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Vi scriverò ancora

Lettere alla famiglia 1949-1960



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 17,00
Pagine 528
Data di pubblicazione 26 novembre 2024
Editore Sellerio
Collana La memoria n.1325
e-book € 10,99 (formato epub, protezione acs4)


A cura di Salvatore Silvano Nigro con la collaborazione di Andreina, Elisabetta e Mariolina Camilleri

I primi anni romani, la formazione teatrale, gli albori della carriera, nelle lettere alla famiglia.

«Dopodomani compirò ventisei anni. Dicono che noi, nati sotto il segno della vergine, abbiamo la fortuna un poco ritardata, attorno ai 30 anni. Speriamo che ci siano delle eccezioni alla regola».
Andrea Camilleri, 4 settembre 1951

Il volume viene pubblicato nell'ambito delle celebrazioni per il Centenario della nascita di Andrea Camilleri. Il Fondo Andrea Camilleri ha curato la trascrizione delle lettere, alcune delle quali sono già state pubblicate in precedenza (cliccare qui per leggerle), mentre altre sono state lette in anteprima in occasione della Fiera Internazionale del Libro di Francoforte 2024.
 

Sono tanti i modi in cui possono essere accolte le giovanili lettere familiari di Andrea Camilleri. Uno però trascende tutti gli altri. È il modo di lettura di un oroscopo: di una osservabile configurazione astrale disegnata dai segni zodiacali e dai pianeti, metaforicamente trasposti nelle lettere che fanno sistema e determinano i pronostici sul maturo inventore del commissario Montalbano, sapiente lettore degli stessi libri preferiti dall’ancora inconsapevole scrittore di lettere; e di quell’irresistibile folletto chiamato Catarella, incarnazione di una plateale gestualità e teatrale comicità già portate in scena negli sketches improvvisati da Camilleri nelle sue carte messaggere.
Il Camilleri dell’epistolario è un infervorato studente fuorisede. Vive a Roma. È un borsista dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Ha due insigni maestri, Silvio d’Amico e Orazio Costa. Fa subito amicizia con Vittorio Gassman, giovane attore del teatro di prosa. Lui studia regia teatrale. È un moderno Robinson Crusoe, che di continuo deve inventarsi un alloggio sempre provvisorio, le suppellettili necessarie, tutti i gesti della giornata tra il lavaggio della biancheria e la ricerca di un ristorantino alla portata delle sue tasche semivuote, nonostante le sollecite sovvenzioni di una famiglia tutt’altro che ricca. In casi estremi può sempre contare su qualche generoso buffet da assaltare, magari in compagnia di una attricetta dell’Accademia e intonando «inni di guerra» condivisi dagli invitati più illustri: fra i più insospettabili, scrittori come Moravia o attori già affermati come Massimo Girotti. C’è qualcosa di picaresco nella narrazione epistolare, spesso autoironica e spettacolare: anche nel caso di quel convulso correre, qua e là, senza sosta, alla ricerca di un lavoretto. E intanto Camilleri studia, studia, studia. Pubblica poesie, racconti, articoli. Scrive soggetti per il cinema e per la radio. Si propone come regista. Riesce a collaborare con l’Enciclopedia dello spettacolo. E fa incontri strabilianti, come una volta accadeva ai cavalieri erranti. Conosce, insieme a Jean-Paul Sartre, il grandioso e canagliesco Jean Genet: scrittore e drammaturgo, ladro, cinico, generoso e argutamente spiritoso. Camilleri chiede il recapito all’ospite. Si sente rispondere che l’indirizzo più sicuro è, ovviamente, il carcere.
Camilleri è giovane, giovanissimo. Ama il teatro. E come regista ha capacità anche rabdomantiche. Fa sgorgare l’acqua, dove tutti vedono solo cespugli secchi e pietrame. Annusa nell’aria, pure. Capta il vento che arriva. Anticipa i tempi, mettendo in scena autori ancora non sperimentati in Italia. Si chiamano Ionesco e Beckett. Sono gli anni 1957-1958. Gli capita di cercare un attore all’altezza della parte. Non riesce a trovarlo. Gli piace azzardare. E decide di sostituire l’attore con un manichino. Il successo è strepitoso.

