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Topolino e la promessa del gatto



Sceneggiatura Francesco Artibani
Disegni Giorgio Cavazzano
Colori Mirka Andolfo
Supervisione Andrea Camilleri
Prezzo € 2,40
Pagine 40
Data di pubblicazione 10 aprile 2013
Editore Disney
Testata Topolino n.2994

 


Il signor Patò, ovvero...

A Topolino - si sa - piace risolvere misteri. Certo, non poteva aspettarsi che durante una vacanza in Sicilia si sarebbe ritrovato faccia a faccia con qualcuno in gamba quasi quanto lui: il commissario Salvo Topalbano!
Potrete vedere i due topi in azione nell'avventura Topolino e la promessa del gatto di Francesco Artibani e Giorgio Cavazzano pubblicata su Topolino 2994 in edicola il 10 aprile. La storia è una parodia disneyana ispirata ai romanzi gialli dello scrittore Andrea Camilleri che narrano le vicende del commissario Montalbano. Sempre su Topolino 2994 potrete leggere anche un'intervista speciale a Camilleri, Zingaretti, Cavazzano e Artibani.
Riusciranno Topolino e Topalbano a salvare Minni, rapita per equivoco da un gruppo di criminali?
Team Fumetto di Topolino, 9.4.2013


Andrea Camilleri incontra i Toporeporter Elena e Leonardo (video pubblicato su Topolino)

Il potere delle nostre passioni
Cari amici di Topolino,
che poteri straordinari ci può regalare la passione! Sentite che cosa è successo… Dovete sapere che qui in redazione, come da voi in classe o per i più grandi negli uffici (meglio ancora se sono open-space come i nostri), è piuttosto facile stanare gli argomenti che stanno a più a cuore alle persone che ci stanno accanto, anche le più riservate. Basta un’indagine per un regalo di compleanno, uno spionaggio involontario di una conversazione telefonica, una chiacchiera durante l’intervallo o la pausa caffè. Poi, ci sono alcune passioni che si fa davvero fatica a tenerle dentro.
È successo alla nostra Barbara, che in quanto a discrezione è l’equivalente di un bunker, che a un certo punto della nostra storia lavorativa si è dichiarata: lei adora i romanzi di Andrea Camilleri. “Vale, – mi ha detto un giorno – dobbiamo fare una storia con lui!”, e le brillavano gli occhi. Per me è stato subito un sì, ma lei non voleva credere alle sue orecchie perché, io lo so, in cuor suo l’ipotesi vaga di poter incontrare il Maestro era davvero troppo anche da immaginare. Ma ormai la scintilla aveva acceso la miccia e la passione di Barbara ha contagiato tutta la redazione. Il risultato lo ritrovate in questo numero. Uno di quelli che passeranno alla storia.
Il Direttore - Valentina De Poli


Camilleri il “cantastorie”
La redazione di Topolino insieme allo sceneggiatore Francesco Artibani, autore della storia La promessa del gatto, e due Toporeporter d’eccezione, Elena e Leonardo, hanno incontrato il mitico Camilleri a Roma… Pronti a entrare nel suo studio?

