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Riunione in Sicilia



Autore Jerre Mangione
Prezzo E 9,30
Pagine 308
Data di pubblicazione 1992
Editore Sellerio
Collana Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura


Per Andrea Camilleri e Dante Bernini

Con una nota di Giuseppe Prezzolini
Traduzione di Maria Anita Stefanelli

Jerre Mangione pubblicò "Reunion in Sicily", edito in Italia da Sellerio nel 1992, con la dedica a Andrea Camilleri e Dante Bernini. Camilleri, oltre ad essere presente nella dedica, fa la sua comparsa nel racconto, con lo pseudonimo di Andrea Bellini, colui che farà da guida all'autore tra Agrigento e Porto Empedocle nella sua discesa agli inferi isolani. "Reunion in Sicily" piacque parecchio a Giuseppe Prezzolini, che così ne parlò: «Questo libro resterà come un buon documento, che sarà esplorato un giorno da chi vorrà conoscere, non attraverso le rapide e spesso compiacenti e spessissimo incompetenti relazioni dei reporter americani, lo stato d'animo della media e piccola borghesia dell'isola nell'immediato dopoguerra». Al centro della narrazione, c'è la famiglia siciliana, con la sua forza mitologica, insieme fiabesca e patetica. Con la sua mostruosa fascinazione. Libro "parlante" lo definì Prezzolini, cogliendo la sua natura imprendibile, il suo essere resoconto e narrazione insieme.
Salvatore Ferlita (La Repubblica (ed. di Palermo), 22 giugno 2008)

«Il libro sull'Italia che ho letto in questi giorni con sentimento più sicuro di trovarmi davanti a qualcosa di saldo è una specie di diario di uno scrittore itala-americano ­scriveva nel 1954 Prezzolini -. Questo libro del Mangione resterà come un buon documento, che sarà esplorato un giorno da chi vorrà conoscere lo stato d'animo dell'isola nell'immediato dopoguerra». La Riu­nione in Sicilia è quella che tenta un italiano d'America di seconda generazione, con le sue radici siciliane - precisamente della parte più povera e lontana dell'agrigentino ­nel primissimo dopoguerra, nel pieno, tra l'altro, del primo sorgere di una coscienza rivendicativa contadina, e del referendum monarchia-repubblica. E scorrono, nelle pagine di questo diario letterario di un ritorno anelato e fallito, ritratti di persone e situazioni - buona gente in via di estinzione, aristocratici spersi in case e storie troppo grandi, borghesi, contadini, delusi, nostalgici, opportunisti e profittatori ansiosi di un futuro che rapido verrà -, e su tutto una miseria materiale che è ancestrale visione del mondo, e un aleggiante giudizio metastorico, demopsicologico, di filosofia della storia siciliana, che giunge - a chi leggerà questo libro del 1950 - come la faccia scabra e rude di quella stessa mitologia che il Gattopardo, qualche anno dopo, tesserà di più lieve letteratura. Mangione è autore di uno strano e bel libro (Ricerca nella notte, del 1965) in cui, da ambienti di siciliani in America, si leva una trama da thriller. Leggendo quest'altro libro, si ha l'impressione che la penna non abbia voluto o potuto sollevarsi alla fantasia narrativa, gravata dal peso di una realtà da rispettare.

Jerre (Gerlando) Mangione è nato nel 1909 nello Stato di New York da genitori originari della provincia di Agrigento. Dopo un'infanzia e un'adolescenza nei quartieri dell'immigrazione, si dedica alla letteratura. Dal 1961 è professore emerito di Letteratura americana presso l'Università di Pennsylvania. Tra le sue opere: Mont'Allegro (1945, pubblicato in Italia nel 1983), The Ship and the Flame (1948), A passion for Sicilians (1968), The Dream and the Deal (1972), An Ethnic at Large (1978). Con Sellerio ha pubblicato Ricerca nella notte (1987).