Salvatore Silvano Nigro


 

Roma, 23 febbraio 1952
Carissimo papà, ho ricevuto ieri sera il tuo espresso e mi affretto a scriverti. Scusami se uso la macchina, non riesco a trovare il calamaio, chissà dove l'avranno cacciato. Anzitutto desidero dirti come sia rimasto contento della notizia, datami da mamma tempo addietro, che hai smesso di fumare. Mi pare di avertelo già scritto in precedenza: era una cosa che mi faceva stare in pensiero. Certo che per te sarà stato duro e molto, ma pazienza: spero che quando ci rivedremo possa trovarti ringiovanito. Il fumo è una cosa veramente dannata, me ne accorgo io, quando in giornate di nervi fumo più del normale e ne risento quasi immediatamente. Dunque, ti prego di tener duro anche a costo dell'inevitabile malumore che ne segue.
Ora cercherò di rispondere punto per punto alle tue domande. 1) Pubblicazione delle poesie. Mi credi se ti dico che non ho avuto il tempo di parlarne con Fabbri? (Diego Fabbri, drammaturgo e animatore della rivista La fiera Letteraria, ndr) Anzi, è più giusto dire il contrario: Fabbri non ha avuto ecc. Quando ci vediamo, stiamo assieme sì e no cinque minuti e parliamo soltanto del film, che è la cosa che più mi interessa, in quanto è da lì che dovrà venirmi il pane in seguito. E bada che c'è da discuterne per le poesie e te ne spiego il motivo. La Fiera Letteraria è atrocemente cattolica e le mie poesie non lo sono, anzi sono al polo opposto. Questa è una prima difficoltà.
Fabbri inoltre ha le mie poesie di un certo periodo, nel quale credevo ad alcune cose alle quali, non so se sia un bene od un male, ora non credo più. Mi riferisco alle poesie di "sinistra", scritte dal '47 al '48. (Tempo, Cinque figure, Da un diario, ecc. fino a Morte di García Lorca). Purtroppo sono le uniche che ritengo compiute e valide poeticamente. Poi ad eccezione del Viaggio nella casa senza speranza che è del 1950, non ho scritto più un rigo per tanto tempo. Insomma nel periodo che va dal gennaio 1949 al settembre 1951, ho scritto solo due (2) poesie. E triste ma è così.
Nel '49 sono stato distratto dall'Accademia (l'Accademia nazionale d'arte drammatica, ndr), in tutto il '50 e almeno per buona parte di esso, ho lavorato duro con il teatro e in un secondo tempo mi sono successe tutte quelle cose che tu sai, m'è parso che il mondo mi fosse crollato addosso come un'ala di muro e per tutto il periodo che sono stato a Porto sono stato nell'impossibilità di comporre un verso. Ho ripreso a scrivere qualcosa da quando mi trovo a Roma ma che non ritengo ancora opportuno mandare in giro.
Comunque, scrivere per ora mi riesce molto ma molto difficile. I cazzotti sul muso e nel ventre che ho ricevuto, m'hanno tolto tutte le illusioni e la fiducia nel mondo degli uomini. Non è una dichiarazione letteraria, è una constatazione: io non credo più a nulla, di puro e di nobile. Per cui le mie ultime poesie non sono più nemmeno tristi o malinconiche, sono atrocemente satiriche, nel senso di una satira intesa all'inglese, non all'italiana. (...) Dunque, per concludere, bisognerà discuterne con Fabbri, per pubblicare quelle che restano inedite di quel periodo e le meno violente, e qualcuna, rarissima, del secondo periodo.
2) Il documentario. La "Minerva Film", non riuscendo ad avere più i capitali per la produzione di films, aveva deciso di ripiegare sul documentario. Perciò aveva incaricato me ed altri di preparare del materiale in tal senso. «Senza impegno» come usa dirsi. E mai precauzione si è rivelata tanto utile: difatti la Minerva non è riuscita a trovare i quattrini per i documentari ed ha accantonato tutto in attesa di tempi migliori. Tutti, in Italia, attendono i tempi migliori. Che risate, quando si accorgeranno che questi non verranno mai ma anzi verranno quelli peggiori! Però io ho deciso d'agire diversamente, da un paio di giorni sono in caccia di un paio tra i migliori registi di documentari per far leggere loro il treatment e vedere di concludere qualcosa con altre case di produzione dove loro sono ben introdotti.
