Camilleri & Montalbán
Il dolore di Carvalho, detective dei piaceri E’ morto Vázquez Montalbán, scrittore impegnato e padre dell’investigatore gastronomo E’ morto ieri lo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, creatore dell’«investigatore gastronomo» Pepe Carvalho. Questo testo è la prefazione a una raccolta di scritti gastronomici che uscirà da Feltrinelli. Solitamente, i piaceri vengono trasformati in materiale letterario per stigmatizzarli, e questo accade non soltanto alla lussuria, che ha condotto all'inferno delle scritture buona parte dei personaggi migliori, ma anche al cibo, utilizzato dai grandi scrittori solo come paesaggio, al massimo come dato naturalistico. Il rapporto cibo-letteratura nelle opere letterarie senza aggettivi viene portato alle estreme conseguenze nel cosiddetto romanzo poliziesco, in cui spesso i personaggi mangiano poco e male, anche quando si tratta di antieroi straordinari, come Marlowe, vittima degli hamburger. Esiste qualche eccezione, come Maigret che cerca la cucina di stagione nei bistrot di Parigi o si rifugia negli eccellenti manicaretti della Signora Maigret. Anche due americani, Van Dyne e Rex Stout, si vantano di saper mangiare e, nella letteratura europea, l’ultima stella sfolgorante, l’italiano Camilleri, propone eccellenti menu della cucina siciliana per il suo commissario Montalbano. In qualche occasione, Montalbano accenna con disprezzo ai menu di Carvalho, ritenendoli un po’ troppo robusti. Tuttavia, lo stesso cognome del commissario è un omaggio che l’amico Camilleri ha voluto fare al mio romanzo Il pianista che tanto aveva gradito. La sordidezza del romanzo poliziesco più o meno convenzionale non esclude di puntare sui piaceri. Se James Bond dimostrava un’ottima conoscenza dello champagne, non capivo perché mai Carvalho dovesse rinunciare a spiegarsi la vita mediante le sue passioni gastronomiche, come cuoco e come consumatore. E’ stato merito di Carvalho rivendicare obiettivi di giustizia sociale insieme a quelli di giustizia individuale, capitolo di cui fanno parte i piaceri. «Si vive soltanto una volta» dice una delle canzoni preferite di Carvalho, un bolero che prosegue: «Bisogna imparare ad amare e a vivere». I romanzi di Carvalho non sono soltanto proposte di divertimento, ma anche di riflessione critica e di conoscenza. E perché non di conoscenza della gastronomia? In questo Carvalho Gastronomico è raccolto non solo quello che Carvalho dice sulla cucina, ma anche quello che pensa. Questa opera lunga e divertente si basa sulla cucina spagnola; e si passa dalla voce Patata dolce a José Mari Arzak , da Letteratura e cibo fino alla preparazione di centinaia di piatti, tra i più particolari della cucina di Spagna. Pur essendo filtrata dallo sguardo di Carvalho, l’opera è una scommessa sulla felicità e un ampio ricettario di come si possa bere e cucinare. Opera quindi di piacere e apprendistato. Manuel Vázquez Montalbán
Corriere della sera, 19.10.2003
Addio Pepe Carvalho Morto a 64 anni lo scrittore spagnolo che ha inventato Pepe Carvalho Montalban, il signore del giallo Manuel Vàzquez Montalbàn si è sentito male all’aeroporto di Bangkok. Non ce l’ha fatta. Aveva solo sessantaquattro anni, ma soffriva di cuore da tempo. Ho avuto la notizia ieri mattina mentro ero in taxi e come immagino sia successo a tutti i suoi amici, colleghi e lettori ci sono rimasto malissimo. Credo che di testimonianze e di ricordi in questi giorni ce ne saranno tanti, se così non fosse ci sarebbe da preoccuparsi, ma vorrei aggiungere anche i miei. Esiste un termine in uso a Bologna con un significato leggermente diverso da quello che può avere a Napoli, a Roma o nel resto d'Italia, e quel termine è tranquillo. Da noi il termine tranquillo ha un valore innanzitutto umano. Significa una bella persona, uno che non si dà arie, che mantiene una cortese, tranquilla umiltà anche di fronte alla dimostrazione quotidiana del proprio intimo valore. La prima volta che ho visto Manuel Vàzquez Montalbàn è stato alla Semana Negra di Gijon, un festival letterario che si tiene ogni anno nelle Asturie. Poi l'ho rivisto a Mantova, al Festival della Letteratura, in coppia con Andrea Camilleri, in un teatro che strabordava di persone. L'ho sempre trovato così, tranquillo, uno che quando