home page





La biblioteca di Camilleri


Andrea Camilleri ha una doppia biblioteca, la sua e quella del commissario Montalbano, il protagonista dei romanzi che lo hanno reso celebre. «Montalbano legge gli stessi libri che leggo io ma li legge dopo di me. Se a me piace un romanzo di Faulkner si può star certi che, prima o poi, anche lui se ne innamorerà. E’ andata cosi con Simenon, con Conrad e non so più con quanti altri autori», scherza Camilleri, che verso il protagonista dei suoi «polizieschi in salsa siciliana» ha un grosso debito di riconoscenza. Se infatti nel 1995 si erano vendute diciassettemila copie dei suoi primi quattro romanzi, nel 1997 le copie divennero centottantamila e nel 1998 salirono a ottocentomila. Il milione di copie fu poi superato, grazie a Montalbano, nel 1999. Uno sguardo anche rapido agli scaffali di casa Camilleri basta a suggerire i gusti letterari del capo famiglia. Nella biblioteca del grande giallista di Porto Empedocle ci sono infatti centinaia, forse migliaia di polizieschi, di romanzi-enigma a incominciare dai classici del genere. Si va dai più famosi titoli di Conan Doyle, di Chesterton ai bestseller di Agatha Christie, di Edgar Wallace, di S.S. Van Dine.
«Ho raccolto anche i resti di una collezione nata in casa. Mio padre, ispettore della capitaneria di porto, era un lettore appassionato di gialli. Aveva tutti o quasi tutti i titoli pubblicati nella famosa collana popolare mondadoriana, intendo quei volumi di grande formato e stampati su pagine a due colonne che allora si vendevano a due lire e cinquanta centesimi! In casa nostra c’erano però anche altri libri: da bambino, fra un raffreddore e l’altro, ho letto Melville e Lucio D’Ambra, Zuccoli e Salvator Gotta...».
Giochiamo a carte scoperte. Vedo fra i suoi libri
Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie. Che cosa pensa di questa scrittrice e del suo celebre detective Hercule Poirot?
«Sarò sincero. La Christie non mi piace per un’infinità di ragioni, a incominciare dall’ambientazione dei suoi romanzi: una nave, la carrozza di un treno di lusso, un antico castello inglese... Sono sempre luoghi chiusi, prigioni dorate, che mi danno una sensazione di soffoco. Se dovessi proprio scegliere, ma preferirei non doverlo fare, direi che miss Marple è un personaggio più riuscito dell’improbabile Poirot. Miss Marple si adatta meglio alla scrittura da collegio per signorine, a volte un po' leziosa della Christie. Badi, però, la mia non vuol essere una stupida polemica antifemminista. Le basti che considero P.D. James una giallista di forza straordinaria, i suoi thriller sono fra i migliori di questi anni. Di Agatha Christie, lo ripeto, mi infastidiscono certi vezzi. I suoi finiscono con l’essere dei romanzi rosa truccati da gialli».
E di Edgar Wallace, per decenni seguitissimo dal grande pubblico, quale giudizio dà?
«E’ un autore meccanico, ripetitivo, in molti casi insopportabile. Scrive talmente male che non si riesce a leggerlo!».
Anche la letteratura poliziesca ha i suoi testi-culto. Fra gli intellettuali italiani, all’inizio degli anni quaranta, andava molto di moda un thriller intitolato La canarina assassinata, autore l’inglese S.S. Van Dine (pseudonimo di W.H. Wright). A questo giallista, che era anche un editore e un critico d’arte, si deve la creazione di Philo Vance, un detective dilettante dall’eterno sorriso ironico e sprezzante. C’è nella sua biblioteca La canarina assassinata?
«Certo che c’è, se vuole le mostro la prima edizione italiana di questo bellissimo romanzo. Leggendo Van Dine torno continuamente a ammirare l’eleganza del ragionamento con cui perviene alla soluzione dei suoi casi. Le dirò di più. In un libro su di me, che uscirà presto da Rizzoli, l’autrice Simona Demontis dimostra che i titoli dei miei romanzi hanno delle affinità con quelli di Van Dine. I veri amori, in letteratura, non sono mai del tutto innocenti».
Lei ha appena parlato del rigore logico di Van Dine. La domanda perciò si impone. Il campione della logica deduttiva deve essere considerato Sherlock Holmes, il fin troppo noto investigatore creato da Conan Doyle?