3) Fiammetta (un teatro, ndr). Ancora in trattative. Mi pareva di avervelo già accennato in una precedente lettera, la situazione è la seguente: loro sono disposti a darci il teatro, il pubblico (cosa molto improbabile) e il capitale necessario per ogni singola messinscena, comprensivo delle spese di scenario, décor, costumi, apparecchi elettrici e luci. Questo è ciò che loro anticiperebbero. Non un soldo di paga però per regista, aiuto, attori e macchinisti. Gli utili eventuali di spettacolo in spettacolo verrebbero ripartiti in maniera proporzionale dell'attività e del «peso» di ognuno. Io accetterei ad occhi chiusi, ma gli altri? Zennaro (Alfredo Zennaro, commediografo e regista, ndr) cerca di ottenere qualcosa di più, altrimenti non resta che una soluzione, la seguente: Zennaro dovrebbe cominciare a dirigere a giorni, per conto dell'ambasciata rumena, uno spettacolo in occasione del centenario di Jon Luca Caragiale, per il quale percepirebbe due milioni e questi versarli interamente per gli spettacoli al Fiammetta e cominciare a lavorare su questa base.
Come vedi, nulla ancora di ben preciso. Il lavoro di apertura dovrebbe essere "Am stram gram" di Roussin, da me segnalato e per il quale nutro una profonda simpatia, trattandosi di una cosa assolutamente pazza divertentissima e molto intellettuale. Con Zennaro potrei farne un'ottima cosa.
4) Costa e d'Amico. Con d'Amico abbiamo fatto il passo avanti del saluto. Ho incontrato Costa cinque giorni fa, di sera e abbiamo parlato a lungo. Per cui mi ha invitato ad andare a trovarlo in Accademia e a portargli le mie poesie. Ci sono andato l'altro ieri, faceva lezione nel pomeriggio a tutte le classi riunite, dalle cinque alle sette. Alcuni dei miei compagni che non mi vedevano da tempo, si sono precipitati ad abbracciarmi veramente commossi.
Al momento di salutarlo, Costa non ha voluto che andassi via e m'ha invitato a cena a casa sua. Così abbiamo passato una serata e buona parte della notte come ai vecchi tempi. Ha voluto che gli lasciassi le mie poesie per leggerle con comodo. Poi mi ha letto le sue ultime cose. È diventato un poeta sul serio, non è più un dilettante della poesia. Questo spiega la sua crisi attuale d'uomo di teatro. Perché è veramente demoralizzato, anche se continua a lavorare come se nulla accadesse dentro di lui. Ha dato ragione a me: il poeta è l'uomo più chiuso in sé che ci sia, mentre l'uomo di teatro e di cinema è la puttana più pubblica che ci sia. Ciò genera uno stato di disagio e di sofferenza enorme, io l'avvertii appena misi piede in Accademia, lui comincia ad avvertirlo ora che diventa un poeta. Per me è meno grave, perché sono giovane e con poche illusioni, mentre lui ha quaranta anni ma è rimasto un bambino. Ma ognuno veramente la propria rogna deve sapersela grattare da solo, se non altro è l'unica esperienza positiva che ho avuto da tutto quello che ho visto dal '49 in poi. Lunedì tornerò a rivederlo ancora, ora che il ghiaccio si è spezzato definitivamente e la vecchia amicizia è ritornata a galla.
Abbiamo anche parlato delle mie dimissioni dall'Accademia ed egli mi ha fatto presente come un trenta per cento della responsabilità ricadesse anche sulle mie spalle. Ora, a mente assolutamente fredda, non so dargli torto del tutto. Ma questo sarebbe un discorso troppo lungo. Non so nulla di Marta Abba. [...]. In quanto alla notizia se farà o meno del teatro, non so dirti. Pensa che questa storia la tirano fuori nell'ambiente in media due volte all'anno.
I miei proponimenti?? Voglio arrivare, a qualunque costo, anche a vendermi l'anima. Va bene, non ci ricaverò molto, ma è sempre qualcosa. Sto scherzando, naturalmente: attendo solo l'occasione propizia per farmi benvolere da tutti nell'ambiente del cinema, anche se ci saranno centinaia di persone antipatiche. Il resto verrà da sé. L'unica cosa che mi preoccupa è il tempo che ho perduto e i quattrini spesi a vuoto. Se sapessi di avere dietro le spalle una situazione più rassicurante, sarei felice. Pazienza. Per una volta tanto voglio sperare anch'io in... «tempi migliori».
Scrivimi spesso, caro papà, apro le tue lettere con lo stesso batticuore di un innamorato. Ti abbraccio con immenso affetto e ti bacio con tanto amore.
Tuo ANDREA

