si perde mai un’apparizione di Berlusconi alla tv saltabeccando da una rete all’altra, che compra Il Giornale o Libero o tutti e due (il Foglio no, non si capisce bene cosa voglia) e che infine puntualmente lo vota senza ricavarne alcun beneficio diretto.
Trattandosi, a stare ai sondaggi, di una cifra attualmente oscillante tra il 25 e il 30 per cento degli italiani, non è chi non intuisca la molteplicità e la diversità della tipologia che si presenta a un’indagine sia pure superficiale come la nostra.
(…)

(…)
Così come la sacra scrittura afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, si può tranquillamente affermare che c’è stato un Uomo che ha saputo creare in Italia una televisione a sua perfetta, totale immagine e somiglianza, anche se questo non è detto in nessuna scrittura, sacra o meno. L’uomo che ha creato la televisione a sua immagine e somiglianza era in origine un uomo d’affari spregiudicato ma a parole osservante delle regole, cattolico dichiarato anche se poi (pluri) divorziato, sedicente liberale, furbissimo, anticomunista, ricco, di scarsa cultura, d’intelligenza mediocre, di statura un po’ più bassa della media, non bello, dotato di un italiano basico, che sapeva cantare canzonette francesi e napoletane, che amava le donne e gli piaceva passare per gran seduttore.
Inoltre, almeno ai primi tempi, aveva l’abilità persuasiva e la loquela spigliata e convincente di un venditore di macchine usate americano. Ragion per cui, in un paese dai linguaggi incomprensibili (il legale, il politico, il letterario, il critico eccetera) venne subito scambiato per essere «un grande comunicatore».
I palinsesti delle sue tre televisioni private infatti accuratamente bandirono ogni forma di cultura, anche quelle più popolari (come l’opera lirica), e ogni forma d’intelligenza.
Cultura e intelligenza sono parole che spaventano la maggior parte degli italiani.
Esaltarono invece i programmi di quiz, le serie televisive comiche americane con le risate incorporate che parevano fatte per un pubblico di dementi, i concorsi a facile premio, i programmi di varietà di bassa lega (tipo Colpo grosso e non è un caso che il suo ideatore occupi oggi il seggio di uno dei più importanti ministeri) e soprattutto le profuse nudità femminili (vallette, letterine eccetera), quasi proponendole come un diritto di «evasione nel sogno», parole di Eco.
Attraverso anni e anni di siffatto modello televisivo, la piattaforma culturale degli italiani, già di per sé tutt’altro che elevata, s’abbassò a gradi infimi, anche perché la tv di Stato s’affrettò ad adeguarsi seguendo il cattivo esempio.
Contestualmente, l’uomo che aveva creato la televisione a sua immagine e somiglianza, creò in breve tempo, proiettandosi attraverso le sue televisioni, degli uomini che, sia potenzialmente sia effettivamente, potevano dirsi a sua immagine e somiglianza.
Il circolo così si chiuse perfettamente.
Va detto che gran parte di quegli uomini avevano già in loro un humus predisposto e fertile dove i semi poterono attecchire con facilità e si svilupparono magnificamente.
In fondo, come scrive Eco, a quegli uomini non si chiedeva altro che d’essere ciò che già erano.
Solo che ora potevano esserlo a viso scoperto, alla luce del sole e soprattutto riconoscersi tra di loro.
Altri, e furono molti, invece subirono una trasformazione radicale. I più giovani, vale a dire i trentenni o poco più, nacquero e crebbero in quella coltura e in essa si trovarono perfettamente a loro agio come i pesci che nuotano nell’acqua senza sapere che l’elemento dentro il quale vivono è l’acqua. La tipologia dell’homo berlusconensis è dunque assai varia e non tutta catalogabile. Ma siccome da qualche parte bisognerà cominciare, comincerò dai tipi più semplici.
(…)