ti parlava non ti faceva percepire nessuna differenza tra scrittore e lettore, come se fossimo lì tutti e comunque per la stessa cosa: l'amore per la scrittura e la lettura. Così era Manuel Vàzquez Montalbàn, uno di quegli scrittori in grado di fare almeno tre di quelle cose che tutti i grandi scrittori dovrebbero saper fare. La prima è creare un universo narrativo nel quale lo scrittore, i suoi personaggi e soprattutto i suoi lettori possano muoversi con rassicurante familiarità, con imprevista sorpresa. Lo aveva fatto in maniera più evidente con la serie dei romanzi gialli di Pepe Carvalho, il suo bellissimo investigatore gastronomo. Chi ha avuto la fortuna di trovarselo tra le mani già nell'82 nella edizione di Un delitto per Pepe Carvalho di Editori Riuniti o più facilmente nell'84 in Assassinio al Comitato Centrale di Sellerio, poteva immaginarlo fin da subito che quello strano tipo tormentato e ironico, cinico ma appassionato, curioso come un vero investigatore da giallo sa esserlo, non lo avrebbe abbandonato più, tornando con gli stessi gesti, ma sempre un po' diversi. Con le pagine dei libri più strani da strappare per accendere il fuoco del camino, i piatti elaboratissimi da preparare anche alle due di notte, i posti più imprevedibili e meno pittoreschi di una Barcellona vivissima che da sfondo diventa immediatamente personaggio. Libri così si leggono perché ti piacciono e vuoi vedere come va a finire, ma anche perché conosci i personaggi che, attraverso quell'universo narrativo, sono diventati degli amici. Manuel Vàzquez Montalbàn faceva questo, ma non solo. Come i grandi scrittori, non suonava sempre la stessa musica. Definirlo un giallista sarebbe riduttivo, perché non scriveva solo romanzi gialli. C'è Galindez, che riscotruisce la complessa e controversa storia di un nazionalista basco scomparso nel '56, c'è Io, Franco, la monumentale biografia del "generalissimo", c'è il piccolissimo Riflessioni di Robinson davanti a centoventi baccalà, ci sono le tantissime poesie e gli articoli sui giornali. Faceva tutto questo e lo faceva, ed ecco la terza qualità di un grande scrittore, riflettendo il suo tempo e cercando di incidere su esso. Faceva letteratura, raccontava storie e proprio per questo faceva "politica". Per esempio, non si possono leggere i "gialli" di Pepe Carvalho senza fermarsi a pensare sui temi che ci si trovano dentro, nascosti tra le righe e serviti all'improvviso come uno dei suoi piatti notturni: la crisi delle ideologie e soprattutto quella del comunismo, le contraddizioni del capitalismo, i servizi segreti, la coscienza sporca del franchismo e del post franchismo, le guerre, l'imperialismo, la globalizzazzione. Temi espressi senza pregiudizi ideologici, con ironia e spirito di contraddizione, da un uomo che la militanza l'aveva vissuta con tre anni di carcere durante il regime franchista. Quando un grande scrittore muore all'improvviso, per i lettori è un lutto insanabile. Gli scrittori restano nei libri, il loro universo non muore con loro. Sembra che fosse già pronto un altro libro di Pepe Carvalho e quindi ancora una volta almeno lo possiamo rivedere. Con la morte di uno scrittore il suo universo narrativo però si ferma. Perciò siamo tristi come suoi lettori. Penso che ogni lettore potrebbe dirgli quello che uno dei suoi personaggi ha detto a Pepe Carvalho, dopo essere stato svegliato alle due di notte per mangiare un grandioso piatto di tagliolini al salmone: «Ti ringrazio, Pepe. Hai regalato una notte alla mia vita. Avrei potuto passarla stupidamente dormendo e inveve ho mangiato un piatto meraviglioso».
Carlo Lucarelli - Il Mattino, 19.10.2003
Il ricordo di Camilleri «Ispirò il mio commissario» «Ho battezzato il commissario Salvo Montalbano in onore di Manuel Vàzquez Montalbàn, il mio caro amico di cui oggi piango la scomparsa». È commosso Andrea Camilleri, nel parlare dello scrittore catalano. «Non ne ammiravo solo il raffinato stile narrativo, l'invenzione del detective-gourmet Pepe Carvalho, ma anche e soprattutto il profilo intellettuale, antifascista e comunista». Tra i due autori era nata da tempo un’amicizia fatta di omaggi reciproci, articoli, prefazioni, conversazioni, E del progetto di un libro a quattro mani, da intitolare, magari, «Montalbano & Montalbàn».