(Brano pubblicato su La Repubblica, 25 novembre 2024)


 

Roma, 7 gennaio 1952
(…) Ho bisogno di sapere calmi voi per poterlo essere anch’io e vi assicuro che non si tratta di una frase che scrivo così tanto per riempire spazio. Qui mi trovo ogni giorno a lottare contro tante cose, forse e soprattutto contro me stesso e se a tutto ciò si deve aggiungere l’inquietudine per che provo per voi, sinceramente comincerebbe a diventare una situazione insostenibile. Io sono già abbastanza preoccupato per la nostra situazione finanziaria, ogni qual volta ricevo i vostri quattrini bestemmio da pazzo perché so quanti sacrifici: a me servono per vivere, non li spenderei per divertirmi neanche se mi sparassero… Il fatto che io sia solo, molto solo da quattro mesi, non deve farvi pensare che io sia triste. È una strada che mi sono scelta da me volontariamente.”

Roma, 10 gennaio 1954
(…) Ma alle 11 del mattino, andato a teatro, non trovo nessuno degli attori: Carcano li aveva mandati a provarsi i costumi e aveva spostato la prova alle 9 di sera! Il rischio che stavo correndo era immenso, era quello di rovinarmi artisticamente e lui non se ne rendeva conto! Allora tutta l’ira repressa è scoppiata, e come un pazzo mi sono messo a cercarlo. Lo trovo con Calendoli, all’una che prendeva l’aperitivo da Canova, e lo affronto dicendogli che l’unico competente a stabilire le prove ero io e che lui era un pazzo se credeva che in quelle condizioni io potessi andare in scena. Risposta: “Di che cosa si preoccupa?”. Io: “Non voglio fare una cattiva figura.” Lui: “Mi stia a sentire. Prima di tutto il direttore della compagnia sono io e quindi dispongo io. In secondo luogo, lei lo sa che io sono un critico?”. Io: “Lo so, è stato l’unico a dir male del mio spettacolo precedente.” Lui: “Bene, e allora io le dico che se si preoccupa della critica che avrà le assicuro che la critica non vale niente.” Io (fuori di me): “Non vale niente lei, non d’Amico o Prosperi.” Lui (seccato): “Lei mi sta rompendo le scatole con questo suo isterismo!”. Io (pazzo completo): “E allora oltre alle scatole le rompo anche la faccia!”. E gli mollo due schiaffoni.

(Brani pubblicati su Il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2024)


 

Roma, 15 agosto 1953
Mamma carissima, due parole in fretta. Ho ricevuto proprio questa mattina la tua lettera. Capisco benissimo la tua gioia, ma non vorrei che ti facessi soverchie illusioni, non c’è lavoro, da nessuna parte. E poi ancora non è giunto il momento che mi vengono a cercare e mi offrono del lavoro, questo avverrà fra due o tre anni se la fortuna mi assisterà. Fino ad ora sono io che dovrò andare intorno a cercare lavoro. Sono stato domenica scorsa tutto il giorno con Orazio, anzi siamo andati assieme in macchina sino ad Anzio ed abbiamo fatto ritorno a Roma a sera tarda in macchina. Io non posso chiedergli una lira come speravo perché è assolutamente al verde ha dovuto persino licenziare la domestica. Così l’unica possibilità che ho di tirare avanti sono le 2.000 lire tue che tu di tanto in tanto mi mandi. Ora mi è necessario restare a Roma al massimo altri 15 giorni e ti spiego perché. Non sappiamo se riusciamo a fare la compagnia per l’anno prossimo, perché non sappiamo quanto ci darà il ministero come sovvenzione e lo sapremo solo al momento che questo benedetto governo si formerà, anzi dopo un po’ di giorni che si sarà formato. Ora io voglio essere presente al momento della firma dei contratti, sai com’è, Zennaro e Calendoli sono veramente degli ottimi amici, ma gli assenti hanno sempre e comunque torto ed io invece ho il massimo interesse ad avere ragione, sempre. Cosicché, firmati questi contratti, io mi sarò assicurato non meno di due regie per l’anno prossimo. Inoltre devo ancora vedere Ennio De Concini e non è facile rintracciarlo, impelagato com’è nella lavorazione dell’Odissea. A questo proposito oggi ho telefonato a Costa, domani dopopranzo andrò a prendere il caffè da lui così vedremo di andarci assieme. Sono andato all’Enciclopedia e ho visto d’Amico che è stato di una gentilezza estrema nei miei riguardi, comunque prima di partire per venire giù a trovarvi come spero ardentemente, voglio parlare con Chicco Pavolini per quanto concerne il mio prossimo lavoro all’Enciclopedia, quello cioè a partire dal mese di ottobre in poi. Vorrei insomma avere una assicurazione scritta. Questa è la mia situazione attuale, aggravata dal fatto che Orazio non farà nessun spettacolo teatrale durante l’estate, perché se lo avesse fatto io avrei con certezza lavorato con lui. Comunque pazienza, è già un bene che io abbia fatto la mia regia quasi inaspettatamente e sia riuscito a farmi conoscere in un certo ambiente. Cosicché bisogna vedere di farmi avere qualcosa per tirare avanti in questi giorni, poi non appena avrò concluso qualcosa in merito alla formazione della compagnia vi telegraferò e vi scriverò perché mi possiate inviare la somma necessaria per il ritorno. Conto, se tutto va bene, di trattenermi giù da voi tutto agosto e metà di settembre a riposarmi e a prepararmi alle fatiche dell’anno prossimo. M’interessa che mi facciate sapere al più presto l’indirizzo della Società Amici della Musica di Agrigento e che mi diate anche il nominativo del Presidente e del Segretario responsabile. Non dimenticatelo perché è una cosa che mi interessa. Vi abbraccio con immenso affetto. Andrea.

