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Il re di Girgenti



Autore Camilleri Andrea
Prezzo L. 22.000
Pagine 221
Data di pubblicazione 12 ottobre 2001
Editore Sellerio
Collana La memoria n.520
e-book € 9,99 (formato epub, protezione acs4)


Nel giugno del 1994 nella libreria romana quotidianamente frequentata mi capitò di sfogliare un libretto intitolato Agrigento. E subito lessi queste parole che riporto e che si riferivano a un episodio del 1718 accaduto in quella città, quando si chiamava ancora Girgenti: Il popolo riuscì allora a sopraffare la guarnigione sabauda, strumento di un sovrano scomunicato dal pontefice, assunse il controllo di Girgenti e puntò a riorganizzare il potere politico disarmando i nobili, facendo giustizia sommaria di diversi amministratori, funzionari e guardie locali, e addirittura proclamando re il proprio capo, un contadino di nome Zosimo. Ma la mancanza di un realistico programma politico privò di sbocchi positivi quella protesta distruttiva, e poco dopo fu facile per il Capitano Pietro Montaperto avere ragione degli insorti e riprendere il controllo della città. Restai strammato. Ma come, Agrigento, dove ho studiato fino al liceo, era stata, sia pure per poco, un regno con a capo un contadino e nessuno ne sapeva praticamente niente? Comprai il libretto edito da «Fenice 2000» (autori ne erano Antonino Marrone e Daniela Maria Ragusa), lo lessi trovandolo estremamente interessante. Due mesi dopo andai in vacanza al mio paese che dista qualche chilometro da Agrigento e riuscii a mettermi in contatto con Antonino Marrone. Fu gentilissimo, mi spiegò che quella vicenda l'aveva letta nelle Memorie storiche agrigentine di Giuseppe Picone, edite nel 1866. Un amico me ne regalò una copia anastatica. Picone dedica all'episodio due frettolose mezze paginette, definendo «belva inferocita» lo Zosimo e mantenendosi sempre sulle generali, tanto che non si capisce se il re sia stato giustiziato o se sia morto d'influenza. Di Zosimo si parla macari nel primo dei tre volumi di Luigi Riccobene, Sicilia ed Europa (Sellerio 1996): una decina di righe in tutto, dalle quali si apprende che Zosimo beveva vino miscelato con polvere da sparo. Tutte queste omissioni, distrazioni, tergiversazioni non fecero che confermarmi nel proposito di scrivere una biografia di Zosimo senza fare altre ricerche, tutta inventata. Le poche pagine che non sono di fantasia il lettore le riconoscerà agevolmente. Come agevolmente potrà riconoscere le citazioni (ad esempio, le «leggi» di Zosimo, scritte su un albero scortecciato, sono prese in prestito dall'abate Meli). Ancora: molte parole, verbi, avverbi sono talvolta scritti in modo ineguale; ma non si tratta né di errori né di refusi. Un grazie di cuore ad Angelo Morino, gentilmente intervenuto a correggere i miei azzardi «spagnoli».

