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Se

Ai primi di novembre del 1947 terminai un poemetto, Tempo, al quale avevo intensamente lavorato per alcuni mesi, e lo spedii subito a Pasquale Prunas per la sua rivista «Sud».
Di «Sud», misteriosamente, arrivavano in un’edicola di Agrigento (io allora vivevo a Porto Empedocle, a pochi chilometri dal capoluogo) tutti i numeri che venivano via via editi e la lettura di quelle pagine mi provocava, ogni volta, un’emozione fortissima, coinvolgente, assai difficile da descrivere.
All’epoca, avevo pubblicato due poesie sul mensile «Mercurio», fondato e diretto a Roma dalla scrittrice Alba de Cespedes, qualche racconto sui quotidiani «L’ora» di Palermo e sul romano «L’Italia socialista» che dirigeva Aldo Garosci e che aveva una bella terza pagina. In più, un altro mio poemetto, Due voci per un addio, era stato appena segnalato al Premio Libera Stampa di Lugano da una giuria che comprendeva i nomi di Carlo Bo e Giansiro Ferrata. Conservo ancora il foglietto che mi mandarono da Lugano: quei giurati avevano la vista lunga perché tra i finalisti c’erano Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Davide Maria Turoldo, Danilo Dolci, Maria Corti. Eravamo tutti molto giovani. Io non conoscevo personalmente nessuno, stavo a Porto Empedocle e mandavo le mie poesie come messaggi in bottiglia da un sommergibile affondato. E ogni tanto qualcuno mi rispondeva e pubblicava.
Con «Sud» la cosa però era un pochino diversa. Perché io mi sentivo perfettamente in sintonia con i poeti di «Sud» (Compagnone, Porzio, Scognamiglio, La Capria, mi pare Giglio) e con la loro idea di poesia.
Dunque, senza conoscere Prunas, gli inviai il poemetto. Mi rispose a giro di posta, scrivendomi che Tempo gli era molto piaciuto, tanto da volergli dedicare addirittura la pagina centrale del numero in preparazione.
Che non vide mai la luce. Con molta cortesia, la sorella di Prunas, Renata, mi ha mandato la fotocopia del poemetto. Vedo che nella prima pagina, in alto a sinistra, ci sono delle indicazioni tipografiche per la stampa: segno che Prunas aveva veramente sperato di pubblicarlo. I miei rapporti con Prunas (che, ripeto, non ho mai conosciuto di persona) finirono lì.
Apprendo ora, con una certa commozione, che l’organigramma redazionale di un ventilato nuovo «Sud» aveva compreso il mio nome, come corrispondente dalla Sicilia. Per completezza d’informazione, il poemetto venne integralmente pubblicato nel n. 6 della rivista di poesia «Momenti» (giugno 1952).
Una disavventura assai simile mi capitò con «Il Politecnico» di Vittorini.
Anche a lui mandai alcune mie poesie. Mi rispose che tre o quattro di esse le avrebbe pubblicate presto su «Il Politecnico» in una sorta di antologia di poeti nuovi che meditava di fare. Preso da incontenibile entusiasmo, mi recai a Milano per conoscerlo. Mi presentai in redazione alla mattina e appena seppe che arrivavo dalla Sicilia mi invitò a pranzo.
Non mi lasciò più fin verso le cinque del pomeriggio. Camminavamo per Milano, ma lui era con la testa in Sicilia e continuamente mi chiedeva di paesi e città dell’Isola e ogni tanto si perdeva dietro a un suo pensiero.
Insomma, viaggiai con lui, quel giorno per le «città del mondo». Nel lasciarci, in redazione, mi rinnovò l’intenzione di pubblicare alcune mie poesie. Poi mi chiese se avevo letto l’articolo di Alicata apparso quel giorno su «L’Unità» (o su «Rinascita»?) e alla mia risposta negativa ne prese una copia e me la diede con un sorriso che sul momento non decifrai.
Lo capii dopo aver letto l’articolo: era chiaramente il principio della fine de «Il Politecnico».
E capii anche perché aveva voluto passare la giornata con me: lo aiutavo a rifugiarsi per qualche ora, in vista dell’imminente tempesta, nella mitica realtà della sua e mia terra. Naturalmente «Il Politecnico» da lì a poco chiuse e le mie poesie non vennero pubblicate.
In conclusione: avevo mandato un poemetto a «Sud» e «Sud» non ce l’aveva fatta a sopravvivere. Avevo mandato delle poesie a «Il Politecnico» e «Il Politecnico» aveva dovuto chiudere. Da buon meridionale, a volte vengo pigliato da botte di superstizione: vuoi vedere "mi chiesi" che le mie poesie portano jella? Poi, fortunatamente, la mia supposizione venne smentita da altri fatti. Ma collaboratore di «Sud», anche se il mio nome non è mai più apparso sulla rivista, lo sono diventato, come dire, ad honorem. Al solito, avevo mandato, nel 1949, delle poesie a Luigi Berti che dirigeva, a Firenze, la prestigiosa rivista di letteratura «Inventario». Berti mi rispose che ne avrebbe pubblicate due sul numero d’autunno di quello stesso anno (era un trimestrale corposo), all’interno di una "piccola antologia di poeti nuovi".
E lo fece. E con mio grande stupore e piacere vidi che i nomi degli altri quattro poeti che componevano l’antologia erano quelli di Compagnone, Scognamiglio, Porzio e La Capria col suo Cristo sepolto. Berti aveva con molta sensibilità capito l’affinità elettiva che mi legava ai poeti di «Sud» e mi aveva incluso nel gruppo.

Andrea Camilleri

(pubblicato su Sud, nuova serie, n.1, novembre 2003 / Il Mattino, 14 novembre 2003)


 
Last modified Tuesday, May, 06, 2014