(Brano pubblicato su ANSA, 25 novembre 2024)


 

Ostia, 3 novembre 1949
Carissimi,
questa lettera vi servirà da «rendiconto» di tutto quanto ho fatto dalla mia venuta a Roma sino ad oggi. (...)
L’esame (all’Accademia di Arte drammatica (ndr) è stato il seguente: appena entrato nel teatro, d’Amico mi ha chiesto di recitare qualcosa. Al che io ho risposto che mi mancavano gli altri attori per sostenermi nella parte e che non conoscevo nessuno al quale poter chiedere questo favore. Allora d’Amico ha chiamato due tra i più valenti attori giovani del teatro di prosa e che io conoscevo solo di fama: Gassmann e Santuccio. Con quest’ultimo, avendo avuto un’ora di tempo per prepararmi, ho imparato una parte dalla commedia «La torre sul pollaio» (che avevo dato quest’anno a Porto) e una parte dalla commedia «Arsenico e vecchi merletti» (che era solo la seconda volta che la leggevo) e così sono salito sul palcoscenico. Potete immaginare la mia emozione e il mio orgasmo.

Dopo aver recitato (davanti a 10 membri di commissione, tra attori, attrici e registi) è cominciato l’esame vero e proprio, sul perché avevo deciso di fare la regia della commedia di Pirandello in una determinata maniera e non in un’altra. Mi sono trovato d’accordo con Costa (il maestro di regia) sul II e sul III atto, ma non sul primo. Io ho difeso la mia idea fino in fondo, anche a costo di mandare tutto all’aria. E forse questa mia decisione mi ha giovato, anche perché ero stato preavvisato da Zennaro (l’aiuto regista di Costa) che quest’ultimo faceva spesso delle domande ambigue, a trappola. Dopo un’ora e un quarto, annegato in un bagno di sudore (e dire che qui a Roma fa freddo!) sono stato licenziato. (...)
Pensa che da due anni non prendevano nessun regista e che quest’anno, su 9 concorrenti sono stato ammesso io solo, (unico in tutta Italia). D’Amico ha detto a Maia che anche quest’anno la commissione non voleva prendere nessuno, ma che lui allora si è alzato e ha detto che secondo lui si sbagliava a non voler ammettere nessuno in quanto c’era un nome che spiccava sugli altri. «Qual è?» è stato chiesto dalla Commissione.
«Camilleri» ha risposto d’Amico. E all’osservazione che io difettavo di una completa cultura teatrale (cosa verissima del resto), ha detto che lui «vedeva» in me e che senz’altro ero una carta da giocarsi con buone probabilità e che comunque, per lasciare ad ogni membro della commissione libertà assoluta di giudizio, si sarebbe passato ad una regolare votazione. E così è stato fatto, senonché all’atto dello spoglio, si è visto che le parole di d’Amico, quale Presidente dell’Accademia e intenditore di teatro, hanno avuto un buon effetto perché la votazione è stata assolutamente favorevole a me e così sono stato l’unico ammesso (...).