Andrea Camilleri

Il cielo è tutto un presagio. E la terra un prodigio. In questo romanzo di Camilleri, che un'escursione compie nel mondo della fantasia. Tra dolenti tenerezze e corrotti desideri. Tra conquassi e magici incanti. Tra asprezze di vita e corrotti desideri. A iscrizione di fortuna. E sempre sul filo dei divertimento, come in un gioco di teatro. Anche quando il mondo è posto in maligno; ed è flagellato da siccità, carestia, peste e terremoto. Gran fatti, e portentosi, accadono in Sicilia. Sullo scorcio del Seicento. E all’inizio del Settecento. Eventi fuori dal comune. Che la narrazione di Camilleri insegue, nei loro lunghi avvolgimenti. E la scrittura rende spettacolari: ora incline al grottesco, ora al visionario; dispiegandosi tra le "miserie" guittesche di Callot e i "capricci" di Goya; tra la sensualità dei mistici dei Siglo de oro e la ferinità degli istinti. E' una "storia", Il re di Girgenti. Ma anche un "cunto". E un récit-poème, con il suo vibrato poetico. E' la biografia fantastica, infine, di un capopopolo: del contadino Zosimo, che nel 1718 divenne re di Girgenti; e prima di essere tradito da un giuda gentiluomo, e finire sulla forca, riuscì a regalare un "sogno" di dignità ai suoi affamati e scalcagnati sudditi. Un "sogno": che è il picco più avventuroso e rivoluzionario della fantasia. "Come fu che Zosimo venne concepito". Comincia con questo titolo la prima parte della biografia di Zosimo. Con un attacco che finge di essere cronachistico. Per adeguarsi a un modello da indovinare, o da inventarsi. Per tornare ai tanti "come fu" che scandiscono la Cronica detta di Anonimoromano del Trecento, ma di fatto scritta da Bartolomeo di Iacovo da Valmontone. Un capolavoro, che dei tribuno dei popolo Cola di Rienzo raccontò il sogno di una restaurata grandezza repubblicana; e la morte straziata. E neppure si ricorderebbe la Cronica, qui, se non fosse per la qualità delle due opere; e per quella solidarietà di scrittura, che il dialetto di Camilleri rende tanto necessario e naturale, quanto il romanzesco dei cosiddetto Anonimo. Tutto un popolo di figure deliziosamente assurde, strambe, o lepide, si muove nel gran teatro dei romanzo. A partire dal valletto Cocò, con le sue effeminate cacherie. Fino al mago Apparenzio. A don Aneto, che fa l'amore con gli afrori. E allo spiritato padre Uhù, che con il diavolone Zaleos dialoga, uscito fuori dalle acque a cavallo di coccodrillo; e con i diavolacci tutti contrasta, dopo avere scoperto il proprio "potere", affrontando un esercito di morchiose e indemoniate lumache. Conta anche la "cornice", in questo romanzo. Che l'accordo con la morte, e con la sua qualità indolore, mette in scena. Nell'antefatto secentesco. E nell'epilogo settecentesco. Con il futuro padre di Zosimo, Gisuè, che suo malgrado salva dalla morte un principe suicida, e la stesso principe poi aiuta a suicidarsi. E con il finale precipizio della vita di Zosirno. Il re contadino sale i sei gradini dei patibolo. E si trova faccia a faccia con i fantasmi della propria vita. Procede a tappe, verso la sommità. Sono attimi intensi, che contano quanto le sei giornate della creazione. O meglio, della ricreazione della vita nella morte. Zosimo muore, sollevato dal fantastico aquilone che lui stesso ha costruito e liberato nel venticello del mattino. "Quale occhio può vedere se stesso?", si chiedeva Stendhal. Un condannato a morte non può vedersi morto. Eppure Zosimo apre, ancora una volta come in un gioco di teatro, e con gioia infantile, la sua ultima scena. Si tiene allo spago dell'aquilone. E guarda giù, nella piazza. Vede un palco. E vede un corpo inerte, che penzola dalla forca. Ride. E' l'ultima rivincita della fantasia. Il re di Girgenti è il gran romanzo di Camilleri, che tutti aspettavamo.

Salvatore Silvano Nigro

L'incoronazione di Zosimo interpretata da Stefano Caruano (da Stilos, 02.10.2001)

Andrea Camilleri visto da Giuseppe Veneziano in un disegno originale (da Stilos, 02.10.2001)
 





Edizione speciale Seguito da una appendice di testi originali dell’autore
Prezzo € 20,00
Pagine 550
Data di pubblicazione 15 luglio 2021
Editore Sellerio
Collana Fuori collana n.31
e-book € 13,99 (formato epub, protezione acs4)


Una nuova edizione de Il re di Girgenti arricchita da un’intera sezione originale. Un omaggio a Camilleri a due anni dalla sua scomparsa. Un’epopea appassionante sullo sfondo dei grandi eventi della Storia, un inno alla libertà, un romanzo dal respiro epico che consacra lo scrittore non solo per le sue doti uniche di narratore, ma anche per la potenza dello stile e dell’immaginazione.