Spesso da una storia ne nascono altre. E a volte le storie di finzione s'intrecciano con la realtà. La "nostra" storia nasce da un personaggio letterario, il Commissario Montalbano, che poi è diventato un fumetto... con le orecchie! Dalla storia di "Topalbano" è nato l'incontro con il mitico Andrea Camilleri, che ci ha raccontato come in un bellissimo romanzo, i segreti della sua scrittura... e tanti aneddoti curiosi.
Lei è regista, autore teatrale, radiofonico e televisivo, ha scritto romanzi e saggi sullo spettacolo e ha sperimentato molti modi di raccontare. Chi è Camillleri in una parola sola?
«lo sono un cantastorie. Il cantastorie, se è bravo, raccoglie intorno a sé un pubblico che lo sta a sentire, poi si leva la coppola e passa in mezzo alla gente.»
Il cantastorie tradizionale è una figura in via di estinzione. Di quali strumenti si avvale quello moderno?
«Innanzitutto della comprensibilità del racconto. Quando scrivo un giallo mi guardo bene dal non essere lineare nello svolgimento del racconto. Faccio il possibile affinché ci sia il massimo di comprensibilità. Si può raccontare una storia in tutti i modi possibili, anche mescolando generi diversi, purché non ci siano salti logici o spaziotemporali che obblighino chi ascolta, legge o guarda a uno sforzo superiore.»
Quanto è importante l'oralità del racconto?
«Per me è fondamentale, per altri scrittori non lo è affatto. Quando inizio a scrivere non vado mai oltre una pagina perché mi devo fermare. Dopodiché non rileggo la pagina al computer ma la stampo per avere un modo diverso di lettura. Al computer mi sfugge più facilmente l'errore. Ma più che il refuso, la lettura a voce alta mi porta a sentire il fluire del racconto. E mi accorgo con l'orecchio quando si inceppa, quando fatica ad andare avanti, quando c'è un momento di arresto. Allora riscrivo cercando di sciogliere il nodo che si è creato e rileggo fino a quando non sento fluire quel ritmo specifico che deve avere la pagina. Allora vado avanti. Un'altra cosa importante è la conoscenza dei propri limiti. Se sei un geometra che costruisce chiese di campagna, come penso di essere io, è difficile riuscire a costruire il Duomo!»
Lei ha inventato un linguaggio nella lingua, fatto di italiano e dialetto. Come nasce e come funziona, il "vigatese"?
«Quando ho iniziato, giovanissimo, a scrivere e pubblicare poesie e racconti su riviste nazionali importanti come Mercurio, Inventario scrivevo in italiano. Quando Ungaretti mi mise tra le giovani promesse della poesia in una sua antologia era lontanissima da me l'idea di usare il dialetto. Dialetto che invece parlavamo a casa. Ma non sempre, si parlava anche in italiano. E quando si parlava in italiano c'era sempre qualcosa che non funzionava. Ricordo che all'età di diciassette anni mia madre mi diede le chiavi di casa e io ne approfittai subito per tornare tardi. Dopo un po' mia madre si scocciò e a tavola mi disse: "Senti Nené, figlio mio, cerca di tornari prima la notte pirchì si io non sento la porta che si chiui, cioè veni a dire che tornasti, n'arrinescio a pigghiari sonno e po' non dormo tutta la nottata. E se questa storia dura ancora io ti taglio i viveri e voglio vedere che cosa fai fino alle due di notte, paese paese!"
Questa storia la racconto perché è alla base del mio ragionamento. Allora, tutta la prima parte del discorso era una mozione degli affetti in dialetto, la seconda parte che era una intimidazione tra il poliziesco e il notarile, era in lingua italiana. Allora cominciai a ragionare su questo: perché in alcuni momenti parliamo in siciliano e in altri in italiano? Poi mi imbattei in una meravigliosa frase di Pirandello, in un articolo dell'Ottocento, che dice: "di una cosa la lingua ne esprime il concetto, della medesima cosa il dialetto ne esprime il sentimento". Portava acqua al mio mulino. Così ho cominciato a studiare come scrivere.»
Com'è nato il suo primo romanzo?
«Mio padre, una volta in pensione, si trasferì a Roma per stare vicino a me e alla mia famiglia, ma si ammalò e lo portammo in clinica, io passai tutte le notti con lui, parlammo a lungo di noi due e poi a un certo punto lui mi disse: "Raccontami una cosa".
E io cominciai a raccontargli una storia che mi girava per la testa, da qualche tempo. E alla fine lui mi disse: "Scrivila. Promettimi che la scrivi, ma che la scrivi come l'hai raccontata a me".
Io ho mantenuto fede alla mia promessa, così è nato il mio primo romanzo Il corso delle cose.
In seguito ne ho parlato con Leonardo Sciascia che mi diceva: "Figlio mio, ma se tu scrivi accussì chi ti capisce?" E io: "Leonà, e io che ci posso fare? Io così sento di potere scrivere!"»
E la passione per il giallo?
«Mio padre era un uomo di buone letture con la passione dei gialli. Aveva tutti i primissimi gialli Mondadori. Wallace, Van Dine, Simenon erano bravi giallisti. Ho sempre letto romanzi gialli. Scriverli è venuto dopo come disciplina alla mia lettura. Il giallo infatti mi obbliga a seguire certe regole alle quali non posso scappare.»
Com'è nato Montalbano?
«Il personaggio nacque per forza di cose come "funzione", inizialmente nel romanzo La forma dell'acqua: c'era bisogno di uno che risolveva le cose. L'operazione che mi ci fa pensare è esattamente opposta a quella di Simenon, il quale racconta di avere visto un signore passeggiare davanti a lui mentre era seduto su una panchina e che gli fa pensare: "Che bel tipo di Commissario di polizia sarebbe!". Da lì nasce Maigret. Io invece Montalbano non l'ho mai visto! Il nome Montalbano glielo diedi per via di Vàzquez Montalban (scrittore catalano, n.d.r.) e scrissi il primo romanzo rimanendone insoddisfatto perché il personaggio non era risolto. E allora scrissi il secondo, Il cane di terracotta per definire meglio il personaggio, dopodiché ti saluto Montalbano! Non avevo nessuna intenzione di continuare ad andare avanti con la sua storia. Senonché cominciò questo successo incredibile e Elvira Sellerio, il mio editore, mi disse: "André, guarda che devi scrivere un terzo Montalbano perché i lettori me lo chiedono, non solo, si porta appresso i libri ai quali tieni e gli fa da apripista". Ho ceduto al ricatto.
Da bambino avevo letto un racconto che si intitolava Come divenni calmucco e racconta di una slitta - inseguita dai lupi - che lungo il tragitto butta pezzi di carne per tenere i lupi impegnati e guadagnare terreno. Ecco, i racconti che avevo a cuore erano come la carne per i lupi per tenere a distanza Montalbano.»
In quante lingue sono stati tradotti i suoi romanzi? «Trentacinque e adesso anche in cinese. È una quantità enorme di libri tradotti, visto che ne ho scritti 90 (di cui venti di Montalbano)!»
Barbara Garufi


