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La zia marchesa



Autore Agnello Hornby Simonetta
Prezzo E 16,00
Pagine p. 322
Data di pubblicazione 2004
Editore Feltrinelli
Collana I narratori




Seconda metà dell'Ottocento. La Montagnazza, Agrigento. Amalia vive con la nipote Pinuzza in una delle molte grotte scavate nella pietra. Le occupazioni quotidiane vanno di pari passo con i racconti di quando Amalia era la balia di Costanza in casa Safamita, una grande famiglia della ricca aristocrazia terriera. Il crollo del regno borbonico, la vendita dei beni ecclesiastici, il potere progressivamente assunto dalla mafia nelle campagne indebolisce se non il prestigio almeno la forza dell'aristocrazia. È in questo contesto che si profila il difficile destino di Costanza Safamita, tanto amata e protetta dal padre, il barone Domenico, quanto rigettata e negletta dalla madre Caterina. Con la sua chioma rossa e il suo aspetto fisico quasi 'di un'altra razza', Costanza cresce fra le persone di servizio, divisa fra le occupazioni umili e l'esercizio della musica, fra l'orgoglio paterno del sangue e le prospettive alquanto limitate della vita in provincia. Quando il barone Domenico decide, a fronte delle delusioni infertegli dai figli maschi, che sarà lei l'unica vera erede del prestigio e delle sostanze di casa Safamita, Costanza è costretta ad affrontare la mondanità di Palermo, a trovare un marito, a modellarsi una nuova identità sociale. Si innamora del marchese Pietro Patella di Sabbiamena, tanto affascinante quanto spiantato e dissoluto, e riesce ad averlo, senza tuttavia sciogliere, come vorrebbe, i nodi che la vincolano a una sofferta, malvissuta sessualità. Simonetta Agnello Hornby costruisce, con il suo formidabile stile a più piani narrativi, la saga di una famiglia, un segmento della storia siciliana, il crollo di un mondo - quello aristocratico - guardato senza nostalgia, scandagliato impietosamente da entomologa sociale, non senza riservare al lettore il piacere di arrivare a inquietanti rivelazioni attraverso il progressivo sommarsi di tonalità di voci che svariano dal racconto in prima persona di Amalia a quello del narratore-architetto.



Agnello Hornby: Saluto e ringrazio tutti… Vi ringrazio, è bello essere di nuovo a Roma. Mi scuso per il ritardo, dovuto al fatto che ho perso il mio editor e mia cugina, le due persone che dovrebbero tenermi a posto, rendermi efficiente, ma questo non mi giustifica. E’, comunque, colpa mia.

