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La concessione del telefono



Autore Andrea Camilleri
Prezzo L. 15.000
Pagine p. 269
Data di pubblicazione 1998
Editore Sellerio
Collana La memoria n.407
e-book € 6,99 (formato epub, protezione acs4)


Nell'estate del 1995 trovai, tra vecchie carte di casa, un decreto ministeriale (che riproduco nel romanzo) per la concessione di una linea telefonica privata. Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico-amministrativi da farmi venire subito voglia di scriverci sopra una storia di fantasia (l'ho terminata nel marzo del 1997).
La concessione risale al 1892, cioè a una quindicina d'anni dopo i fatti che ho contato nel Birraio di Preston e perciò qualcuno potrebbe domandarmi perché mi ostino a pistiare e a ripistiare sempre nello stesso mortaio, tirando in ballo, quasi in fotocopia, i soliti prefetti, i soliti questori, ecc. Prevedendo l'osservazione, ho messo le mani avanti. La citazione ad apertura di libro è tratta da I vecchi e giovani di Pirandello e mi pare dica tutto.
Nei limiti del possibile, essendo questa storia esattamente datata, ho fedelmente citato ministri, alti funzionai dello stato e rivoluzionari col loro vero nome (e anche gli avvenimenti di cui furono protagonisti sono autentici).
Tutti gli altri nomi e gli altri fatti sono invece inventati di sana pianta.
A.C.


Il 3 giugno 1998, verso mezzanotte, un cliente di Fremont (California) ordinava a Ibs.it il primo libro italiano via Internet: «La concessione del telefono» di Andrea Camilleri.



Prezzo € 13,00
Pagine 320
Data di pubblicazione 12 marzo 2020
Editore Sellerio
Collana La memoria n.407
e-book € 8,99 (formato epub, protezione acs4)


«Nell'estate del 1995 trovai, tra vecchie carte di casa, un decreto ministeriale per la concessione di una linea telefonica privata. Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico-amministrativi da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia di fantasia» (Andrea Camilleri).

Con uno scritto di Raffaele La Capria ritorna in una nuova edizione accresciuta il romanzo faldone di Andrea Camilleri pubblicato per la prima volta nel 1998.





Prezzo € 16,00
Pagine 328
Data di pubblicazione 11 marzo 2025
Editore Sellerio
Collana Cento anni di Andrea Camilleri, n. 3


Con una Nota di Alessandro Barbero e uno scritto di Raffaele La Capria

«Camilleri scriveva perché si divertiva: ed è evidente che scrivendo La concessione del telefono si è divertito molto. E con lui si diverte il lettore, continuamente accompagnato dall’ironia dell’autore e dagli snodi via via più esilaranti di una classica commedia degli equivoci. Ma il divertissement non fa solo ridere, anzi, a un certo punto rischia di non far più ridere per nulla. Via via che si procede diventa fin troppo evidente che dietro c’è di peggio; c’è l’eterno dramma della burocrazia italiana, ma soprattutto un pessimismo millenario che dà per scontato che le cose cominciate male finiranno peggio, che chi prova a portare tra i pazzi un minimo di razionalità e di buon senso finirà stritolato, che ogni sistema premia i peggiori».
Alessandro Barbero


«Io credo che il romanzo italiano contemporaneo abbia in Andrea Camilleri uno dei suoi rappresentanti più notevoli ed originali, per la sua capacità di dominare con un colpo d’occhio tutta la commedia umana della sua Sicilia senza mai scadere nel bozzetto e nel costume; per le trame che sa far proliferare nel racconto mantenendo sempre la stessa tensione narrativa; per la implicita e mai superficiale critica sociale che si nasconde dietro le sue “storie naturali”. Si cominci a leggere questo suo romanzo semiepistolare per convincersene e sono sicuro che dopo averlo letto si cercheranno gli altri romanzi da lui scritti, soprattutto quelli legati a quest’ultimo, che si svolgono ognuno nello stesso paesino di Vigàta, nella Sicilia fine Ottocento, dando vita a una vera e propria saga isolana. E non si dimentichi che Camilleri è nato a Porto Empedocle, in zona Pirandello».
Raffaele La Capria