"Topalbano è meglio del Nobel!"

Lo scrittore Andrea Camilleri ha un bellissimo rapporto con i suoi lettori, molto diretto. Lui racconta le sue storie e spesso viene ricambiato. È quello che abbiamo fatto anche noi della redazione di Topolino, dedicandogli la trasposizione a fumetti del famoso Commissario Montalbano.
Montalbano e Topolino si sono già incontrati! Nel racconto "Una cena speciale" il commissario e la sua fidanzata indossano le maschere di Topolino e Minni... Come mai?
«Questo racconto, in particolare, è stato scritto l'estate scorsa, proprio quando mi accingevo a leggere la sceneggiatura di Topalbano. M'è venuto spontaneo, il loro incontro aleggiava nell'aria.»
Le è piaciuta la storia a fumetti?
«Mi sono emozionato tantissimo, è stato molto meglio del Nobel! Nella mia famiglia è piaciuta a tutti, le tavole sono passate di mano in mano tra figli e nipoti. E poi è una storia ben congegnata, divertente. È stato interessante anche leggere la sceneggiatura che funziona benissimo, molto articolata, quasi da film anche se non segue le regole di scrittura della sceneggiatura vera e propria. Le indicazioni dello sceneggiatore al disegnatore sono uno spasso! Mi sono piaciute molto le gag di Quaquarella che entra senza bussare, sono tipiche della mentalità del personaggio Catarella. Ho apprezzato anche i nomi dei cattivi: Prorunaso e Facciesantu.»
Come ha trovato Topalbano dal punto di vista grafico?
«Topalbano è splendido! Mi ha entusiasmato! Tante volte mi hanno chiesto di ridurre a fumetti Montalbano e tanti fumettari mi hanno mandato prove carine, ma io sono stato sempre contrario. L'invenzione di Topalbano invece è tutta un'altra cosa, parte da un'altra base e da un altro punto di vista. È una bella trovata!».