A. Camilleri
Il nome del mio Montalbano? Un omaggio a Manuel Vázquez
Magari c'è stato anche qualcuno che, sprovveduto in materia di "gialli", si è chiesto quale strana parentela esistesse tra Salvo Montalbano, commissario a Vigata, Sicilia sud occidentale, un debole per la cucina mediterranea, e Manuel Vázquez Montalbán, padre di Pepe Carvalho, poliziotto spagnolo alla ricerca dei mari del sud e, già che c'è, dei più seducenti manicaretti sulle ramblas di Barcellona. Visto che ne ebbi l'occasione, lo chiesi anch' io ad Andrea Camilleri, che rispose: «No, Montalbano non ha alcuna parentela con Pepe Carvalho e neanche con Montalbán. Hanno in comune la passione per la cucina, è vero, ma il mio poliziotto è probabilmente più vicino alla solarità di certi personaggi marsigliesi del povero Jean Claude Izzo. Il nome, invece sì, è un omaggio a Montalbán, perché proprio leggendo un suo libro capii come dovevo strutturare un romanzo giallo». Resta il fatto incontestabile che sia Pepe Carvalho, detective stranulato che si infila in storie criminali disegnate con fantasia catalana, sia Salvo Montalbano con la sua "squadra" dissestata, sono uomini del Sud, lontanissimi dai nebbiosi Maigret, tutti Quai des Orfevres, Calvados e mogli fedeli con la minestra calda al ritorno a casa; o dai "neri" Marlowe che trascinano la loro vita agra tra bicchieri di rye su e giù per il Sunset Boulevard; o dai quasi cimiteriali esperti di criminologia e di medicina legale come l'insopportabile Kay Scarpetta di Patricia Cornwell o il tetraplegico mastermind Lincoln Rhyme di Jeffrey Deaver. Carvalho e Montalbano sono detective solari. E tra i loro autori era nata una affiatata amicizia, tanto che era in cantiere il progetto di un libro a quattro mani, magari intitolato «Montalbano a Montalbán».
Mario Spezi - Il Resto del Carlino, 19.10.2003
Hasta luego Manolo! Per un infarto improvviso è morto ieri lo scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montalbán
«Neanche il tempo di scendere dal taxi e perdere l'atmosfera dell'aria condizionata che le nari e i polmoni di Carvalho furono investiti da una zaffata di aria calda e unta, profumata dalle fritture in olio di cocco e dagli aromi del prezzemolo asiatico, del cipollotto e dello zenzero. Carvalho non aveva abbastanza occhi né abbastanza vita per comprendere nella sua totalità tutto quello che gli offriva il Mercato della Domenica». Per una strana corrispondenza tra letteratura e vita, proprio nella Bangkok celebrata in una delle avventure del suo personaggio immaginario Pepe Carvalho - Gli uccelli di Bangkok - è morto lo scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montalbán. A soli 64 anni un infarto lo ha stroncato venerdì pomeriggio all'aeroporto della città thailandese, di provenienza dall'Australia - aveva svolto a Sidney un ciclo di conferenze letterarie. Il malore lo ha colto mentre aspettava il volo che lo avrebbe riportato a Madrid.
Non solo inattesa, la morte dello scrittore è anche l'irruzione di un'inevitabile fatalità in una letteratura centrata invece sulla vita, sui colori dell'esistenza, la sensualità, l'erotismo, la passione politica. In quel genere noir a tinte catalane che Montalbán aveva attraversato in lungo e largo nelle vesti del detective Pepe Carvalho nato dalla sua fantasia, la morte era sì presente ma come pretesto, riassorbita negli intrecci dell'ironia. A dispetto di omicidi e assassini i suoi gialli fanno da cornice a stravaganze gastronomiche, a desideri voluttuari, allo spargimento di profumi cibari, ad afrori di corpi generosi. Da qui un linguaggio aderente al mondo come un dispositivo di propaggini sensoriali, all'opera, per esempio, nel ritratto di una via affollata di Bangkok, «pezzetti di maiale ricoperti di miele scuro, spaghetti di riso sottili come cibo per angeli vergini, orchidee alimentate da cortecce di cocco, giacche sintetiche imbottite per inverni mentali, tenute da campagna per guerriglieri urbani, machete, portachiavi, uova in salamoia simili a coglioni di mulatto, una vasca da bagno di cemento dipinta di verde, agitatori sociali con megafono che incitano le masse mentre la polizia sembra non sentire a una distanza tollerante e prudente».
Per quanto il nome di Manuel Vazquez Montalbán fosse associato a quello di Pepe Carvalho, la sua produzione letteraria e teorica è in realtà molto più ampia. Nato a Barcellona nel luglio del 1939 da una famiglia operaia comunista, in vita ha attraversato i ruoli del romanziere, del poeta, del critico gastronomico, nonché del militante politico nella Spagna franchista. Trascorre l'infanzia in un quartiere popolare della città catalana: il Barrio Chino, il quartiere cinese a ovest delle Ramblas, un coagulo di edifici fatiscenti, abitati da povera gente. Le rovine prodotte dai bombardamenti della guerra civile sono ancora visibili in un ambiente che Montalbán descriverà successivamente ne Il pianista.