Un delitto avrà luogo
Vigàta, Montelusa, Fela, Fiacca… Sentendo questi nomi chiunque pensa subito una cosa, e una cosa soltanto: siamo nel territorio del commissario Montalbano. Che nella produzione di Andrea Camilleri siano numerosi anche i romanzi ambientati negli stessi luoghi, ma alla fine dell’Ottocento anziché ai giorni nostri, molti lettori ovviamente lo sanno; ma che quella toponomastica immaginaria e quella lingua d’invenzione non siano affatto nate come lo scenario e il mezzo espressivo delle avventure del commissario, anzi predatino la sua nascita (appaiono in Un filo di fumo, del 1980; il primo romanzo con Montalbano è La forma dell’acqua, del 1994), non molti lo immaginano. Anzi, quando lo scopri può sembrarti straniante. Per dirla tutta, a me tanti anni fa, quando m’ero appena innamorato della serie di Montalbano, parve innaturale e addirittura urtante già il solo fatto che l’autore si permettesse di scrivere anche (anche!) dei romanzi storici, invece di concentrarsi sull’unica cosa che interessava ai suoi lettori.
Bisogna capire il contesto per scusarmi. Erano gli anni Novanta, e abitavo in una piccola città in cui c’erano delle ottime librerie (e ci sono tuttora; non più, però, quella dove ho scoperto Camilleri). I librai erano giovani e competenti, fratello e sorella; e quando non sapevo più cosa leggere mi capitava di entrare da loro e chiedere, a lei, un suggerimento. E una volta mi disse: guarda, c’è questo nuovo autore di gialli che escono da Sellerio, io li ho letti e mi sono piaciuti molto. Uscii con La voce del violino e Il cane di terracotta, e non molto dopo tornai a chiedere tutti gli altri; e siccome ero ingenuo e superficiale, la prima volta che tornato a casa aprii il preziosissimo libriccino blu e scoprii che non c’era Montalbano e si trattava invece di un romanzo storico, ambientato nell’Italietta provinciale dopo l’Unità (poteva essere Il birraio di Preston come La stagione della caccia), ci rimasi malissimo, mi pareva d’essere stato truffato. Camilleri, m’immagino, lo sapeva che certi lettori reagivano così, e uno dei motivi per cui alla fine Montalbano gli faceva girare i cabasisi è proprio la totale identificazione della sua produzione letteraria con quell’unica, ancorché benedetta, creatura.
Adesso non starò a dire che le opere più felici del Maestro sono proprio quelle ambientate nella Vigàta ottocentesca, anziché quelle troppo fortunate ambientate ai tempi nostri, perché sospetto che sia quello che pensano e dicono tutti i bas-bleu, gli stessi secondo i quali Simenon passerà alla storia della letteratura per i libri in cui non c’è Maigret; però la tesi non sarebbe difficile da sostenere. E basterebbe questo piccolo capolavoro che avete in mano, La concessione del telefono, per argomentarlo. Il libro è del 1998, e già intorno a questa data vale la pena di fare qualche considerazione: nato nel 1925, Camilleri aveva già alle spalle una carriera di regista teatrale e di regista e produttore RAI quando pubblicò, nel 1978, il suo primo libro, Il corso delle cose; per il secondo bisogna aspettare il 1980; per il terzo, il 1984. E poi arrivano i miracolosi (per lui, dico) anni Novanta, in cui escono nove romanzi, quattro con Montalbano e cinque senza, e tutti belli o bellissimi (qui volevo aggiungere “almeno a parere di chi scrive”, ma poi ci ho ripensato: voglio vedere chi direbbe il contrario). La concessione del telefono arriva dopo quattro Montalbano consecutivi, più i racconti di Un mese con Montalbano – e in quest’ultimo caso c’è già una spia rivelatrice: per la prima volta Montalbano è nel titolo, spia sicura dell’enorme successo della serie. E proprio questo è il bello: un autore commerciale a questo punto si sarebbe attaccato a Montalbano, e tanti saluti al romanzo storico e all’Ottocento. Ma Camilleri scriveva perché si divertiva: ed è evidente che scrivendo La concessione del telefono si è divertito molto.