Botta e risposta con
Francesco Artibani
Francesco Artibani, autore della storia La promessa del gatto, molto emozionato di conoscere di persona Andrea Camilleri, ci ha raccontato che scrivere l'avventura di Topalbano per lui è stato come scrivere una storia apocrifa dei Tre Moschettieri e poi andare a casa di Dumas!

Di solito nelle parodie Topolino veste i panni del protagonista: perché hai scelto di tenere i due personaggi ben distinti?
«Le prime notizie su Topalbano sono state un po' false. Si diceva che Topolino avrebbe interpretato Montalbano, Minni Livia e Pippo Catarella. Questa sarebbe stata la soluzione più semplice, invece l'idea che ha prevalso è stata di mettere accanto due personaggi molto forti. Sarebbe stato un peccato sacrificare uno all'altro, insomma uno dei due ci avrebbe rimesso. Visto che uno è un poliziotto e l'altro un detective a tempo perso era interessante vedere i metodi che ognuno di loro usa per condurre le indagini. A me divertiva mettere a confronto due personaggi mitici che hanno molto in comune: intuito, integrità morale e... una fidanzata eterna!»
Quali difficoltà hai avuto nel creare la storia?
«Be', quando si scrive per Disney e in più si fa la trasposizione di personaggi già esistenti bisogna essere un po' contorsionisti e aggirare una serie di paletti/divieti. A volte sono limiti per gli sceneggiatori, altre volte sono binari utili...»
Che cosa insegna Topalbano a Topolino?
«Grazie a Topalbano, Topolino impara pian piano il "vigattese", che per lui rappresenta uno scoglio, tanto che in un momento di rabbia e di tensione (quando inchioda Totò Sinatra alla fine della storia) il dialetto prende il sopravvento su di lui...»
Perché i cattivi si chiamano Prorunaso e Facciesantu?
«I nomi sono quelli dei due briganti siciliani che affiancano Rinaldo, il protagonista della commedia musicale di Garinei & Giovannini "Rinaldo in campo" (e portati sulla scena per la prima volta nel 1961 dai comici Franco Franchi e Ciccio Ingrassia)».


Intervista a
Giorgio Cavazzano
Giorgio Cavazzano è l'autore dei bellissimi disegni della storia di Topalbano. Grazie alle sue matite ci ha fatto viaggiare sulle ali della fantasia in Sicilia, tra splendide rovine archeologiche e panorami mozzafiato...

Ciao Giorgio, sei un fan di Montalbano?
«Sono uno sfegatato fan di Camilleri, anzi del Maestro Camilleri.»
Hai visitato i luoghi di Montalbano?
«Oh, certo. Ero stato invitato nel Castello di Donnafugata per un incontro con il pubblico dal direttore del Museo del Fumetto Siciliano, l'architetto Giuseppe Miccichè. Per l'occasione alloggiavo in un alberghetto davanti al mare, proprio vicino alla casa di Montalbano. Precisamente a S. Croce Camerina, località Punta Secca.»
Come ti sei documentato per l'ambientazione e i paesaggi della storia?
«Quando visitai la casa (ora B&B) di Montalbano, scattai qualche foto, non sapevo ancora che cosa mi aspettava al mio ritorno a Venezia. Mi stupì non poco vedere coppie di sposi che si facevano fotografare accanto alla fatidica casa e gli innumerevoli cartelli stradali indicanti "La casa di Montalbano ". Quando mi arrivò la sceneggiatura, chiesi aiuto per la documentazione al caro amico Miccichè, che in quattro e quattr'otto, assieme alla moglie Lina, girò e fotografò ogni angolo di Punta Secca. Mi fornì amichevolmente una decina di chili di fotografie.»
Raccontaci com'è nato Topalbano, la scelta di topizzarlo e di ispirarti al personaggio televisivo...
«Immaginavo una semplice caricatura del Commissario televisivo, invece... Eccolo con le orecchie e il nasetto da Topo. Alla fine mi è piaciuto di più in questa versione, la mimica del personaggio risulta naturale, la vicinanza con il nostro eroe Topolino lo ha rafforzato. Topalbano è riuscito subito, la mia matita sembrava seguire delle linee già stabilite. È un bel personaggio soprattutto grazie alla bella sceneggiatura di Francesco Artibani e ai mooolti consigli ricevuti dagli amici della redazione del Topolino