Riceve i primi riconoscimenti letterari, proprio a ridosso della condanna a tre anni di carcere per la sua militanza clandestina nel Partito socialista unificato di Catalogna nel 1962, ad opera di un consiglio di guerra. Sempre in quegli anni, lo scrittore collabora con una rivista del dissenso antifranchista, «Triunfo». Al grande pubblico diviene noto con le periodiche apparizioni dei suoi articoli sul quotidiano "El Pais", ma la sua esplosione avverrà dopo la morte di Franco, nel clima di generale esaltazione della vita culturale spagnola. La consacrazione letteraria giunge nel 1979 con la pubblicazione del romanzo I mari del sud, che gli vale il Premio Planeta e il Premio Internazionale di Letteratura Poliziesca in Francia. La lunga serie dei gialli animati dal personaggio di Carvalho sono anche un ritratto della Spagna post-franchista.
Proprio questo nesso tra memoria, letteratura e politica Montalbán rimarcò ancora pochi mesi fa, quando partecipò a Roma a un incontro letterario insieme a Saramago e Camilleri - l'autore italiano che al nome dello scrittore ha dedicato a sua volta il proprio personaggio, il noto commissario Montalbano. In quel convegno si soffermò, appunto, sul potere delle dittature politiche - o del mercato - di appropriarsi della memoria collettiva. L'esempio più lampante era offerto proprio dai dispositivi falsificanti del franchismo che dopo la guerra civile si impadronì della memoria dei vinti. Alla letteratura - meglio ancora nei suoi generi più popolari, a cominciare dal giallo - Montalbán affidò il compito scavare e recuperare il rimosso. Con questa vocazione politica si era accinto al suo ultimo romanzo Millennio - già redatto nella sua versione definitiva: un viaggio intorno al mondo del suo detective alle prese con la guerra in Iraq, la globalizzazione economica e i conflitti del Medio Oriente.
L'ultimo erede della sinistra spagnola
Tonino Bucci - Liberazione, 19.10.2003
Il cuore generoso di Pepe Carvalho
E poi dicono che la vita non s´aggroviglia con la letteratura. Manolo e Pepe sono morti a Bangkok. Avevamo imparato, qui da noi, ad amarli tutti e due, leggendo Gli uccelli di Bangkok, che nel 1990, pubblicato da Feltrinelli, inaugurava la serie di Carvalho, l´investigatore privato. Veramente ce n´erano stati altri due, prima: Un delitto per Pepe Carvalho, Editori Riuniti, nel 1982 e Assassinio al Comitato centrale, Sellerio, 1984. È ingiusto dire che passarono inosservati. José Carvalho Touron, origini galiziane, laureato, comunista, ex agente della Cia, gastronomo, cuoco, filosofo, innamorato di una puttana, bruciatore di libri, era un personaggio troppo diverso per non innamorarsene. E quasi del tutto simile al suo autore, Manuel Vázquez Montalbán. La differenza più vistosa è che Pepe è calcisticamente agnostico, mentre Manolo era gran tifoso blaugrana, i colori del Barcellona (vista non solo come squadra, ma come manifesto dell´antifranchismo, in opposizione al Real). Se è vero che Flaubert disse «Madame Bovary, c´est moi», Vázquez Montalbán non aveva bisogno di dire altrettanto su Pepe Carvalho: era fin troppo chiaro. A volte uno inseguiva l´altro: Carvalho abitava a Vallvidrera ben prima del suo creatore-alter ego. Erano nati l´uno e l´altro (l´uno è l´altro) nel Barrio chino, la zona povera di Barcellona, e malfamata. Piccoli e grandi delinquenti, puttane, spacciatori, ma anche famiglie operaie uscite a pezzi dalla Guerra civile. Bisogna andarci, anche adesso che è meta turistica, ma occhio alle borsette, annusarla, respirarla questa zona. In suo libro VM cita una frase di Marx: «Si conosce un paese solo quando si è mangiato il suo pane e bevuto il suo vino». Frase talmente condivisibile che, innamorato cotto, durante le Olimpiadi del 1992, a Barcellona, mi ero imposto un giro nei ristoranti di Pepe Carvalho. Senza chiedere direttamente a VM: era già tutto scritto nei romanzi. Per lo spuntino di mezzogiorno, naturalmente, mi rifornivo alla Boqueria, il mercato coperto: jamon serrano, quello vero, de bellota, una scodella di trippe, un po´ di tapas, in alternativa formaggi stagionati. E poi c´era un chiosco indimenticabile di frutti di bosco: lamponi, more, mirtilli, ribes, che aiutavano e benedicevano l´ultimo bicchiere di Rioja. Per la sera, che poi significava almeno cominciare a mezzanotte, c´erano i locali, più trattorie che ristoranti, più frequentati da indigeni variegati che da turisti. Pepe