Avanzerei l’ipotesi che all’inizio volesse scrivere un romanzo epistolare, tutto fatto di Cose scritte. Poi, a un certo punto, si è accorto che in questo caso il limite espressivo era troppo forte, e ha deciso di alternare le sezioni di Cose dette, cioè di dialoghi. Che non significa certo aver ceduto di fronte a una difficoltà tecnica scegliendo la strada più facile, perché la sfida a questo punto diventava ancora più appassionante: il romanzo si trasformava in una suite musicale in cui al ritmo delle lettere, dei rapporti e dei telegrammi si alternava quello più serrato dei dialoghi, in entrambi i casi senza alcun intervento del narratore onnisciente, senza nessuna descrizione se non quelle fornite dagli stessi protagonisti. I dialoghi acquistano a questo punto – diciamolo, giacché di telefoni stiamo pur sempre parlando – il ruolo che nel dossier di un’inchiesta hanno oggi le intercettazioni telefoniche, e la loro inserzione non riduce affatto la sensazione complessiva di avere di fronte, per l’appunto, un miracoloso scartafaccio, in cui un investigatore venuto dopo abbia riunito tutti i materiali di cui gli investigatori dell’epoca potevano avere, tragicamente per loro, solo un’immagine parziale.
S’è divertito, dicevamo: nell’immaginare, all’occasione, la toponomastica di quella Vigàta umbertina – via dell’Unità d’Italia, manco a dirlo –, gli strafalcioni dei parlanti semicolti (“amicus Pilato, sed magis amica veritas”), i nomi dei comprimari (l’ex questore Bàrberi - Squarotti). Quando si avventura in territori più esotici, è anche possibile rintracciare le sue fonti di ispirazione. Il pesantissimo accento piemontese del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, pardon, de Saint-Pierre, Comandante Generale dell’Arma dei Reali Carabinieri in Sicilia, viene dritto dall’intervista impossibile di Vittorio Sermonti al re Vittorio Emanuele II, realizzata nel 1974 nel quadro di quel memorabile programma radiofonico, a cui un Camilleri allora quasi cinquantenne collaborava regolarmente come regista; e l’esclamazione in dialetto che sfugge al generale (“non sia pilông che n’dì sensa pan!”) è presa di peso dall’intervista impossibile di Umberto Eco a Pietro Micca, di cui proprio Camilleri fece la regia. Mentre “la carta d’indintirintà” che Mariano Giacalone chiede a Pippo Genuardi rifiutandosi di riconoscerlo è un esito appena sicilianizzato della “carta d’indindirindà” di Peppino De Filippo nei panni di Pappagone, che impazzò in televisione fra il 1966 e il 1970 e che rimane tuttora indimenticato in quella generazione, come dimostra un rapido sondaggio in Internet (oltre alla memoria di chi scrive).
Il Maestro, dunque, si diverte; e con lui si diverte il lettore, continuamente accompagnato dall’ironia dell’autore e dagli snodi via via più esilaranti di una classica commedia degli equivoci (e come si vede che Camilleri è stato a lungo innanzitutto uomo di teatro).
Ma il divertissement non fa solo ridere, anzi, a un certo punto rischia di non far più ridere per nulla. Perché se all’inizio il precipitare dell’intreccio verso l’assurdo sembrava solo il frutto della dabbenaggine o, al contrario, della troppo contorta e sospettosa astuzia dei protagonisti, via via che si procede diventa fin troppo evidente che dietro c’è di più, e di peggio; c’è l’eterno dramma della burocrazia italiana, ma soprattutto un pessimismo millenario che dà per scontato che le cose cominciate male finiranno peggio, che chi prova a portare tra i pazzi un minimo di razionalità e di buon senso finirà stritolato, che ogni sistema premia i peggiori. Non diciamo di più, per non spoilerare, come orrendamente diciamo oggi; d’altra parte, quando una parola la capiscono tutti ed esprime esattamente e con la massima economia un concetto preciso e complesso, sarebbe sbagliato non usarla, anche se scommetterei che al Maestro avrebbe fatto venire il nirbuso. Perché questo, come quasi tutti i libri di Camilleri, è anche un giallo, e così intricato che forse nemmeno Montalbano sarebbe riuscito a risolverlo, anche se qui al lettore il giallo è presentato a rovescio rispetto a quel che succede di solito: è l’intreccio delle cause che si aggroviglia sotto i nostri occhi, il delitto non c’è ancora stato.
Alessandro Barbero (pubblicata su il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2025, col titolo Cent’anni di Camilleri: il maestro si diverte)



Last modified Saturday, April, 19, 2025