Intervista a
Luca Zingaretti
Il Commissario Montalbano combatte il crimine da ormai 20 romanzi e 8 stagioni televisive ed è magistralmente interpretato dall'attore e doppiatore Luca Zingaretti dal 1999. Tra pochi giorni tornerà sugli schermi televisivi di RAI 1 con quattro nuove puntate tratte dagli omonimi romanzi di Andrea Camilleri...

Salve Luca, nel 2003 ha prestato la voce a Marlin, il papà del pesce Nemo. Avrebbe mai pensato di "prestare" anche la sua immagine a Topalbano?
«Sinceramente no e devo dire che è stata una bellissima e piacevolissima sorpresa»
Si piace nei panni di Topalbano?
«Mi sembra che non ci potesse essere un Topalbano migliore!»
Qual è il lato del carattere di Montalbano che preferisce di più?
«Il fatto che è un uomo che non ha prezzo, che non ha il cartellino attaccato. Voglio dire che mi piace il suo essere un uomo integro e onesto con se stesso e con gli altri.»
Come ha convinto il regista che il ruolo le calzava a pennello?
«Ancora oggi non so che cosa abbia spinto il regista e il produttore della fortunata serie a puntare su di me. Posso solo dire che durante i provini ce la misi tutta e che mi ero preparato con tanta passione e dedizione.»
Da piccolo leggeva i fumetti?
«Sembra che lo dica apposta, ma il mio preferito era proprio Topolino. In soffitta ne ho ancora intere annate e i libroni intitolati Io Topolino, Io Paperino e Io Paperone. Non parliamo degli Album Topolino. Insomma il "Topo" è stata una grande passione per me e mio fratello. Mio padre ci comperava anche gli albi di Tin Tin e quelli delle avventure di Asterix».



Camilleri e i Toporeporter
Da piccolo era un lettore di Topolino? "Certamente. Avevo la tessera del Club di Topolino!"
”Mi piace ricordare un'intervista alla televisione molto emozionante in cui Pier Paolo Pisolini chiese al grande Ezra Pound qual era secondo lui il personaggio letterario più importante degli Stati Uniti. E lui rispose "Mickey Mouse". Senza la minima esitazione!”