Ci sono due statuine
che non mancano mai in ogni presepe che si rispetti.
La prima è quella del contadino che davanti alla grotta col bambinello appena nato, alza, meravigliato e stupito, le braccia al cielo. In Sicilia è chiamato «‘u spavintatu do presepiu», perché la meraviglia che esprime è tale da sfiorare lo spavento.
La seconda è quella di un altro contadino che, poco lontano dalla grotta, se ne sta beatamente a dormire disteso per terra, dopo avere assistito al grande evento. Dalle mie parti è detto «l’addrummisciutu do presepiu».
Queste due statuine le prendo a prestito perché plasticamente raffigurano due diffusissimi tipi di homo berlusconensis.
Il primo è sempre pronto ad esprimere, con partecipata emozione, alte meraviglie qualsiasi cosa faccia il suo Idolo, sia che mostri le corna in una foto ufficiale di gruppo («come sa fare le corna lui, nessun altro!») sia che racconti una barzelletta stantia («nessuno è capace di raccontarle come lui!») sia che presieda una riunione di governo («nemmeno il mio preside a scuola»).
Tutto quello che Egli fa viene definito dall’entusiasta con superlativi assoluti e un sorriso beato sulla faccia. Questo tipo d’homo berlusconensis è trasversale, nel senso che va dal beota puro al docente universitario proposto per il Nobel.
A ben considerare, l’homo berlusconensis sempre e comunque acclamante, insomma colui che pratica il culto cieco della personalità, è la clonazione più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il balcone di palazzo Venezia.
A proposito. L’entusiasta ascolta il Verbo rapito, ad occhi chiusi, in stato di trance. Se è a casa, pretende il silenzio assoluto dai familiari. Al bar, fa lo stesso. Insomma, non vuole perdersi una parola. Ma attenzione: dopo, è assolutamente incapace di riferire quanto ha sentito. Al massimo, esclamerà, balbettando sconvolto dal piacere: “Ha parlato per quattro ore e mezzo filate!”. Per lui conta la quantità delle parole, non la qualità.
Il secondo tipo, il dormiente, può abbandonarsi al sonno perché Egli è nato alla politica, anzi, come ama dire, è disceso in campo. Quello è stato il suo Natale.
Probabilmente ha dovuto sloggiare da quella grotta che era la sua abitazione per far posto all’evento, ma in compenso gli è stato promesso un villino munito di tutti i comfort. Al risveglio, ne è certo, quel villino sarà suo.
Intanto, dorme.

(…)
Quanti hanno dato il voto a Berlusconi sapendo che mai e poi mai sarebbe stato in grado di mantenere le sue promesse, dalla riduzione delle tasse a sole tre aliquote al ponte sullo Stretto?
Non le ha mantenute? Bene, nessuna disillusione, lo sapevamo già che non ce l’avrebbe fatta, possiamo rivotarlo. L’importante non sono le promesse che fa, ma come le fa.

(…)

Io sono una vittima
di giudici comunisti come i signori Caselli e Violante, dichiarò Totò Riina imputato di una quarantina di omicidi e di diverse stragi.
Berlusconi è riuscito a convincere anche coloro che sono stati sempre tiepidi nei suoi riguardi d’essere oggetto di un’inaudita persecuzione giudiziaria da parte di una magistratura che egli usa definire con epiteti poco lusinghieri, addirittura offensivi. Secondo lui non c’è un magistrato, sia che operi in un semplice tribunale sia che appartenga alla Corte Costituzionale, che non sia politicizzato (le famose toghe rosse) e a lui avverso.
I fatti stanno diversamente, non solo non c’è persecuzione, ma talvolta anzi la giustizia è stata di manica larga con lui, ad esempio spostando le date di sentenze per non influire in modo sfavorevole su eventi politici.
Ora, com’è noto, l’Italia è il paese europeo dove si promuovono più cause civili e penali che altrove. In ogni processo, c’è chi viene assolto e chi viene condannato.
Ebbene, non c’è un condannato, uno solo, che non si proclami innocente e vittima di un’ingiustizia e che non consideri un persecutore il magistrato che l’ha condannato.
Attenzione però: anche chi ha subito una multa per sosta vietata o per aver fatto defecare il suo cane in un giardinetto riservato ai bambini si considera una vittima, un perseguitato.
Questo è un altro larghissimo tipo di homo berlusconensis per affinità elettiva.
Nelle quotidiane parole dell’Idolo contro la giustizia e i magistrati egli trova benefico nutrimento e il rancore che nutre gli si trasforma, dentro, in odio puro.
Se l’Idolo riuscisse a fare la tanto da lui sospirata riforma della giustizia, limitando al massimo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, questo non basterebbe all’homo berlusconensis (e, per dirla tutta, non solo a lui, ma a tanti altri anche di parte avversa).
La vera riforma della giustizia per l’homo berlusconensis sarebbe dimissionare, esiliare, in carcerare buona parte dei magistrati.
E non è detto che non sia la stessa di quella che in cuor suo sogna l’Idolo.