Camilleri: Buonasera! Io, mi sono severamente e seriamente preparato. Lo dico perché parlando a… (dal pubblico dicono che non si sente) … ora?! (la voce del Sommo prorompe dalle casse, ma in sala continuano a non sentire). Non è che è il caso d’andare da qualcuno che si occupa di udito?! (risate in sala) … dicevo, siccome certe volte parlo a braccio allora apro dei congiuntivi, delle parentesi che non chiudo più, mi perdo dietro i miei stessi discorsi. Dunque, qualche tempo fa… quando è uscito il tuo primo libro? Due anni fa? Dunque, due anni fa, in un’altra libreria Feltrinelli - le librerie Feltrinelli sono come Dio, cioè a dire: in ogni luogo - (risate) ho parlato del primo libro: La Mennulara. Che, devo dire, ha avuto veramente il successo che meritava: di vendita, di critica e di pubblico. Ne sono contento e provo un piacere enorme soprattutto, poi, quando si tratta di persone che veniamo dagli stessi trenta centimetri di terra, terra di Agrigento ex Girgenti. Oggi sono qui con rinnovato e raddoppiato piacere perché, sapete, c’è il problema del numero due. Cioè a dire: della seconda volta che si fa una cosa. Come sapete, ad esempio, in teatro, dopo la prima, la seconda è sempre un disastro, va tutto male. Forse perché c’è un allentamento di tensione, va a sapere perché. Insomma va male! Vi ricordate Troisi? No?! Ricomincio da tre! Saltò a piè pari il numero due, era la soluzione migliore. Tanti autori, soprattutto quelli che ancora non hanno trovato, identificato, la propria voce, il proprio timbro personale sul secondo romanzo spesso e volentieri cambiano registro. Allora, questa seconda prova della Agnello a detta dei recensori, e per quello che valgono i recensori, non si capisce perché uno diventa recensore di un libro, forse ce ne saranno qui presenti e me lo spiegheranno… per diritto divino? per eredità? per usucapione? Non lo so! Insomma, hanno detto tutti bene di questo libro. E, quindi, devo dire che questo libro è, per me, se non di livello pari, almeno un pochino superiore al primo libro, per asciuttezza di tono, per messa a fuoco maggiore dell’argomento. Ora, la Agnello Hornby, in parte ridipinge, suppergiù, lo stesso paesaggio del primo libro. Adopera, suppergiù, gli stessi colori che aveva già sperimentato nel primo romanzo e, soprattutto, mette la macchina da presa del suo sguardo allo stesso livello del primo romanzo. Un giorno ho visto uno straordinario film di Wim Wenders che era: Tokio… non mi ricordo più (Tokyo-Ga, n.d.t.), mi ricordo però che era un omaggio ad un maestro del cinema giapponese: Ozu, di cui poi fortunatamente vidi dei film. Parlando con il suo operatore, Wenders, scoprì che Ozu metteva sempre la macchina da presa a livello “tatami”, al livello di quel basso tavolinetto dei giapponesi. Con un solo obiettivo è riuscito a descrivere un mondo. La signora Simonetta Agnello continua a tenersi a livello tatami. Se ci riflettete: nel primo romanzo è una serva, sia pure serva padrona, ad essere il centro, il fulcro della storia; nel secondo romanzo, gran parte della storia è raccontata da un ex balia che vive in una grotta insieme ad una nipotina paralitica, mi pare, o qualcosa di simile. Livello tatami! Il livello basso. Lo sguardo che dal basso se ne va verso l’alto. Questo è il suo paesaggio. Allora, io provo veramente un senso di disagio quando, leggendo le recensioni o quello che si scrive attorno a questo secondo libro (sospirando): viene fuori l’animale araldico, viene fuori il Gattopardo dal taschino. Perché? Perché è la storia della decadenza di una famiglia nobile, perché c’è il mezzadro, perché c’è eccetera eccetera… Non c’entra nulla!!! Credetemi! Non c’entra assolutamente nulla. Semplicemente perché quello è lo sguardo di un aristocratico e la macchina da presa è posta in un modo opposto a quella della Agnello. Quello è lo sguardo dall’alto verso il basso e questo è lo sguardo dal basso verso l’alto. Ed è tanto, perché è quello della nostra migliore tradizione narrativa, a cominciare da el sciur Lisander, milanese, no?! E che vi hanno fatto studiare a scuola, cosa sono gli umili e tutto quello che ne consegue nei Promessi Sposi. Per sua stessa dichiarazione, la Hornby, c’ha fatto sapere che la zia marchesa è realmente esistita, ha fatto parte della sua famiglia e ha lasciato, pare, i suoi averi anche alla sua famiglia. E, come dice nel romanzo, nessuno gliene fu grato! Ora, il signor Luigi Pirandello se ne era occupato in precedenza della stessa signora marchesa, in un racconto, in una novella meglio, intitolata: Tutte e tre. La sostanza del fatto, qui Simonetta potrà contraddirmi quando vuole, è la stessa, cioè a dire: c’è l’anomalia di una signora la quale si piglia in casa la vecchia amante, la giovane amante, il figlio avuto dal marito dalla giovane amante. Ora, di questa anomalia, di questa diversità, Pirandello, ne fa una chiara attribuzione, dice che la protagonista non è di origine nobile, è figlia di un massaro arricchitosi perché nelle sue terre hanno trovato dei filoni di zolfo, ma che è rimasto contadino, la figlia è rimasta contadina nel modo di fare, nel modo di agire, e quindi proveniente da un ceto diverso, perciò in un certo senso anomala dentro a quell’ambiente. C’è un punto, che io ho trovato straordinario, di contatto, perché non c’è niente di male, anzi… ed è il momento della corsa, che è il momento cinematografico molto bello, di lei, nel racconto di Pirandello, quando con le calze mezze cadute corre, ma è una contadina e quindi può permetterselo, in un certo senso; è lo stesso tipo di corsa che fa la zia marchesa quando le dicono che il marito è morto nell’orto, nel giardino della vecchia amante. Non c’è altro punto di contatto. E c’è una differenza sostanziale, perdonate la banalità di quello che dico, Luigi Pirandello scrive una novelletta di cinque pagine e Simonetta Agnello Hornby mi scrive un romanzo di trecentoventidue pagine, quindi delle cose diverse ci sono. E che cosa sono? La cosa che più di tutti mi ha colpito non è tanto lo sfondo, quello che io chiamo sfondo