Porto Empedocle, 27 marzo

Stamattina Andrea ed io siamo andati alla casa natale di Luigi Pirandello. Per la strada abbiamo parlato degli scrittori americani che ha letto e amato e poi abbiamo parlato di lui. Presto partirà per Milano per andare a lavorare come curatore in una casa editrice. Una rivista letteraria italiana molto quotata - «Mercurio» - ha accettato alcune sue poesie, e lui è pieno di speranza e ambizione, qualità che ho trovato raramente tra i giovani siciliani. Gli chiedo perché voglia lasciare la Sicilia e lui ribatte adeguatamente: «Che cosa ha indotto te a lasciare la tua città natale per andare a New York? ».
Intellettualmente, la Sicilia è troppo limitata per i suoi gusti. Una volta al mese si reca a Palermo, «per necessità », per andare a concerti e a teatro, e per leggere da una raccolta degli scritti di Proust in possesso di un suo amico. Secondo Andrea, è l'unica raccolta di Proust in Sicilia. Queste escursioni lo aiutano a « sopportare» il provincialismo di Porto Empedocle, anche se lo privano del denaro che spenderebbe normalmente in articoli di abbigliamento. Suo padre, che ha un importante posto statale, guadagna 23.000 lire al mese (meno di cinquanta dollari americani), appena sufficienti perché la famiglia possa vivere e vestirsi. Nessuno di noi due riesce a capire come possano sopravvi­vere le altre famiglie di Porto Empedocle e del resto della Sicilia, poiché il salario medio di un operaio è circa la metà dello stipendio di suo padre.
[…]
Andrea è stato qui spesso, ma non riesce ad astenersi dal chiedere ad un contadino che lavora la terra se quello è il luogo in cui è nato Pirandello. Con gran delizia di Andrea, il contadino risponde esattamente come aveva previsto: «Sì signore, il pazzo abitava qui».
«Pazzo», mi spiega Andrea, non solo perché si guadagnava da vivere scrivendo, ma anche perché aveva espres­so la volontà, nel testamento, che il suo corpo fosse cremato. «Può essere un grande scrittore per il resto del mondo, ma per i contadini di cui scriveva era soltanto un eccentrico».
Una volta intervistai Pirandello a New York, pochi mesi prima della sua morte, e racconto ad Andrea come si eccitò a scoprire che anche mio padre era nato a Porto Empedocle e ricordava di essere stato a casa sua. Andrea ricorda che sua nonna era una sua amica d'infanzia. «Quando ero molto giovane, Pirandello venne a casa nostra a trovarla. La abbracciò e pianse. Vedere un vecchio con la barba che piangeva mi colpì, così mi misi a piangere anch'io. Quella fu l'unica volta che lo vidi».
Pirandello lasciò Porto Empedocle quando aveva sedici anni ma continuò a ritornarci per brevi periodi durante tutta la vita. Si racconta che ad ogni visita si rinchiudeva con un amico di Agrigento che teneva un'accurata registrazione di tutto ciò che accadeva alle persone di quella zona. Ritornava poi a Roma e scriveva novelle sulla base delle informazioni fornite dall'amico. Andrea insiste che la storia deve esser vera, perché, morto l'amico, Pirandello immediatamente smise di scrivere racconti sui siciliani e co­minciò a scrivere commedie con temi astratti.
Ad alcune centinaia di metri dai resti della casa, c'è il pino sotto i cui rami Pirandello, da ragazzo, giocava e sognava. È da qui che ha espresso il desiderio che le sue ceneri fossero disperse, ma grazie alla burocrazia e ai pre­giudizi locali, le ceneri riposano nel museo di Agrigento. Nel 1942 Andrea ed alcuni suoi amici letterati chiesero il permesso alle autorità di portarle al sito del pino. La richiesta non fu accettata sulla base del fatto che Pirandello era stato antifascista. Nel 1946 fecero la stessa richiesta alle nuove autorità al potere, e di nuovo la risposta fu negativa. Questa volta la spiegazione fu che Pirandello era stato fascista.
«Il che è la dimostrazione», osserva Andrea, «che non era né l'uno né l'altro. È anche la dimostrazione che chi cerca di mischiare politica e letteratura dovrebbe farsi visitare la testa».
Gli ammiratori di Pirandello, ed anche i suoi familiari, sono dell'opinione che le ceneri dovrebbero esser portate al pino e disperse al vento, secondo la sua richiesta. Le autorità non lo consentono. La cremazione è abbastanza sconvolgente, essi sostengono, senza accondiscendere all'ulteriore azione blasfema di gettare al vento i resti di un uomo. La posizione ufficiale è che alle ceneri si debba dare onesta sepoltura cristiana sotto il pino. Quando si ricorda loro che Pirandello era ateo e non dovrebbe essere assog­gettato alle convenzioni cristiane, dice Andrea, «perdono la pazienza e ci accompagnano alla porta».
[…]
Capisco molto bene l'amore di Pirandello per il pino. Si erge alto ed elegante, con i suoi rami snelli protratti verso il mare. Una volta scrisse una poesia per l'albero, dicendo che partiva per prendere un'altra strada, ma che un giorno sarebbe ritornato per rimanere per sempre. Andrea ed i suoi amici vorrebbero far incidere questa poesia su una targa da deporre alla base del pino.
Ci siamo incamminati all'orlo del promontorio vicino a guardare le onde rotolare nella cala sottostante. «Questo posto ha sempre significato tranquillità per me», dice Andrea. «Durante la guerra c'erano cannoni tutt'intorno ed era territorio proibito, ma io ci venivo lo stesso. Un giorno, mentre leggevo sotto il pino, vidi un piccolo aeroplano venire dritto verso di me - un aereo britannico. Non produceva alcun suono. Lo vidi avvicinarsi sempre più, finché atterrò nel campo vicino rovesciandosi. Dapprima ne fui spaventato, ma non vedendo nessuno uscire dall'aereo, raccolsi abbastanza coraggio per indagare. Dentro l'aereo trovai un giovane pilota; era morto.
«Immagino che si fosse suicidato. Il volto aveva un'espressione meravigliosamente serena, e sono sicuro che morì felice. Mi sono chiesto spesso chi fosse, come fosse stata la sua vita».