I due Toporeporter Elena (11 anni) e Leonardo (9 anni), armati di carta e penna come veri professionisti, hanno tempestato di domande Andrea Camilleri...
Quali erano le sue letture da bambino?
«Alla mia epoca si imparava a leggere e scrivere tardi e non c'erano tutti questi vaccini che ci sono oggi. Mi prendevo le malattie che era una meraviglia! Cosi non andavo a scuola, me ne stavo giorni e giorni a casa, coccolato. La televisione non era stata ancora inventata, la radio era molto ingombrante, quindi l’unica cosa per passare il tempo era leggere Topolino, l'Audace e l'Avventuroso che però terminavo in una giornata. Allora chiesi a mio padre se potevo prendere i suoi libri e così cominciai a leggere quelli da grandi. Da un lato leggevo i cosiddetti "giornaletti", dall'altra leggevo Conrad. Saltai di pari passo la letteratura di Salgari, Verne, ma non saltai mai Topolino che fu l'aggancio con la mia età.»
E i suoi personaggi preferiti?
«Topolino, Minni, Pluto, Pippo, Clarabella... Erano questi i personaggi essenziali di allora. Poi cominciarono a venirne tanti altri. Ricordo ancora i disegni di una storia che mi colpì molto, dove Pietro Gambadilegno inventa una sorta di dirigibile per attirare l'aereo di Topolino. Allora il vero nemico di Topolino era Gambadilegno.»
Come andava a scuola?
«Malissimo! La scuola per me è sempre stata un problema. In quinta elementare, pur di non andare a scuola, mi recai al molo, mi levai il cappotto e rimasi in mutandine e maglietta a tremare dal freddo sperando di beccarmi una polmonite. Ma niente. Mi presi solo un po' di raffreddore... che non mi impedì di andare a scuola. Molto tempo dopo, quando ormai ero uno scrittore noto, mi invitarono al liceo che avevo frequentato e mi fecero la gradita sorpresa di preparare un volumetto contenente tutte le mie pagelle. Che vergogna! I 3 e i 4 si sprecavano! Ma i ragazzi della scuola che erano in sala invece erano contenti e dicevano: "Allora sei dei nostri!" »
Che cosa avrebbe voluto fare da grande?
«Da bambino sognavo di fare l'ufficiale di marina. Sono nato in un paese di mare, Porto Empedocle, e mio padre lavorava alla Capitaneria di porto. Senonché fin da piccolo, cominciai ad avere disturbi alla vista e quindi il mio sogno purtroppo non si potè realizzare.»
La passione della scrittura l'aveva sin da piccolo?
«Siccome fin da piccolo ho avuto la passione della lettura è chiaro che, se leggi tanto, ti viene istintivamente la voglia di scrivere. Da bambino, potevo avere sette anni, ho cominciato a scrivere poesie. Ho continuato a scrivere fino ai venticinque anni, poi ho smesso perché ho fatto molto teatro e molta televisione. Ma ho ripreso a scrivere più tardi.»
Quali consigli può dare a un ragazzo che vuole fare lo scrittore?
«Di leggere molto, come ho fatto io. La lettura, prima di tutto, ti insegna a scrivere. E in secondo luogo, se sei minimamente dotato, ti fa scattare la voglia di scrivere. Però bisogna saper leggere e porsi ogni tanto qualche domanda: se questo scrittore che mi piace ha scritto questa frase in questo modo perché l'ha scritta così? Proviamo a vedere che cosa succede se cambio un aggettivo, se sposto una virgola. E allora cominci a esercitarti sulla scrittura degli altri e, a poco a poco, acquisti una tua autonomia.»
Quante ore al giorno scrive?
«In genere tre-quattro ore al mattino. Ho una sistematicità di scrittura. Il mio cervello funziona in modo curioso, cioè se io sto scrivendo una cosa mentre parlo o mi occupo di altro continuo a pensare a quella cosa, quindi va a finire che nel corso del pomeriggio ho dentro di me una grossa quantità di materiale che, la mattina dopo, quasi quasi scrivo sotto dettatura. Riordino le idee e produco molto. In realtà non smetto mai di scrivere anche se materialmente non scrivo. Di solito scrivo cinque o sei cartelle, che poi rivedo il pomeriggio. È più lungo il lavoro di revisione che quello di scrittura. E poi c'è il periodo in cui, finito un libro, lo lascio decantare per tre-quattro mesi, prima di tirarlo fuori.»
Da dove ha preso tutte le idee?
«Io non so inventare niente dal nulla. Per esempio, non so scrivere favole. Le favole si inventano dal nulla, lo ne ho scritte un paio. I romanzi storici invece li scrivo perché mi colpisce una frase, una situazione che stimola la mia fantasia e allora comincio a ricamarci sopra. I romanzi di Montalbano nascono quasi tutti dai fatti di cronaca nera presi dalla realtà, che conservo nella memoria e poi nel tempo stravolgo in maniera che non siano più riconoscibili.»

Studi preparatori e anteprime



Last modified Tuesday, June, 04, 2013