Nella Sicilia dell'XI secolo, dominata dai normanni, Omar Ibn Khalid è
arrestato per alto tradimento e condannato a morte. Nel tentativo di salvarlo
sua sorella Yasmina si fa novella Shahrazàd e, come l'eroina delle "Mille
e una notte", seduce il sovrano Ruggero I con i suoi racconti e ancor più
con la sua cucina: cannoli, granite al cedro, caponate di melanzane, cuscus di
pesce... Questo volume, scritto da un celebre giallista francese (ma siciliano
d'adozione) e da una siciliana trapiantata a Roma, ci svela i segreti delle
antiche tradizioni culinarie palermitane, ricche dei profumi e del sole di
Sicilia e d'Arabia. Storie e ricette, fa notare Andrea Camilleri
nell'Introduzione, "tra loro strettamente s'intrecciano, si impastano, si
amalgamano, cotte nel bollore della fantasia, dell'arguzia, della pura
invenzione e infine condite con una piacevolissima scrittura che ha un che di
piccante e di speziato".
Maruzza Loria, palermitana trapiantata a Roma, dove vive dal 1982, è
pubblicista, lavora come addetta stampa per lo spettacolo e traduce dal
francese. Mantiene un forte legame con la sua terra d'origine e le sue
tradizioni, in particolare quelle gastronomiche.
Serge Quadruppani vive e lavora tra Roma e Parigi, dove ha pubblicato saggi,
romanzi e gialli. Traduce in francese libri di autori americani e italiani (tra
cui Andrea Camilleri e Valerio Evangelisti), e dirige una collana dedicata al
noir italiano. Per i Gialli Mondadori ha curato l'antologia di racconti 14
colpi al cuore. Tra i suoi titoli tradotti in Italia ricordiamo L'assassina
di Belleville e La breve estate dei Colchici, editi da Mondadori.
Introduzione
di
Andrea Camilleri
Questo
libro è il racconto del progressivo innamoramento di Ruggero d'Altavilla, conte
di Sicilia e futuro re, per la bellissima principessa araba Yasmina, e non è un
caso che i capitoli che lo compongono siano dedicati al tema dell'amore: quello
materno, quello cortese, quello filiale, quello tra fratelli e sorelle, quello
perfetto.
Questo libro non è solo una storia
d'amore: è il racconto di una sfida mortale. La principessa Yasmina, che vuole
salvare il fratello Omar condannato a morte per tradimento da Ruggero, riesce ad
allontanare la scure dalla sua testa, facendo gustare al conte sera dopo sera
cibi sempre più appetitosi e lasciandogli intravvedere la possibilità che egli
alla fine possa godere, oltre che della sua cucina, anche del suo splendido
corpo.
Questo libro è sì un racconto d'amore, è sì la storia di una sfida mortale,
ma è soprattutto il pretesto per la narrazione gioiosamente libera e
felicemente fantastica di leggende siciliane nelle quali confluiscono le culture
che in tempi diversi hanno dominato l'Isola. E alcune di queste leggende credo
siano state direttamente imbastite nella privata cucina della Loria e di
Quadruppani, ma non importa. Anzi. E così nel libro possono trovare posto tanto
il popolare Giufà quanto Cola Pesce. E vi compare persino re Artù che aspetta
con i suoi cavalieri che gli passi il mal di denti, esiliato in un immenso
territorio che si estende sotto l'Etna.
Questo
libro è un racconto d'amore, è la storia di una sfida mortale, è una raccolta
di leggende, ma è anche un excursus storico, a un tempo preciso ed estroso, su
come si viveva alla corte di Ruggero d' Altavilla. La storia infatti è
ambientata in Sicilia nel 1075. Ruggero non fu personaggio da poco. Egli intuì,
ad esempio, il valore della «poliedricità della vita intellettuale dell'Isola,
sempre ricettiva e diffusiva di quelle correnti mediterranee di pensiero che
trovavano la loro triplice fonte di alimentazione nella tradizione greca, araba
e latina» (U. Rizzitano), e il suo grande merito fu quello non di voler imporre
a tutti i costi la sua cultura facendola diventare egemone, ma di aver saputo «creare
un clima di illuminato pensiero politico e religioso nel quale tutte le razze,
tutte le religioni, tutte le lingue, tutte le culture erano ugualmente
incoraggiate e favorite», come afferma J.J. Norwich, citato da Loria e
Quadruppani. E bisognerebbe aggiungere che, coi tempi che corrono, Anno Domini
2004, tempi bui d'intolleranza, di razzismo, d'estremismo, di terrorismo, di
guerre preventive, di kamikaze, di omicidi mirati, l'insegnamento politico di
Ruggero dovrebbe essere opportunamente ripreso e studiato.