altri lo hanno trovato come primo piano, di una società nobiliare che comincia perdere i colpi, ma è lei, la protagonista. Il problema è la solitudine estrema della protagonista, marchiata fin dalla nascita da un segno di diversità: i suoi capelli rossi. Questo paesaggio di colori così belli, con i quali la Simonetta dipinge il paesaggio siciliano, questa volta c’ha questa violenta macchia di rosso. Ed è un po’ la domanda che la protagonista spesso e volentieri si chiede: perché, ho i capelli rossi? Lo sapremo perché ha i capelli rossi, ci verrà detto con molto pudore perché ha i capelli rossi, ma sostanzialmente a me non me ne poteva frega’ de meno… come dicono i romani, di questa soluzione. Il fatto è che su una donna così, anzitutto, pesa un… come posso dire… un modo di pensare che non è solo siciliano ma è mondiale, perché: pelo rosso. Malo pelo. Che va da Rosso Mal Pelo a Pel Di Carota, di Renard, se volete… chissà quanti ce ne sono. Direi che questo è il segno evidente di una diversità interiore, è il colore della pelle ed è a questo che volevo arrivare. Questo è il romanzo straordinario estremamente fine, estremamente intelligente di una diversità. Oggi, noi, la diversità l’affrontiamo in modi più o meno problematici, in modi più o meno drammatici. Raramente mi era capitato, se non ho letto male e può succedere, di averlo affrontato con tanto pudore e tanta verità in un personaggio che non sa di essere diverso, anche questo è l’altro risvolto importante di questo romanzo. Come vedete non sto leggendo e fino a sto momento non credo di essermi molto scostato dall’argomento. Mi interessava citare, a proposito di questo essere marchiato a fuoco dalla diversità… (un rumore assordante interrompe il Sommo: è caduto un quadro staccatosi dalla parete a fianco a lui) E’ un attentato?! (risate) La diversità che mi piace! Quello che dice la Agnello in una intervista: “D’estate andavo da mia nonna e facevamo visita alle prozie che abitavano nello stesso palazzo, si chiacchierava, si spettegolava e quando c’era una donna brutta, goffa, mal vestita, ignorante, troppo sofisticata, rossa, si diceva: pare la zia marchesa! Io domandavo: chi è? E mi rispondevano: niente, una che morì tanti anni fa”. E poco oltre, sempre nella stessa intervista: “Ho chiesto di lei agli anziani cugini di mia madre che di lei non ricordavano neppure il nome, ho saputo solo che parlava in siciliano, portava le gonne arricciate in vita come le contadine, cucinava con le sue stesse mani, mercanteggiava anche con il pescivendolo”. Ma vi pare cosa? Come può una che è nata in un nido di aquile reali comportarsi con la volgarità di un corvo? Voglio fare questo invito a leggere questo romanzo come la storia di una diversità che non è dovuta alla provenienza sociale, come in Pirandello, perché qui la protagonista appartiene al suo mondo, ha tutti i diritti del suo mondo, ma qualche cosa la fa considerare diversa. Da questa considerazione che nasce questa, che ho già detto, tragica solitudine della protagonista che mi sembra essere una sorta di “basso continuo” di tutto il romanzo. Mi è venuto in mente, proprio mentre scrivevo questo… sapete, sono quelle cose che si tirano per i capelli, però m’è venuto in mente questo e, vergognandomi un po’, lo dico… Detto tra parentesi, forse, non è inutile ricordare che l’autrice ha fondato in Inghilterra uno studio legale in prevalenza al servizio delle comunità di immigrati e, dunque, della diversità o di coloro che noi intendiamo diversi, qualche cosa deve intendersene. I nobili siciliani quando dovevano costruirsi una splendida casa in città a Palermo o altrove, chiamavano degli architetti veramente di grosso nome, quando dovevano costruirsi, non le ville, ma le masserie, delle solide case di campagna, quelle che veramente sfidavano i temporali e resistevano… la loro - adopero una parola che non esiste - massiccità veniva temperata all’improvviso da estrose volute, da estrose stanze, si rivolgevano ai capi mastri, ecco! La Simonetta Agnello fabbrica delle meravigliose masserie di campagna, ha un senso del romanzo, del volume, (ridendo) parlo del volume in senso architettonico non in senso librario, che oggi tendiamo a perdere preoccupati del raccontare del viaggio all’interno della propria stanza e non a costruire, invece, qualche cosa che francamente possa resistere. Beh! Il respiro della forza, della capacità narrativa, della gioia stessa con la quale si affronta un racconto. C’è un’ultima cosa a parte la costruzione. Ci sono nell’indice, alla fine, dei proverbi siciliani. Proverbi che non condizionano, l’autrice tiene a precisarlo, niente, ma illuminano. È come se in una strada poco illuminata hai anche una lampadina tascabile: t’aiuta, insomma vedi meglio. Salvo alcune eccezioni invece questi proverbi hanno veramente… non che condizionino ma, francamente, danno il tono a questi capitoli che oltre tutto, in sé, sembrano chiudersi di volta in volta, in una struttura di racconto molto rischioso e molto difficile a tenersi: c’è riuscita! Un’ultima cosa che, purtroppo, credo che può essere assai più goduta dai siciliani che non dai non siciliani ed è l’elenco dei personaggi che sembra assolutamente inutile. Invece, a parte che è una buona guida per districarsi, non solo tra i rami della nobiltà ma addirittura tra i monsù, i cocchieri, le cameriere, eccetera eccetera, è l’ingresso trionfale di questa scrittrice di quella santa ironia della quale, proprio, c’è una così grave carenza oggi, cioè: i nomi dei nobili. Che sono tutti da gustare, perché il suono è altisonante, splendido. Il significato è esattamente l’opposto: Maria Stella Mufuleto di Meusa, significa Maria Stella panino con interiora di pecora… (risate) … il Barone Arrassa dello Scravaglio si può tradurre con ”scostati dallo scarafaggio”; il Conte Giovannino Moschitta è il conte Giovannino zanzara e Cesare Caliasalata equivale a Cesare ceci e semi di zucca abbrustoliti e salati: calia e semenza. Grazie! (applausi) Ora con sommo piacere affido “santa Sebastiana” a voi! (risate)