«Sir Arthur Conan Doyle, in tutto e per tutto figlio del suo tempo, è un campione dello scientismo positivista, si appoggia a una concezione del mondo oggi indigeribile. I ragionamenti del suo Holmes sono cosi strettamente logici, implacabilmente e paradossalmente logici da risultare spesso campati in aria. Se ci riflette, finiscono col presupporre una razionalità nel mondo che non c’è, che non può esserci. E tanto meno può esserci nell’universo del crimine, nelle oscure passioni che lo dominano».
Vedo che lei possiede, e in più edizioni, le opere di Edgar Allan Poe, l’autore che con I delitti della via Morgue ha gettato le basi del romanzo poliziesco moderno.
«Poe è la dimostrazione che non esistono barriere fra giallo, grande narrativa e poesia. E pensare che molti anni fa quando Mondadori pubblicò, inaugurando la collana dei "gialli", I delitti della via Morgue insieme con altri tre romanzi polizieschi, fra i quali un mediocrissimo Edgar Wallace, il libro di Poe fu quello che ebbe il minor successo di vendite. Così va il mondo, purtroppo!».
Non allontaniamoci però dalla sua biblioteca, Camilleri. Vedo che non mancano le opere di Dashiell Hammett e di Raymond Chandler.
«Hammett, fra i creatori del cosiddetto stile "hard-boiled", è uno dei miei numi tutelari. E’ capace come nessuno di chiudere la trama d’un giallo ricchissimo, formidabile nello spazio d’un racconto lungo o d’un romanzo breve. Eppoi, cosa che non guasta, Hammett era un uomo coraggioso. Quando è stata indagato e processato, insieme con molti intellettuali e uomini di spettacolo, per attività antiamericane, ha mostrato di avere un grande carattere. Stanco, bruciato dall’alcol, ha subito la galera con esemplare dignità e senza spifferare nulla o pentirsi o altre cose del genere. Preferisco decisamente Hammett a Chandler, più letterario e raffinato. Con questo non voglio togliere nulla all’autore di un capolavoro come Il grande sonno».
Quasi due scaffali della sua libreria sono occupati dai romanzi di Simenon.
«Lo amo moltissimo. Eppoi, lo ammetto senza difficoltà, Montalbano è debitore di Maigret. Molti anni fa producevo per la televisione italiana una serie di gialli ispirati alle inchieste del commissario Maigret. Li sceneggiava il grande commediografo Diego Fabbri. Seguendo da vicino il suo lavoro, ho capito quale era il meccanismo delle indagini raccontate da Simenon e me ne sono in parte avvalso nello scrivere i miei romanzi».
In Italia il giallo, almeno fino all’arrivo di Montalbano, non ha avuto il meritato successo. Penso anche a autori validissimi, sebbene oggi invecchiati, come De Angelis...
«Il giallo italiano ha superato i cancelli del ghetto, nel quale era stato rinchiuso, grazie a due grandi autori: Carlo Emilio Gadda e Leonardo Sciascia. Gadda era talmente bravo, talmente straordinario da potersi concedere il lusso di scrivere un thriller e di interromperlo prima di arrivare alla soluzione del mistero. Dal canto suo, Sciascia riesce a legare i propri gialli al mondo siciliano, un mondo che lui conosceva e capiva meglio di chiunque. Non basta. Sciascia inaugura una tendenza oggi vincente nella letteratura poliziesca di casa nostra. Fois, Lucarelli, Carlotto raccontano infatti le loro storie legandole a una precisa realtà socio-ambientale. Penso alla Sardegna di Fois, al nord est di Carlotto, alla Bologna di Lucarelli».
Lucarelli è il vero astro nascente della nostra letteratura poliziesca, ha molti ammiratori...
«Lucarelli è bravissimo, dovrebbe però controllare di più la scrittura. Senza contare che farebbe bene a servirsi, scrivendo, della stessa tecnica di cui fa proficuamente uso in televisione. Riferisce cioè di un delitto, si spinge fin quasi a indicare una possibile soluzione del caso e sul più bello, quando sembra vicino a tirare le somme, rimette tutto in discussione!».

Antonio Debenedetti


L'intervista qui riportata č stata pubblicata sul Corriere della Sera del 24 luglio 2001, col titolo Buoni e cattivi alla corte di Montalbano





Last modified Sunday, January, 29, 2023