Il re di Girgenti è il libro per molti aspetti più rappresentativo dell’opera di Andrea Camilleri. In esso, più che in altri, si fondono il lavoro sul linguaggio e lo studio degli scenari storici e sociali, il tono giocoso si alterna a quello drammatico, si fa ricorso ai diversi generi tra cui il fantastico. Era il romanzo che più amava, quasi un manifesto della sua passione politica e libertaria. Esemplare dello stile di creazione che seguiva. A partire da un «grumo» di notizia riguardante la proclamazione di un proprio re, nel 1718, da parte del popolo di Agrigento in rivolta, lo scrittore inventa la biografia di Michele Zosimo, il Re contadino, e la sviluppa come un cuntu, sullo sfondo una quantità di storie fantasiose e di personaggi colorati. Questa edizione del Re di Girgenti, rispetto a quella originale del 2001, aggiunge al testo un’Introduzione di Salvatore Silvano Nigro e un’Appendice contenente i «documenti e le testimonianze» creati da Camilleri. Queste pagine all’inizio erano dentro al romanzo quali «autentici falsi d’autore» (Camilleri), «carte» inventate di sana pianta per dare sostanza di verità alle vicende. L’autore in seguito decise di escluderle. Pubblicarle oggi offre un panorama più vasto della sua narrazione: non solo come informazione, ma anche per l’inventiva, l’umorismo, la carnalità, il senso dello spettacolo.



Viva il re di Girgenti e le sue carte false!

(Anticipazione della Introduzione di Salvatore Silvano Nigro, dal titolo Un teatro di carte e di scrittura, pubblicata su Il Sole 24 Ore - Domenica, 11.7.2021)