Agnello Hornby: Che devo dire? Andrea, tra le tante belle cose che mi sono capitate da quando mi sono ritrovata scrittrice, e ci resto, è stato conoscere Andrea Camilleri. Io, non ve l’ho detto, due anni e tre mesi fa la Feltrinelli sgomenta dalla mia ignoranza nel campo letterario mi ha mandata a una presentazione al “Kaos” di Porto Empedocle, dove presentavano un libro su Andrea Camilleri: vai a vedere come sono le presentazioni… perché io non sapevo cosa fosse la presentazione di un libro. C’erano dei dotti che parlavano e io non li capivo, non capivo l’italiano. Mi sentivo morire, che dico, ora?! Poi ha parlato Andrea e m’è sembrato un Dio, l’ho capito e mi è piaciuto. L’indomani ho telefonato alla Feltrinelli chiedendo se potevano presentarmi Camilleri. Mi risposero: ma Simonetta che dici?! È sempre occupato, non puoi… Insomma, mi sentivo una mosca: come ho osato? Mi hanno detto: è impossibile. Impossibile a noi siciliani non si dice mai, vero Andrea? Ho detto: permettetemi di scrivergli, di chiamarlo. Niente. Prendo l’elenco del telefono trovo il suo indirizzo, scrivo una letterina… ci sto cinque ore per una lettera di una pagina, la porto a mano e chiedo: è lo scrittore, che abita qui? Ci mancherebbe che la mando ad un Andrea Camilleri che non è quell’Andrea Camilleri… Due giorni dopo la risposta: si! Te ne sono grata! Io che sono siciliana, e ne sono fiera. E ne sono fiera a Londra, la gente lo sa che non è facile in Inghilterra. Credo che la Sicilia debba tanto ad Andrea. Tutta l’Italia debba tanto ad Andrea, non solo per i suoi libri ma per avere portato la Sicilia e il siciliano o, se vogliamo, il tuo siciliano e il mio siciliano qui, così che la Feltrinelli mi ha lasciato mettere certe parole, certi aggettivi e certi verbi che io credevo fossero italiani, come: scotolare, e invece non lo sono … (risate) Trent’anni fa non me lo avrebbero lasciato scrivere. È un libro che ho scritto con grande amore ma con sofferenza, perché è una storia che mi è vicina, non soltanto per i miei clienti. Però, è stata una gioia scriverlo anche nella sofferenza, ed è una gioia sapere che lo si legge, perché io a questa zia marchesa ho pensato tutta la mia vita, più o meno, perché le ingiustizie che facciamo contro gente come noi ma gente “diversa”, secondo me, sono quasi sempre basate sulla mancanza di conoscenza. Conoscere significa amare almeno un poco. Ho voluto questa zia marchesa, che oramai è totalmente dimenticata – io ho una buona memoria e stavo con le mie prozie, però tutti i miei cugini, non ho dubbi, non ricordano questa zia marchesa ma io sì e Pirandello lo leggo perché scrive bene, è un grande scrittore, ma quella novella mi sta proprio qui, come si dice da noi: come un cutugno – perché spero che piaccia e che faccia pensare. Grazie! (applausi)