Roma, 11 gennaio 1950
Carissimi,
spero che avrete ricevuto le due parole che vi scrissi ier l’altro per dirvi ch’ero arrivato bene. Mi sono finalmente sistemato a Roma in una maniera come meglio forse non avrei potuto sperare.
Ho una grande stanza a mia disposizione con un letto soffice, comodo e ben munito di coperte ma posso in verità dire che ho tutta la casa a mia disposizione. La padrona di casa è gentilissima con me e mi usa molti riguardi, l’altra sera che volevo farmi la barba ha preteso a tutti i costi che lei mi riscaldasse l’acqua necessaria. Il posto è un poco in periferia, c’è un grande silenzio ed un senso di pace che mi aiuta molto nel mio lavoro. Disto esattamente 25 minuti di tram dall’Accademia, per cui mi alzo ogni mattina alle 7 con un vantaggio di 1 ora e mezzo di quando abitavo ad Ostia e in più c’è da considerare il vantaggio veramente notevole che io mi posso talvolta riposare nel pomeriggio. (...)

Per la biancheria la padrona ha parlato con la sua lavandaia, dato che non lava lei stessa neppure le sue cose perché è impiegata e non ha tempo. A mezzogiorno e la sera ceno in trattoria e al solito mangio bene. Ho ripreso la vita di prima, solo che il ritmo del lavoro ora lo sento di meno, dato che ho più tempo a mia disposizione.
In Accademia la solita vita, ieri ci hanno dato le tute che fanno schifo, la mia è la meno peggio di tutte ma figuratevi che se devo alzare il braccio destro sono costretto ad alzare anche la gamba! A qualcun altro tirava tanto di cavallo che a momenti rischiava di restare sospeso a mezz’aria. Abbiamo energicamente protestato e domani ho un appuntamento col sarto perché me la rifaccia, a sue spese, si intende. (...)

Roma, 30 maggio 1952
Papà carissimo,
(...) È venuto a trovarmi a Roma da Parigi Jean Genet di cui vi ho già parlato. È quel celebre autore francese noto anche per le sue condanne per furti, minaccia a mano armata, scassi e assalto alla Banca di Lione. È rimasto soddisfatto della mia traduzione, sono stato a pranzo con lui e mi ha fatto conoscere Jean-Paul Sartre. Genet è un uomo straordinario che lascia un’impressione profonda in chi lo conosce per il suo spaventoso cinismo. Mi ha dato tutti i diritti per il lavoro che ho tradotto, mi ha detto che ne posso fare tutto quello che voglio e che devo trattenere tutti i quattrini, come se l’autore fossi io, senza dare nulla a lui. «Lei è giovane» mi ha detto «e ha bisogno di quattrini. Io sono ricco e non ne ho bisogno». «E che posso fare per ringraziarla?» ho chiesto. E lui: «Fra qualche anno mi manderà dei pacchi». «Dove?» chiedo io. E lui: «Al carcere, naturalmente». (...)


(Brani pubblicati sul Corriere della Sera, 25 novembre 2024)


 