era nato all´11 di calle Botella: una predestinazione? VM ha scritto libri di ricette, ma anche di poesie. Biografie (una, famosa, di Franco) e saggi. Ha fatto il giornalista, continuava a farlo. Poteva raccontare dei gol di Kubala o del subcomandante Marcos, dei rossi della Rivera del Duero o di Pasolini. I conti si fanno sempre, regolarmente, quando uno muore, ma non ce n´era tanta in giro, di gente così. Il commissario Montalbano, carattere ribelle ma inserito nella legge, buona forchetta, è nato in omaggio a Pepe, e si chiama così in onore di Manolo. Pepe non è l´unico investigatore goloso. Lo era, a livelli meno consapevoli e sbandierati, Maigret. Lo era Nero Wolfe, ma con tanto di cuoco nella famosa casa di arenaria da cui quasi mai usciva. Il miglior piatto del mondo, per i due morti all´aeroporto di Bangkok tra un atterraggio e un decollo, era il riso con baccalà che cucinava la nonna. Tutti e due erano stati in galera e sapevano che la miglior salsa del mondo è la fame (questo lo scrisse Cervantes). Pepe non è nemmeno l´unico investigatore innamorato di una puttana. Lo era Duca Lamberti, personaggio di Scerbanenco, lo sono stati (è un classico) molti eroi dell´hard boiled school. Si sa che Pepe ha avuto una moglie, Muriel, militante comunista che parlava di politica anche a letto, e una figlia, di cui VM non fornisce il nome. Si sa che a un certo punto lui propone a Charo (Rosario García Lopez all´anagrafe, nella trasposizione filmica purtroppo interpretata da Valeria Marini, ma non si può avere tutto dalla vita) di vivere insieme, ma lei rifiuta e va a fare la centralinista in un albergo di Andorra (geniale). Non c´è quasi mai lieto fine, nelle storie di VM. Anzi spesso il finale lascia l´amaro in bocca. Nemmeno, come si usa dire, il colpevole viene sempre assicurato alla giustizia. A VM importava più raccontare storie abitate da persone vere che infiocchettarle col lieto fine. Il Barrio chino, a Barcellona, vale i carrugi di Genova o i vicoli di Napoli. Chi ci arriva con una macchina fotografica vede il colore locale, chi ci è nato vede la vita e le sue sfumature, le sue mille storie. VM e PC leggono molto, ma non è sui libri che trovano la dignità, la miseria, la disperazione, il cinismo, l´arte di arrangiarsi. Pepe è un investigatore di strada, cammina volentieri (come Maigret), delega pochissimo, giusto la lista della spesa a Biscuter, conosciuto in galera, il suo Sancho Panza, quello che non ama i discorsi complicati. Pepe ha una sua morale e non la piega, non la affitta, non si fa comprare. È ostinatamente di sinistra non tanto per quello che fa ma per quello che non fa. Non ha simpatia per i potenti, gli arricchiti, la crème. Non è né si sente la crocerossina dei derelitti, degli ultimi, ma sa da che parte stare. Non dà importanza ai soldi, né alle cose. Si ripromette di bruciare un libro al giorno (fa un´eccezione per quelli di Conrad) perché ne ha letti tanti ma non gli hanno insegnato a vivere. A chi gli chiede se è marxista, risponde di sì, «sezione gastronomica». È romantico quasi controvoglia. Scrive più di mille lettere a Charo ma non ne imbuca una. Ha più ex amici che amici, più ex compagni che compagni, più lampi erotici che amori. Il figlio di Evaristo Vázquez (operaio, anche lui detenuto per sovversione) e Rosa Montalbán ha fatto invecchiare Pepe, forse aveva il problema di come e quando farlo morire. La vita ha deciso per tutti. «Mi piace salutarti negli aeroporti», avevano detto a Pepe. Enric Fuster, suo vicino di casa, appassionato di piatti complicati a base di anatre e foie gras, era preoccupato per i tanti infarti che avevano falciato i suoi amici. Sono fiammiferi che s´accendono, come la coincidenza del morire a Bangkok. Nel nostro egoismo di lettori ben nutriti, ieri è morto Pepe Carvalho per la proprietà transitiva. Perché è morto VM. Ci mancherà la sua curiosità onnivora, la sua figura discreta (che ricordava vagamente un Poirot meno belga), l´impasto narrativo in cui faceva convivere Ostrovskij e Paul Anka (un retrogusto di Soriano). «Cinema e canzoni si sono alimentati di letteratura. È tempo che la letteratura si alimenti di cinema e canzoni. I programmatori del divorzio tra cultura d´élite e cultura di massa moriranno sotto il peso della massificazione della cultura», aveva scritto VM. È morto ancora giovane, sgambettato da un cuore che ho immaginato grande e generoso. Così è morto Pepe Montalban.