La signorina della Feltrinelli chiede se ci sono interventi del pubblico.

Camilleri: Faccio una domanda io. Ho letto in un’intervista che il prossimo tuo libro sarà scritto in inglese, la cosa mi ha colpito assai favorevolmente, vorrei sapere da te come mai questo cambio?

Agnello Hornby: Io sono mezza inglese, non pare ma lo sono. Vivo in Inghilterra da trentacinque anni, a Londra da trentadue anni, ho imparato tanto in Inghilterra e non voglio scrivere sempre su gente che è vissuta nel passato. Non potrei scrivere sull’Italia contemporanea perché non la conosco, sul serio. È anche importante, secondo me, portare questa mia scrittura a una mia generazione e deve essere in inglese. C’è un altro motivo, scrivere è un lavoro solitario. E scrivere in italiano per me è difficilissimo e per riuscirci io mi devo isolare dal mondo inglese. Quando scrivevo La zia marchesa, nel novembre dell’anno scorso, ero a Londra e non leggevo giornali, non guardavo la televisione, ascoltavo solo musica, non sentivo la radio, facevo tribunale e i nipotini. Pensate un mese chiusa tra tribunale, nipoti, musica e scrivere… bello! Però… un giorno c’erano degli elicotteri che volavano su casa mia, io dico: che succede? Sono uscita a comprare il pane, il latte e il tabacco, che mi serviva, e ho letto le testate dei giornali: il presidente Bush a Buckingham Palace. Io vivo lì vicino, ero l’unica che non lo sapesse. Ero totalmente isolata. Questo è difficile. Mi sembra anche giusto cercare di scrivere della mia nuova lingua, probabilmente scriverò metà e metà, perché quando io penso non penso alla lingua e mi condiziona tutto. Ieri, andavo a Napoli ed ero in treno e scrivevo degli appunti per il libro nuovo in inglese. Poi gli ho riletti e metà erano tutti in italiano. Mi sono resa conto che c’era una coppia nel mio scompartimento che parlava, ovviamente il sottofondo italiano mi ha spostato, per cui… come sarà Dio solo lo sa… ma io ci provo in inglese ed è una storia inglese comunque.

Un signore del pubblico: Io non ho letto l’ultimo libro della signora Agnello, ho letto La Mennulara, molti libri di Camilleri e Sciascia, per questo non farò una domanda pertinente al romanzo di questa sera. Vorrei capire come mai solo gli scrittori siciliani, specialmente da un po’ di tempo a questa parte, riescono a produrre, diciamo, dei lavori di genere? Nel senso che trovano un genere che per un verso riempie di contenuto, di stile, di novità quello che riescono ad esprimere. La cosa che più è sorprendente è come mai sono sempre tra le prime firme lette in tutta Italia pur essendo, diciamo, provenienti da zone limitrofe e per certi versi anche limitate geograficamente, come diceva Andrea Camilleri. Scrittori di genere oltre a quelli siciliani, in giro, non se ne leggono, non ce ne sono. Per genere, intendo dire che hanno trovato un argomento che è congeniale a tanta gente, forse anche in campo nazionale… e diventa letteratura poi… non so forse sbaglio…