Questo libro è un racconto d'amore, la
storia di una sfida mortale, una raccolta di leggende, un excursus storico, ma
è nel contempo un inno al piacere di narrare, di abbandonarsi all'invenzione
fantastica e di restituire questa invenzione con una notevole felicità di
scrittura.
Questo libro è un racconto d'amore, la
storia di una sfida mortale, una raccolta di leggende, un excursus storico, un
inno al piacere di narrare, ma è soprattutto un libro di cucina. Un ricettario,
precisamente.
Perché
di tutte le pietanze che Yasmina fa imbandire per Ruggero, Loria e
Quadruppani ce ne danno coscienziosamente l'antica ricetta. Una cucina al
profumo d'Arabia, recita il sottotitolo di questo libro. Certo, c'è una forte
prevalenza di pietanze di derivazione araba, ma non solo.
Ha scritto Antonino Buttitta nella
prefazione a Profumi di Sicilia di Giuseppe Coria (che gli autori
considerano «un monumento ai sapori e alla storia della cucina siciliana»),
riferendosi all'intreccio delle culture nell'isola: «... talora niente di
meglio di una pietanza ci può fare da guida nel misterioso labirinto di questa
millenaria vicenda. Oggi noi godiamo della vite, dell'ulivo, degli aranci e dei
limoni e li consideriamo come da sempre inscritti nel nostro paesaggio
agrario... In realtà ciò che vediamo è un prodotto della storia dell'Isola».
Questo libro è anche una delizia per
il palato. Proprio così. Perché i
due autori non si limitano a indicare il piatto che Yasmina presenta a Ruggero,
ma descrivono spesso e volentieri l' effetto particolare che quel piatto produce
nella bocca di Ruggero. Vogliamo ricordarci dell'esempio della mela di Berkeley,
citato da Borges, dove si sostiene che la mela in se non avrebbe sapore alcuno e
che il sapore si produce al momento del contatto tra la mela e il palato?
Per
contro, questo libro è un libro di penitenza, aspra e dolorosa, per chi, come
me, a lungo ha gustato i piaceri della buona tavola e ora non può più per l'età
e per ferreo diktat medico. Ho molto espiato, leggendolo. Confesso che c'è
stato un momento nel quale, per disperazione, sono andato a rileggermi qualche
pagina di un altro ricettario, intitolato Cucina vegetariana, dovuto alla
penna di un illustre siciliano, Enrico Alliata duca di Salaparuta, in particolar
modo quella in cui sostiene che «il passaggio a un regime naturalista, o meglio
ancora crudista, è una vera e propria liberazione ed una assoluta purificazione
rigeneratrice».
Non c'è stato niente da fare, ho
preferito l'espiazione senza purificazione, vale a dire ho preferito continuare
a patire nel ricordo di certi sapori, nella memoria di certi odori.
Questo libro è anche un saggio sulla
democrazia. Sì, perche non viene mai fatta distinzione tra cucina povera e
cucina ricca. Qui piatti umili, da contadini, come le panelle, come il maccu,
come la caponatina, hanno la stessa dignità e lo
stesso valore di piatti nobili come le triglie all'arancia o
il capretto farcito.
Ma insomma, questo libro cos'è?
-potrebbe chiedermi a questo punto
il lettore. Un racconto d'amore, una sfida mortale, una raccolta di leggende, un
excursus storico, un inno al
piacere di narrare, un libro di cucina, un godimento, un'espiazione, un
paradossale trattato sulla democrazia?
La
risposta è semplice. Il libro è composto da sette storie e da cinquanta
ricette, storie e ricette che tra loro strettamente s'intrecciano, si impastano,
si amalgamano, cotte nel bollore della fantasia, dell'arguzia, della pura
invenzione e infine condite con una piacevolissima scrittura che ha un che di
piccante e di speziato. Mi viene da dire: leggetelo, certo, ma anche
assaggiatelo, gustatelo. Io non ho fatto altro che analizzarne una per una le
componenti.
Perché
il libro è certamente tutto quello che ho detto, e forse anche altro, ma in
definitiva sta al vostro palato il piacevole compito di farne la sintesi ultima
e strettissimamente personale.
A.
C.
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