Gianni Mura - La Repubblica, 19.10.2003
La passione sicilina di Montalbán
È morto ieri Manuel Vázquez Montalbán. Lo avevo incontrato a Barcellona nel 1992 per il cinquecentenario della scoperta dell´America. «Niente scoperta», mi disse, «ma conquista coloniale». Era un Montalbán molto arrabbiato, che non condivideva in nulla le dispendiose celebrazioni che il governo di Gonzales aveva inscenato, un Montalbán molto tranchant su certi eventi della storia che includevano la Spagna. Negli ultimi anni, negli ultimi mesi - l´ultima volta che lo incontrai fu a Roma in aprile - si era come ammorbidito. Aveva acquistato una sorta di fatalismo appena sornione e non rassegnato. Sarà interessante per i lettori di questo giornale, un dettaglio, anzi più che un dettaglio, che rifluisce carsicamente da quel primo incontro ad altri successivi nel tempo. Quello del '92 si allungò da casa sua sino al mio albergo, il giorno dopo, perché nella piazza sottostante, in pieno Barrio Gotico, si poteva assistere a un rito. Quel ballare in cerchio tenendosi per mano a gruppi di sette o dieci, tra gente che generalmente non si conosce. Allora, nel 1992, Montalbán era un uomo incline alla pinguedine, aveva poco più di 53 anni ma mi sembrò più vecchio di me. Sciascia era morto da tre anni. Si erano visti quell´unica volta nella sua casa di Palermo, un mese prima che Sciascia morisse. Era così malato che Montalbán, venuto a dimostragli la sua gratitudine (non soltanto per il premio Racalmare che gli aveva fatto assegnare, ma per averlo accreditato autorevolmente presso i lettori italiani) era stato sul punto di rinunciare. Furono la signora Myriam Sumbulovich, più che traduttrice un tramite prezioso con l´Italia, e Ferdinando Scianna che li fotografò, a fargli superare quella preoccupata esitazione. «Era un uomo parco, i suoi ultimi libri straordinari erano piccoli libri di poco più di cento pagine. Ed era parco anche nel cibo, io so. Però lo apprezzava. So anche questo». E aprì un cortese capitolo sulla cucina siciliana, come gli si era manifestata in quella prima visita, una specie di agnizione. Ma in quel frangente risultò più incuriosito che informato; si illuminò quando accennai a una gelatina al mandarino inventata da Giovanna Piccolo, la sorella di Lucio nella villa di Capo d´Orlando dove il poeta e i suoi fratelli passavano la vita intrattenendo scarsi rapporti con il mondo. Ma non seppi esplicarne dosi e cotture. Undici anni addietro Vázquez Montalbán aveva già notoriamente farcito la sua letteratura di quell´idea pressoché erotica del cibo, ma ancora non gli si era spalmata addosso la didascalica etichetta di scrittore-gourmet. In uno degli incontri successivi aveva perso almeno dieci chili, il capo potente e calvo emergeva dalle spalle su un corpo piccolo. E, sconcertante novità nella sua fisionomia, si era anche tagliato i baffi. «Mi sono dovuto mettere a dieta» sembrava si scusasse per una specie di tradimento. E allora fatalmente si sviluppò un altro filo conversativo; passando per Calvino che si definiva un uomo grasso in un corpo magro («Ahimè, a me accade il contrario» mi interruppe malinconicamente) tornò su quel tema eccellente della cucina siciliana. Ma ora con una erudizione che certamente gli si era arricchita dalle frequentazioni con amici siciliani, amicizie come è noto infervorate da motivi diversi; Camilleri, Scianna... In ogni caso credo ne sapesse tanto attraverso un procedimento osmotico-letterario. Il desco gramo dei Malavoglia e l´abbondanza di casa Salina nel Gattopardo, i banchetti dell´aristocrazia e del clero palermitani. «Ho letto il libro dopo aver visto il film». Scherzò, ma non tanto, sull´origine di molte ricette della gastronomia dell´isola elaborate nel chiuso dei conventi. «Mi sono fatto una specie di giudizio socio-alimentare, secondo uno schema di verticalità, ma all´incontrario; nel senso del basso verso l´alto, ascendente. La cucina più succulenta e fantasiosa, più ricca di suggestioni papillari è fondata su questa gradualità che può sorprendere. Non dalle tavole riccamente imbandite degli aristocratici di una volta alle mense dei poveri in impossibili imitazioni e surrogazioni con materie prime scadenti. Ho studiato il fenomeno proprio guardando anche alla storia siciliana non dissimile da quella del mio paese. La Catalogna rispetto alla Spagna ha implicazioni e circonvoluzioni non dissimili dalle vostre. La povertà dei ceti contadini e proletari siciliani ha prodotto anche la vostra eccellente cucina. Nessun cuoco al servizio dei ricchi si sarebbe sognato di cucinare il più infimo tra i pesci, le sardine, (sic) con l´altro semplice ingrediente, il finocchio selvatico dei campi per servire quella squisitezza, quel sogno tutto mediterraneo del pasticcio (sic) della pasta-con-le-sarde palermitana. Devono esservi condizioni di popolare indigenza endemica quali le avete patite voi perché si producano grandi scrittori come ne avete avuti in Sicilia; ma anche una grande civiltà gastronomica come la vostra.» Incontrai ancora Vázquez Montalbán questa primavera a Roma a un convegno, con Camilleri e Saramago. Era di nuovo grasso e si era fatto ricrescere i baffi.