Camilleri: Non credo che sbagli! Perché in qualsiasi libro di ginnasio… di liceo… non so più dove si studi, cominciano col dire quelle cose infelici. Quei capitoli ignobili che fanno in genere i professori mettendo paletti e dicendo: questo è una categoria, questa è un’altra categoria; questa va in questa stia di polli. Questo no, è un altro genere di pollo e lo mettiamo di qua. Poi ad un certo punto ti cominciano a dire: Verga, Capuana, De Roberto, Pirandello e cominciamo a parlarti dei tre quarti della letteratura italiana. Qui ognuno può avere le proprie tesi, io mi sono sempre chiesto come mai tutto questo sia capitato dopo l’unità d’Italia. Che è una domanda da porsi?! Perché, prima voi scrivevate in siciliano? Bèh, insomma non si scriveva in italiano, il dialetto era molto forte. Il fatto è che qui la letteratura è in loro: in Verga, in De Roberto, in Capuana… Era un fortino, era una forma di difesa di una cultura contro la colonizzazione di un’altra cultura. Che poi da questo fortino si siano fatte delle buone sortite fino ad arrivare nel campo avversario, se così si può dire… Prendete tutto questo nel senso del paradosso, ben venga! Il fatto è che la letteratura degli italiani nati in Sicilia - io mi arrabbio quando mi scrivono “scrittore siciliano”, io sono uno scrittore italiano nato in Sicilia – è quella che più di tutti risente del fatto che la Sicilia è stata quella che è stata: un prisma di culture, una fucina di cultura e che in fondo la lingua italiana e la poesia italiana sono nate lì… è inutile stare a girare intorno ad un dito. La nostra cultura è una cultura araba, francese, spagnola, normanna… è un misto. Ha una tale prismaticità di interessi che riesce a rifletterli, probabilmente, in buona parte.

Agnello Hornby: Se posso aggiungere, a riprova di quello che ha detto Andrea Camilleri, c’è un esempio splendido nella letteratura irlandese. Anche lì dopo l’annessione, l’Irlanda ha prodotto degli scrittori eccezionali.

Signora tra il pubblico: Lei ha detto che nel libro c’è molta sofferenza e volevo fare una domanda su questo argomento: la mamma della zia marchesa è una persona che è stata violentata dal padre da piccola, mi dicono che anche nella “Mennulara” c’è una figura di donna che è stata abusata, anche se poi questa storia non viene fuori. Io volevo capire quali sono le caratteristiche psicologiche proprie della mamma della zia marchesa. Una cosa che non sono riuscita a capire dal libro come mai questa mamma non riesce ad amare la zia marchesa nonostante essa sia frutto d’amore.

Agnello Hornby: Dunque! Domanda difficile… io comunque rispondo. La mamma della zia Marchesa non è stata violentata. La mamma della zia marchesa è stata molestata dal padre, anche questo è brutto ma non è la violenza, ma non ha importanza. È una donna che ha sofferto e che avendo sofferto in questo modo si sente colpevole, perché questa è l’essenza della violenza in noi, colpevolizza oltre a danneggiare. Io non credo che posso parlare del libro in particolare perché mi si dice che non bisogna raccontare la storia, allora darò una risposta un po’ criptica: la mamma della zia marchesa ama immensamente il marito e per soddisfare le esigenze dinastiche della famiglia fa di tutto. Va bene questo quando è fatto come un dovere! Quando è fatto come un piacere dà un senso di colpa. Nel senso di colpa il frutto della colpa fa ribrezzo. Quando è chiaramente il frutto della colpa non si riesce ad amarlo.

Signore tra il pubblico: Lei, Camilleri, ha parlato del gusto, dell’interesse, che Simonetta Agnello ha per la diversità. C’è una differenza fondamentale che è proprio al centro di tutti e due i romanzi di Simonetta Agnello che è la differenza uomo-donna: sono drammi di donne.

Agnello Hornby: Devo rispondere io! Io sono una donna e mi è più facile scrivere delle donne perché le conosco meglio. Non ci avevo pensato al fatto che a quanto mi si dice sono diventata una scrittrice di storie di donne e cercherò, disperatamente, nel prossimo libro di scrivere di più sugli uomini. Però, credo, che nei miei due libri ci sono delle figure di uomo che sono importanti e stranamente i personaggi a cui sono più affezionata - tutti i personaggi sono figli miei e una madre vuole bene a tutti i figli in modo uguale - però tra questi, e soprattutto nella Zia marchesa, io dimostro un grande affetto per la figura del padre per cui mi auguro che non si legga La zia marchesa soltanto come una storia di una donna, che è perché è la zia marchesa, ma che ci sono dei personaggi fondamentali, alla zia marchesa, che sono uomini. Ora dovrò cominciare a pensare: perché scrivo sulle donne? Non lo so…