Roma, 28 gennaio 1950
Carissima mamma, ho ricevuto le tue due lettere, io non ti ho scritto prima perché ho avuto e continuo ad avere molto da fare e la sera quando torno a casa non ho altro pensiero che quello di andarmene a letto. Io cerco di scriverti nei pochi momenti liberi che ho, comunque non ti devi mai preoccupare per la mia salute, sto bene, mangio (anzi ti dico in proposito che non credo di essere molto dimagrito da quando sono tornato dalle vacanze) i dolori sono quasi del tutto spariti e si fanno risentire solo quando prendo un poco di freddo o mi bagno per la pioggia. Io naturalmente cerco di riguardarmi come posso ma certe volte è inevitabile che prenda un poco di freddo o mi bagni: il fatto però di abitare qui a Roma mi consente di potermi cambiare con facilità. D'altra parte da tre giorni vado in giro con la tuta che mi è stata finalmente aggiustata in una maniera se non altro passabile.
Con zio Turiddu e Paolo sono stato assieme parecchie sere, poi andarono in casa di cura e mi telefonarono l'indirizzo una domenica mattina ed io promisi loro che sarei andato a trovarli nel pomeriggio e ritornai a letto a dormire. Senonché quando mi sono svegliato non sono più riuscito a trovare il foglietto sul quale avevo trascritto l'indirizzo. Dispiaciuto, ho atteso una loro telefonata che però non mi fu più fatta. Quindi non ho più saputo nulla di loro. Desidererei che papà telefonasse loro ad Agrigento e mi sapesse dire qualcosa, spiegando loro il motivo della mia mancata visita e dicendomi se ritorneranno qui a Roma.
Devi dire a zia Elisa che non si preoccupi per le parole di Costa sul teatro, "morte del teatro" significa questo: nel 1950 tutti vanno in automobile (= cinema) e pochi a cavallo (= teatro), ma questo non significa che domani i cavalli diventeranno in servibili e come tali saranno ammazzati. Chiaro? Noi comprendiamo che l'avvenire è delle automobili ma preferiamo andare a cavallo. Ecco tutto. A proposito di Costa: mi aveva chiesto che gli facessi vedere le ultime mie ooesie pubblicate su Pesci Rossi e Inventario. Io ho comprato le due riviste (£ 600, maledizione!) e gliele ho regalate, lui le ha lette e poi, non so se per distrazione o a bella posta, le ha lasciate in vista sul tavolo nella sala di consiglio dei professori. Bene, l'altro giorno, c'era seduta plenaria di tutti gli allievi per una lezione di Silvio d'Amico e questi a un certo punto chiede: «Chi di voi è andato a vedere Ruggeri nel "Tutto per bene" di Pirandello?». Parecchi alziamo le mani. Allora lui dice: «Si alzi Camilleri» e poi: «Che cosa te ne è parso dell'interpretazione di Ruggeri?». Io la giudico secondo un punto di vista che lui condivide, e poi mi chiede ancora: «E del lavoro che te ne pare?». Io rispondo così: «Non lo stimo come uno dei migliori di Pirandello». E lui: «È detto un po' crudamente ma anch'io sono dello stesso parere». Poi rivolto agli altri fa: «Ed ora Camilleri, che ho avuto il piacere ieri di conoscerlo come un poeta tutt'altro che disprezzabile, anzi veramente apprezzabile, ci esporrà le sue idee su questo lavoro».
Che le mie poesie gli siano piaciute mi fa molto piacere e so anche che sono piaciute alla Setaccioli. Non so se ti ho scritto che giorni fa sono andato con Costa e alcuni ragazzi e ragazze a Villa Borghese (era una giornata stupenda) e ci siamo messi a giocare a «pugno incantato» e ai «ladri e sbirri». Io capeggiavo la squadra dei ladri e Costa quella degli sbirri. La sera mi facevano male le gambe per il troppo correre! E la fame! Ho preso doppia razione di pasta al ristorante! L'altro giorno Costa, durante la lezione di mimica, s'è dovuto assentare per un'ora e m'ha fatto continuare la lezione agli altri ragazzi, che, per sfottermi, mi chiamavano: signor dottore, come chiamano Costa.
Il maestro Pelosini mi continua a dimostrare il suo affetto e lo stesso tutti ad esclusione della Capodaglio. Ma io non posso volergliene male, malgrado tutto mi è simpaticissima e non riesco affatto ad arrabbiarmi con lei. Per il giorno 2 febbraio avremo le medie: speriamo bene! Mi sembra di essere ritornato ai tempi del liceo! Scherzo, naturalmente: sono molto tranquillo al riguardo: solo un'ostilità personale nei miei riguardi potrebbe giustificare qualche attacco alla mia borsa di studio.
Sono stato spessissimo a teatro, a vedere i De Filippo e Ruggero Ruggeri. Ieri sera c'è stata la prima di Invito al castello» per la regia di Orazio Costa. E stato un trionfo! Tu mi dici di andare a trovare zio Totò, solo che io non ne ho il tempo. Appena avrò un minuto di tempo andrò a trovarli. Domenica scorsa sono andato a trovare zio Tano e zia Michelina ad Ostia e mi sono trattenuto a pranzo da loro, al solito cordialissimi con me. Zio Vincenzo l'ho visto solo una volta, sta male perché gli hanno trovato il diabete e per ora fa una cura strettissima. Scrivigli, mi farai un piacere.
Tu mi scrivi che mi hai spedito il pacco con i libri, io non l'ho ancora ricevuto, sicuramente mi perverrà fra giorni. Per il certificato provvederò io stesso. Scrivetemi sempre e datemi vostre notizie, spero che papà abbia smesso di fumare: lo saluta un ufficiale di marina di cui mi sfugge il nome che io ho incontrato in tram (Perdio, come si chiamava? Era stato a Porto da sottotenente poi tornò a Porto mentre noi eravamo a Enna, anzi voleva affittata la nostra casa... Beh, non mi ricordo) e mi ha anche detto che Licari si trova a Roma al ministero. Lo andrò a trovare.  Scrivetemi spesso. Carissima assieme a papà e a tutti di casa ti abbraccio di tutto cuore e ti bacio.
ANDREA