«Non ho testa di storico» e nemmeno pratica di archivi, alla ricerca di «carte e documenti», ha dichiarato Camilleri nel 1984, in calce a La strage dimenticata. Sull'argomento Camilleri è tornato nella Nota apposta a Il re di Girgenti del 2001. Nell'occasione ha aggiunto che gli è bastato un grumo di verità storica, la scheggia di una notizia verificata su qualche libro raro di storico o erudito locale per convincersi a costruirvi sopra un intero romanzo. Il truciolo informativo riguardava un episodio accaduto a Girgenti, poi Agrigento, nel 1718. Il popolo insorto aveva proclamato re un contadino di nome Zosimo. La fonte d'informazione era sicura. E Camilleri, che dichiarerà di avere studiato il mondo contadino siciliano, la sua mentalità, i suoi costumi, la sua realtà di vita, il suo linguaggio grasso, sul documentario narrativo offerto da Le parità e le storie morali dei nostri villani pubblicato nel 1884 da Serafino Amabile Guastella, aveva conoscenza di casi simili legati alla nascita nel «popolo» di un «embrione di etica civile» tutte le volte che interveniva una «perturbazione sociale».
I documenti sono i ferri del mestiere dello storico. Per essi aveva affezione Camilleri, tanto da darsene di immaginari, quando non ce n'erano di veri. Li fabbricava lui, i documenti, con perizia antiquaria, riconoscendo a se stesso licenza d'invenzione letteraria; e senza sottoporsi all'onerosa distinzione di vero e di falso, non certo per cadere nel gratuito, ma per consegnarsi interamente all'artificio della letteratura che crea la propria realtà: la sua verità più intima, più vera, altrimenti indocumentabile. Come l'abate Velia, il falsario «romanziere» del Consiglio d'Egitto di Leonardo Sciascia, Camilleri avrebbe potuto dire che c'è «più merito ad inventarla, la storia, che a trascriverla da vecchie carte, da autentiche lapidi, da antichi sepolcri; e in ogni caso» ci vuole «più lavoro». Tolta la data dell'incoronazione di Zosimo, e tolto il quadro storico generale, il romanzo del re contadino è «tutto» d'invenzione, ha scritto Camilleri: da lui rigorosamente impiantato, però, su una congrua documentazione fatta di «autentici falsi d'autore»; e abilmente intrecciato su fonti fittizie.
La composizione del Re di Girgenti impegnò molto Camilleri, e a lungo: dal 1994 al 2001. Adesso il romanzo viene riproposto da Sellerio come omaggio allo scrittore a due anni della sua scomparsa, avvenuta il 17 luglio del 2019. Con una novità. La ristampa aggiunge in appendice, per la prima volta nella sua totale integrità, il dossier comprendente tutti i documenti finti (lettere private, frammenti d'opere, note ufficiali, pagine di diari, certificazioni, cronache, cronologie narrative) che con le loro vocabolerie camilleresche, gustosamente raccontano tutto un pullulare di storie, di novellette e teatrali equivoci: un altro romanzo dietro il romanzo che, in quanto tale, risulta inedito.
Di notevole interesse è il documento dieci. Accoglie i lacerti di una fantomatica biografia ottocentesca di un tal Gerlando Musumarra, intitolata Michele Zosimo, il Reprobo. I pochi frammenti sarebbero quanto rimane di un libretto pubblicato a Girgenti in appena dieci copie. Nove di questi esemplari erano stati subito sequestrati dalla polizia, e dati alle fiamme. L'autore era stato arrestato «per attività cospiratoria» e condannato all'impiccagione. La copia superstite aveva dovuto affrontare nel tempo un incendio, un terremoto, un'alluvione. I pochissimi brandelli sopravvissuti, qua e la smozzicati, erano stati messi in salvo dal notaio Amedeo Bongiovanni che se ne fece glossatore. Il Musumarra (che professava «idee assai più sovversive e rivoluzionarie» di quelle del re contadino), per eludere la censura aveva finto di scrivere un li libello, commenta il notaio, e di fatto (a saperlo smorfiare) aveva proposto un panegirico: a partire da quel «Reprobo» del titolo che alla lettura dovrebbe suonare «Re probo».
La biografia scritta da Gerlando aveva dato molto spazio alle leggi rivoluzionarie (contro le guerre, sull'abolizione della nobiltà e sulla ridistribuzione delle terre) che Zosimo aveva inciso sul tronco scortecciato di un sorbo. Le aveva date in versi e le aveva definite «uno sproloquio». Però il curatore dei frammenti ha continuato a proporre una sua lettura a rovescio del testo di Musumarra. Ha scritto: «È risaputo, attraverso la tradizione orale, che Michele Zosimo non sapeva assolutamente far versi... Allora perché il Musumarra fa parlare e scrivere in versi lo Zosimo? Bisogna anzitutto dire che questi versi che il Musumarra (operando alcune varianti) attribuisce a Michele Zosimo in realtà appartengono al nostro poeta Giovanni Meli. Essi fanno parte del poema [Don. Chisciotti e Sanciu Panza] che il Meli iniziò a scrivere nel 1785 e che diede alle stampe due anni dopo. Chiaramente il Meli presta al suo personaggio Don Chisciotte le "Leggi" promulgate da Michele Zosimo anni avanti e delle quali era certamente a conoscenza. Perché allora il Musumarra ha fatto ricorso a questo sotterfugio? Evidentemente ancora una volta nel tentativo di eludere la censura: egli infatti avrebbe sempre potuto difendersi sostenendo di avere riportato nel suo libro una pura e semplice elucubrazione poetica non attinente a nessuna realtà».
Con evidenza il doppio apocrifo, il testo del Musumarra e la glossa del notaio curatore, danno patente di verità storica all'invenzione letteraria del Meli basata (si dice) sulla realtà delle «leggi» di Zosimo. Un falso ha dato certificazione storica a una fantasia da poema eroicomico. Si apre un gioco vertiginoso. Da parte sua Camilleri, forte della testimonianza offerta da un falso da lui stesso costruito, nel suo romanzo (storico) ha ritradotto in una prosa plausibile, ascrivibile a Cosimo, le «leggi» in versi del Meli; e solo nel fuoriscena della Nota al romanzo, come sussurrando all'orecchio del lettore, ha dichiarato il «vero»: «le "leggi" di Zosimo... sono prese in prestito dall'abate Meli».
Il re di Girgenti è ascrivibile ai romanzi storici, che alla storia uniscono l'invenzione; anche se, nel romanzo di Camilleri, predominante è la fantasia: l'immaginazione di un favolatore ariostesco che racconta la meraviglia di un mondo battuto da prodigi e magherìe. Il modello manzoniano (di quel Manzoni falsario, che ha introdotto nella letteratura italiana il manoscritto ritrovato di un Anonimo d'invenzione) è presente nel romanzo con allusioni e citazioni. E Manzoni in persona è evocato nel romanzo, ma in trasfigurazione: nei panni del «notaro Alessandro Minzoni, storico vescovile girgentano».



Last modified Thursday, July, 15, 2021