Camilleri: Se posso aggiungere una cosa… Non è tanto importante scrivere di una donna o di un uomo o di un cane o di un pesce. La cosa che mi ha fatto amare i tuoi libri è, che se Dio vuole, non è una scrittura femminile azzurro pallido… (risate) … no, questo è importante. Certo che parli di donne però ne parli non dalla parte delle donne e non scrivendone da donna, scrivendone semmai da avvocato che è un’altra cosa. Questo è importante, perché non c’è niente di più sdolcinato del poeta che scrive versi, della donna che scrive femminilmente o dell’uomo che scrive virilmente: finiscono con l’equivalersi nello stesso calderone.

Signore tra il pubblico: La mia più che altro è una curiosità. A Palermo, lei è di Palermo, c’è una casa editrice notevole che ha fatto conoscere tra gli altri lo stesso Andrea Camilleri: la Sellerio. Come mai lei non si è rivolta alla Sellerio? … (risate) …

Agnello Hornby: E’ chiarissimo. Io ho scritto La Mennulara, che mi è venuta in una illuminazione, e sono stata fedelissima a come si è presentata alla mia memoria, alla mia immaginazione. Della Mennùlara tante caratteristiche a me non piacciono. Non mi piaceva il fatto che non volesse che i nipoti vivessero in Sicilia, perché la Mennulara vedeva il futuro fuori Isola, però l’ho scritta rispettandola. Quando cercavo un editore ho pensato, ovviamente, agli editori siciliani, però la Mennulara mi diceva: non farlo, questa è un’ultima offesa, non voglio. E nella mia ignorante e innocente presunzione ho detto: sarebbe difficile comunque… e per caso, sono andata a finire alla Feltrinelli, e per fortuna. Per cui il mio libro non è mai andato a nessun editore siciliano. Se non avessi avuto fortuna con la Feltrinelli o con gli agenti a cui avevo scritto – io ho scritto a degli agenti prima: venti. Tre quarti mi hanno risposto che volevano tra i cinquecento e i seicento euro per leggerlo… l’altro quarto non mi ha risposto - per cui chissà dove sarei andata se avessi pagato qualcuno. Ho avuto la fortuna di andare alla Feltrinelli e ci resto. Per La zia marchesa, ovviamente, una volta che sto bene con un editore: chi si muove!

Signora tra il pubblico: Tenuto conto, anche, che lei è avvocato può illuminarmi su questa fierezza di essere siciliani, visto che tocca sentire che siete orgogliosi anche di essere italiani? Perché avete questo atteggiamento?

Agnello Hornby: Atteggiamento?!

La signora insiste: Sì! Questo suo sentirsi fiero della Sicilia… se può illuminarmi!

Agnello Hornby: Certo! Credo che chiunque dovrebbe essere fiero delle sue origini. Amarle, perché questo significa, secondo me, amare se stesso. Non significa sentirsi migliori degli altri perché nessuno può dire chi è migliore di chi. Io ho sempre amato la mia terra. A me personalmente i siciliani piacciono, io sto bene con i siciliani, con tutte le cose brutte della Sicilia, che comunque sono ovunque. Ma io sto pure bene con gli inglesi, per questo sono anche fiera di essere mezza inglese… E ci sono tante cose in Inghilterra che non mi piacciono. Quindi nel mio caso è semplicemente amare il mio popolo, amo la mia gente, amo la mia famiglia. Ci sono delle cose della Sicilia di cui non sono fiera. Non posso essere fiera, se dobbiamo parlarne, della mafia. Non posso essere fiera di tanti aspetti negativi e del classismo dell’Inghilterra, per esempio. In questo caso, vedo il mio ruolo come una persona che può combattere contro questi aspetti negativi del mio popolo e sperare che si cambi, quindi, continuo ad essere fiera di essere siciliana. Non sono solo io fiera d’essere siciliana ma anche i miei figli sono fieri d’essere mezzi siciliani.

Presentazione del romanzo " La zia marchesa" (Feltrinelli) di Simonetta Agnello Hornby
25 Ottobre 2004 ore 18 : 30 - Roma

Foto e trascrizione by Linda



Last modified Wednesday, July, 13, 2011