(Brano pubblicato su La Stampa, 25 novembre 2024)


 

25 febbraio 1950
Carissima mamma,
questa sera, sabato, tornando da casa, speravo di trovare qualche tua lettera e invece non c'era niente. Spero che lunedì mi arrivi qualcosa. Io sto bene in salute, febbraio è passato senza che mi desse il minimo fastidio per il freddo, è stata una cosa stupenda, sole e caldo ogni giorno. Mi accorgo che il tempo passa solo attraverso il giornale «La Fiera Letteraria» che compro ogni sabato: ogni volta mi stupisco a vedere il nuovo numero nelle edicole. «Guarda!» mi dico «ma se l'altro numero l'ho comprato ieri!». E invece no, sono passati sette giorni. Evidentemente è un effetto del lavoro che mi prende tutta la giornata e non mi lascia mai un attimo di tempo libero, non ho neppure il tempo di pensare ad altre cose, solo il teatro, teatro, teatro.
Mario Ferrero, il regista che prepara il saggio, non mi lascia un attimo libero: figurati che è andato da d'Amico a dire: «Se Camilleri ha da sentire delle lezioni quando io provo, vi prego di esentarlo perché io di lui non ne posso fare a meno». (...)
Oggi ho tenuto una conferenza. Proprio così. Sono stato invitato a farla dal segretario nazionale delle Olimpiadi Culturali, Franco Di Tondo, un ragazzo che conobbi a Firenze nel 1947. L'ho tenuto nel più elegante locale di riunioni di Roma, alla «Conchiglia», dinnanzi ad un pubblico di intellettuali e di belle donne. Non solo, ma all'inizio sono stato chiamato al tavolo della presidenza a presiedere la riunione con altri! Con me c'erano al tavolo: Giacomo De Benedetti (il critico), Luigi Chiarini (il regista), Palma Bucarelli, Renato Guttuso. Nel pubblico ho riconosciuto: Moravia, Brancati, Levi, Gatto, la Bellonci, e altri nomi notissimi. Prima di me ha parlato De Benedetti che m'ha presentato come «il giovane poeta siciliano» (figurati!) poi ho parlato io e infine Chiarini ha concluso. Io ho parlato a nome dei giovani intellettuali che partecipano alle Olimpiadi e ho parlato anche del problema della cultura nel sud.
S'è verificato lo stesso che a Firenze nel 1947, applausi fervorosi e convinti, congratulazioni finali. Se ne parleranno i giornali, te ne invierò copia come spero pure di procurarmi le fotografie che sono state fatte durante il discorso. Ho parlato seccamente e brevemente, idee chiare e precise. Ma se sapessi che conforto era per me, tra tutto quel pubblico sconosciuto, posare lo sguardo sul volto amico e sorridente di Leo Guida seduto in terza fila! Non solo, ma (sorridi pure!) mi sono accorto di avere delle ammiratrici! Pensa! E io che non lo sapevo! Due ragazze alla fine sono venute a presentarsi e a dirmi quanto fossero piaciute loro le mie poesie che avevano letto sul «Saint-Vincent» e sulle riviste e a dirmi anche che erano felici di conoscermi.
Per me, sarebbe stato un'altra cosa se avessi avuto voi due, miei carissimi, in prima fila. Peccato, ma spero che questo possa avverarsi un giorno o l'altro. Ora che ho terminato di darvi mie notizie, devo cominciare a lavorare ad un saggio critico che Achille Fiocco (il maestro di Storia del teatro) mi ha incaricato di fare.
Datemi sempre notizie di voi. Desidero che la prossima lettera porti almeno la firma di nonna Elvira, di zia Elisa e di zio Massimo. Dite alla famiglia ducale che mi inviino almeno una cartolina. Ho molto bisogno di sentirvi vicino a me anche attraverso queste forme esteriori. E papà mi scriva anche lui una sua lettera, come altra volta ha fatto, e mi dica di sé e del suo lavoro.
Vi abbraccio forte, forte, forte
ANDREA
Salutatemi gli amici, in particolare Fiorentino, che lui mi scriva, lui che ne ha il tempo! Io gli scriverò fra giorni.

(Brano pubblicato su Il Messaggero, 25 novembre 2024)



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