Quia nominor leo
è un’altra estesa categoria alla quale appartengono coloro che praticano quella che potremmo chiamare la prepotenza aprioristica. Non una prepotenza suscitata da una particolare situazione transitoria, ma una prepotenza quotidiana, un sistema di vita.
Nella famosa favola il leone tiranneggia l’agnello solo perché si chiama leone. Non ha altra motivazione.
Alla stessa stregua, l’homo berlusconensis ha sempre davanti a sé l’esempio che gli viene dall’alto, vale a dire la mancanza di rispetto delle regole e il raggiungimento di certi risultati con la sopraffazione, la prepotenza, la prevaricazione.
A questo esempio l’homo berlusconensis si adegua con entusiasmo. Quia nominor berlusconensis.
Così il costruttore edile non osserverà le regole di sicurezza e gli incidenti sul lavoro aumenteranno, cresceranno gli incidenti stradali perché molti automobilisti si sentiranno autorizzati a non rispettare il codice della strada... P
aradossi?

Una variante molto praticata
è quella della prepotenza mutante. Un tempo, i borseggiatori, colti sul fatto, si facevano cogliere da finte crisi epilettiche. Così come i ladruncoli, sorpresi con le mani nel sacco, si tagliavano con la mezza lametta che tenevano nascosta in bocca e cominciavano a sputare sangue.
Da borseggiatori o ladruncoli che erano, cercavano di trasformarsi in povere vittime.
L’Idolo è abilissimo, quando non gli va in porto un’operazione prevaricatrice (vedi il bavaglio alla pubblicazione delle intercettazioni) oppure una qualche mirabolante promessa (vedi lo sgombero dei rifiuti a Napoli in tre giorni) a trasformarsi in semipiagnucolante vittima vuoi delle circostanze, vuoi della crisi globale, vuoi d’ipotetici complotti, vuoi d’alleati infedeli.
Mai una volta che riconosca un suo errore. Uno come lui è sempre circonfuso dalla luce della verità.
L’homo berlusconensis che alla guida di una Ferrari lanciata a trecento orari travolge e uccide un vecchietto, e se ne scappa senza prestar soccorso, dirà immancabilmente, quando verrà preso, di esserne stato vittima, perché il vecchietto camminava in modo troppo esitante. E troverà un tribunale che gli darà ragione.
L’impresario edile sosterrà, per difendersi dall’accusa d’aver fatto morire degli operai nel suo cantiere, d’essere vittima delle troppe leggi sulla sicurezza nel lavoro. E troverà un ministro che gli darà ragione.
Un boss mafioso d’altri tempi
usava dire che due cose erano certe nella vita, le tasse e la morte. Oggi come oggi, penso che si limiterebbe ad affermare che di certo c’è solo la morte.
L’ampiezza raggiunta dall’evasione fiscale in Italia negli ultimi anni è assolutamente sconosciuta e addirittura impensabile negli altri paesi europei.
Berlusconi a parole dice di volerla combattere, ma ben sapendo che la maggior parte dei grandi evasori fa parte del fenomeno dell’homo berlusconensis, in concreto l’aiuta.
Vedi ad esempio la trovata dello scudo fiscale, il rientro dei capitali illecitamente esportati col pagamento di una percentuale assolutamente ridicola. O le transazioni di favore, per cui l’evasore di tre miliardi di euro se la cava con una multa di tre milioni.
Recentemente Berlusconi ha avvertito gli italiani che la caduta del suo governo comporterebbe un altro governo, diverso dal suo, che farebbe rispettare il pagamento delle tasse.
«Questo sì che è un pericolo serio!», ha esclamato atterrito l’homo berlusconensis.
E allora alcuni deputati-zelig, con l’approvazione dei loro elettori, hanno salvato il governo evitando la sciagura.
Chi paga le tasse fino all’ultimo centesimo è considerato dall’homo berlusconensis come un fesso o un reietto.
Nel rovesciamento totale dei valori avvenuto nel nostro paese, chi paga le tasse è un individuo di cui non ci si può fidare.
Gli uomini onesti sono da evitare come la peste.

(...)