Vanni Ronsisvalle - La Repubblica (ed. di Palermo), 19.10.2003
L'incontro con Camilleri a Mantova
Scrittore, commentatore politico e gastronomo, Montalban è stato tradotto in 26 Paesi e ha spesso ricambiato l'affetto del pubblico italiano. Tra i suoi estimatori, anche Andrea Camilleri che ha battezzato il suo celebre commissario "Montalbano", mutuando alcuni tratti della personalità del detective Pepe Carvalho, antieroe ed alter ego dello scrittore catalano. I due s'incontrarono per la prima volta a Mantova nel 1998, durante la seconda edizione di Festivaletteratura. "Era amabilissimo e generoso - ricorda Luca Nicolini, presidente del comitato organizzatore - proprio come si può immaginare di una persona con la sua passione e che viene dalla Spagna. Il '98 è stato l'anno in cui ha piovuto di più durante i giorni di Festivaletteratura, così abbiamo dovuto spostare molti incontri in luoghi coperti. Ho accompagnato Montalban e durante il tragitto abbiamo parlato di Camilleri, ci cui non aveva mai letto nulla. Tra loro l'affiatamento è stato spontaneo, com'è naturale tra due persone innamorate della propria terra". Commosso anche il ricordo di Gilberto Venturini, governatore di Slow Food, che durante il Festival del '98 ospitò Montalban a cena all'Ochina Bianca, di cui all'eopca era gestore: "Era un personaggio molto dolce, un grande amico della nostra associazione, goloso perché curioso. Nel '98 andai io a prenderlo ad Arezzo. Il programma del festival prevedeva la cena in un altro ristorante, ma avendomi dato la parola che sarebbe venuto da me, quella sera Montalban mangiò due volte. Gli feci assaggiare i bigoli con le sardella e alcune mostarde".
Igor Cipollina - La Gazzetta di Mantova, 19.10.2003
Quell’incontro con Camilleri Due amici-colleghi tra politica e gastronomia Con Manuel Vazquez Montalban avevamo appuntamento al'Hotel Vittoria. Lo avevo invitato, per conto del Comune di Brescia, a inaugurare, insieme a Andrea Camilleri, i «Pomeriggi in San Barnaba» nel giugno del 2000. I due scrittori si erano incontrati alcuni mesi prima a Mantova, complice Massimo D'Alema. In quell'occasione era nata tra di loro l'idea di scrivere un libro a quattro mani. Si erano poi rivisti a Barcellona, in Via Alberes, a casa di Manolo. L'incontro di Brescia sarebbe servito ad aggiungere altre pagine al futuro libro. Vazquez Montalban e Camilleri erano amici già prima di conoscersi. In qualche modo si parlavano attraverso i loro libri. Le affinità tra i due erano note. Camilleri aveva chiamato Montalbano il suo commissario. Vazquez Montalban ama la buona cucina almeno quanto lo scrittore siciliano. Entrambi hanno trasferito questa identica e sospetta passione sui loro eroi, i quali sfogano nel cibo le rispettive nevrosi: Salvo Montalbano divora le triglie fritte della «cammarera» Adelina; Pepe Carvalho crea in solitudine ricette raffinate e impossibili. «Non credo - disse al San Barnaba Camilleri - che i due andrebbero nella stessa trattoria. Se dovessero condurre insieme un'indagine in cucina, finirebbero per litigare». Lungo il percorso dall'Hotel Vittoria all'auditorium San Barnaba, in corso Magenta, formammo un piccolo corteo: il sindaco Paolo Corsini in testa ad illustrare i colori e la vivacità di corso Zanardelli, forse per tacitare in Manolo la nostalgia delle Ramblas; io li seguivo tenendo sottobraccio Camilleri (in Sicilia si usa così); dietro c'erano la traduttrice e il collega Claudio Baroni che avrebbe intervistato, insieme a me, i due scrittori; chiudeva il corteo una troupe di Raitre venuta apposta per seguire l'incontro. Il San Barnaba era pieno come un uovo. Camilleri e Vazquez Montalban si scambiarono opinioni sui loro eroi, sul mestiere di scrivere, sulla politica, sulla sinistra: con Camilleri, più stravagante, che dichiarava di essere ancora marxista («Il fatto di avere seppellito i morti - diceva - non vuol dire che il mondo è morto»); e Vazquez Montalban, più problematico, che si chiedeva che fine avesse fatto la sinistra e chi sarebbe stato il nuovo soggetto storico del cambiamento: «Fino a trent'anni fa - diceva - era il proletariato industriale, ma oggi chi è? Certamente esiste, sono tutti i perdenti in un senso plurale». La sera a cena, Manolo impose a Camilleri il «jamon serrano»; lo scrittore siciliano, non potendo rispondere a colpi di pasta con le sarde, si limitò a decantare la squisitezza dei brescianissimi casoncelli al bagoss. Manuel Vazquez Montalban era un formidabile inventore di storie e di atmosfere, attraversate da una dolorosa vena di indignazione per ogni forma di ingiustizia. Era mite e ironico. A suo modo spiritoso, anche se non esagerava in sorrisi. Scettico e malinconico, come il suo detective Pepe Carvalho, il quale è solito bruciare i libri per accendere il camino. «Lo fa perché, forse, la cultura non lo ha aiutato a vivere» disse Vazquez Montalban quel pomeriggio al San Barnaba. La mattina dopo lo andai a trovare in albergo per salutarlo. Volle essere portato in giro a fare acquisti gastronomici. Lo portai in una famosa salumeria del centro. A Manolo luccicavano gli occhi come un bambino curioso e goloso. Chiedeva tutto e toccava tutto. Comprò formaggi e salumi, infiniti tubetti di crema al tartufo e costosissime bottigliette di aceto balsamico. Il conto si aggirò intorno al milione e mezzo di vecchie lire. Anche così Manolo dimenticava l'antica povertà.