Un Venerdì di Quaresima

[…]
La bandiera bianca in pugno al Cristo risorto, invece di quella rossa, come vuole la tradizione, mi disorientò finché non sentii la spiegazione di Andrea. Nell'ultima campagna elettorale i comunisti avevano diffuso la storia che Cristo era stato comunista, e, a riprova di ciò, avevano addotto la bandiera rossa che Cristo teneva in pugno dopo ogni resurrezione. La storia fu accettata da così tanta gente che il clero locale cominciò a prendere in considerazione la possibilità di sostituire la bandiera rossa con una bianca. Alcuni preti obiettarono a tutto ciò sulla base del fatto che bandiera bianca significava resa. Come fu osservato da uno di loro, un Cristo che si arrendeva facilmente era quasi al­trettanto indesiderabile di un Cristo comunista.
Per un certo periodo il clero raggiunse un compromes­so: Cristo non avrebbe portato alcuna bandiera. Ma i prelati non tenevano conto di un fatto importante - Cristo, senza bandiera, sembrava fare il saluto comunista, con il suo bel pugno chiuso. Quando si resero conto di che gaffe sarebbe stata, ritornarono immediatamente indietro all'alternativa della bandiera bianca. «Ed ora», disse Andrea, «i comunisti affermano che i preti stanno sabotando il Cristo, facendolo apparire uno smidollato invece di un compagno militante come loro sono certi che sia».
[…]



Last modified Wednesday, July, 13, 2011