Il barone di Münchhausen,
il personaggio creato alla fine del Settecento dallo scrittore tedesco Raspe, raccontava d’aver compiuto imprese mirabolanti come salire al volo sopra una palla di cannone e viaggiare con essa o come aver sentito crescere l’erba poggiando l’orecchio a terra. La nota più caratteristica del personaggio era che credeva alle storie che raccontava pur sapendo di essersele inventate di sana pianta.
Vi ricorda qualcuno?
Attenzione però. Mentre il barone non raccontava le sue storie mirando a un fine pratico e immediato, ma solo per il gusto di stupire, le storie del nostro piccolo Münchhausen sono tutte finalizzate a un unico scopo: creare consenso.
Quindi egli non racconterà d’avere camminato sulle acque, ma di essere il miglior capo di governo mai avutosi in Italia, il più amato (“io, quando cammino per strada, blocco la circolazione”), il più presente negli eventi tragici da L’Aquila a Viareggio, magnificherà d’essere uno statista che dà consigli indifferentemente a Putin e a Bush e via di questo passo.
Nel suo piccolo, l’homo berlusconensis si considera e vuole che gli altri lo considerino come il meglio in tutto: il miglior padre di famiglia (anche se ha tre amanti), il miglior cliente della banca (anche se ha firmato assegni a vuoto), il miglior amico (anche se è pronto a tradire l’amicizia se ci trova un tornaconto) eccetera. E tale profondamente si crede.
L’homo berlusconensis quale sottoprodotto del piccolo Münchhausen vive e opera in una fittizia realtà di comodo.

In ogni paese d’Italia
da sempre c’è un personaggio locale, che si chiami Gigetto, Toni, Efisio, Pippuzzu, Carlìn, non importa, soprannominato «il pallonaro».
È quello che le spara grosse per il gusto di farlo. Non ne può fare a meno, fa parte della sua natura. Mentre della sua natura non fa parte la verità, anche quella più piccola, più insignificante.
Il pallonaro costituisce una sottocategoria della precedente. L’homo berlusconensis è naturaliter pallonaro sempre e comunque.

Sottocategoria collaterale
è quella di colui che mente sempre sapendo di mentire. La menzogna in Italia è stata istituzionalizzata.
Il più recente esempio è costituito dalla mendace affermazione del premier che un’extracomunitaria minorenne senza documenti, accusata di furto, già frequentatrice di festini presidenziali, era in realtà la nipote del presidente egiziano Mubarak e che perciò andava liberata subito e affidata a una consigliera regionale che altri non era che la bella ex igienista dentale del premier stesso.
Un intrigo da operetta da belle époque nel quale l’homo berlusconensis si è immediatamente riconosciuto e immedesimato, invidiandone il protagonista.
Ah, che uomo furbo! Come sa cavarsela sempre! Ah, poter fare lo stesso!

Il catalogo è questo
canta il servitore di Don Giovanni nell’opera omonima di Mozart e giù una sfilza di numeri che rappresentano le conquiste femminili del suo padrone in varie parti d’Europa.
Per lungo tempo l’homo berlusconensis considerò l’Idolo, che poteva vantare un catalogo meno affollato ma pur sempre straordinario, come una sorta di astratto risarcimento d’ogni grama vita sessuale.
Perché, nella realtà, Egli rimaneva «un ideale di fatto irraggiungibile », per dirla con Eco.
Mentre le foto sui rotocalchi lo ritraevano con tre procaci ragazze sulle ginocchia o con seminude fanciulle sui bordi delle innumerevoli piscine della sua residenza sarda, mentre altre foto mostravano lo sbarco da un aereo di un plotone di ballerine di fandango, di danzatrici del ventre, di vallette televisive accorse a dare il cambio alle colleghe stremate, voci ammirate propalavano la sua sovrumana resistenza, la sua strabiliante capacità di reiterazione, la sua inesausta inventiva.
Poi accadde che l’Idolo scese a mezza costa dall’Olimpo allorché si riseppe che non disdegnava intrattenersi con escort delle quali era «l’utilizzatore finale» (definizione del suo legale onorevole Ghedini), dato che venivano pagate da compiacenti procuratori.
Questa notizia anziché abbassarne il prestigio dongiovannesco, come ci si sarebbe aspettato, ne ampliò il consenso.
Ora l’homo berlusconensis infatti poteva «utilizzare» una prostituta qualsiasi illudendosi d’essere come lui, sia pure per una notte e sotto un certo, limitato aspetto.
Mai, certamente, sotto quello della conclamata, erculea, possente virilità.

L’elenco potrebbe continuare per altrettante e passa pagine. Ma preferisco fermarmi qui.

Andrea Camilleri

(brani pubblicati su Il Messaggero del 25.1.2011, Il Fatto Quotidiano del 25.1.2011 e La Nuova Sardegna del 2.2.2011)

 



Last modified Wednesday, July, 13, 2011