Antonio Sabatucci - Bresciaoggi, 19.10.2003
Pepe e Salvo, insieme, ma soltanto per una cena bresciana
Manuel Montalbàn s’incanta davanti al portone dell’Osteria Porteri: sente profumo di prosciutto. Andrea Camilleri è sornione più del solito. Siamo nel bel mezzo di Borgo Trento, si va a cena con due miti, dopo l’incontro in San Barnaba. Quella sera del 20 giugno 2000 resta incorniciata nella memoria. L’impresa di mettere allo stesso tavolo il padre di Pepe Carvalho e l’inventore di Salvo Montalbano non è stata facile: Ninni Sabatucci li ha corteggiati per un anno intero. Alla fine tutto va liscio: affollata la sala, nonostante il caldo infernale, distesa la conversazione. Il detective privato delle Ramblas e il commissario di Vigàta si concedono reciproci attestati di stima. Grandi affabulatori. Camilleri con la voce roca dalle mille sigarette, Montalbàn con il suo italiano impastato di catalano. Diversi e uguali: il disincanto di ideali giovanili consumati, il distacco di fronte ad un successo di portata mondiale. Mascherano con scetticismi radicati una passione per la vita che si incarna nelle loro creature letterarie. Pepe e Salvo sono il loro specchio. Prima dell’incontro bresciano, si erano misurati a distanza. C’era stato un weekend di Camilleri a Barcellona, si programma un viaggio di Montalbàn dalle parti di Porto Empedocle. Si vedrà... E ci sono gli editori che sognano un libro scritto a quattro mani. Di questo si parla a cena, a Borgo Trento. Hado Lyria, la traduttrice italiana di Montalbàn cerca di stringere i tempi. Ma i due autori sono distratti: Camilleri tace e accende l’ennesima sigaretta, «Manolo» insegue discorsi gastronomici, incantato dalla «cave» bresciana. Intesse paragoni, allunga citazioni. L’Italia per lui è una Terra promessa. La sta navigando sulla sua vecchia Jagaur verde-bottiglia. Viene da un tour in Toscana. Ha fatto rifornimento di lardo di Colonnata. Non è la letteratura l’argomento che lo stuzzica, quella sera. Lascia persino cadere qualche battuta sul «Barça». A tavola non c’è spazio neppure per la passionaccia calcistica. La moglie (ha dedicato il pomeriggio a Santa Giulia) lo guarda rassegnata: solo una volta gli ricorda che il cuore non sopporterà a lungo questo ritmo... Il libro a quattro mani? Si scambiano una mezza promessa: si manderanno lettere via fax, Hado penserà a ricucirle. Poi si vedrà... Ma già si capiva che quel libro sarebbe rimasto un sogno per gli appassionati di Pepe e Salvo.
Claudio Baroni - Giornale di Brescia, 19.10.2003
La morte improvvisa dello scrittore catalano Manuel Vazquez Montalban ha destato profonda commozione naturalmente nello scrittore empedoclina Andrea Camilleri. Il padre del famoso personaggio del detective Pepe Carvalho era appena arrivato all'aeroporto di Bangkok quando è stato colto da malore. «Con Montalban - disse Camilleri qualche tempo fa - è avvenuto un fatto che è stato abbastanza straordinario per me. Stavo scrivendo il "Birraio di Preston", e non riuscivo a trovare una struttura al romanzo. Questo libro, scritto in un ordine cronologico, risultava di una noia mortale. Leggendo "Il pianista" di Montalban, dove si fa un certo uso del tempo narrativo, mi si è aperto nella mente come avrei potuto strutturare il "Birraio di Preston": questo è il primo grosso debito che ho sempre avuto nei suoi riguardi. Giuro che non ci sarei riuscito da solo senza quell'"aiutino", sapete come quelli che si danno durante quei detestabili quiz delle interrogazioni a scuola. Perché, mi sono chiesto, devo scrivere un romanzo dalla a alla z? Io inizio da un episodio, e poi attorno ci costruisco il romanzo. E l'unico genere possibile in questo senso è il romanzo giallo. E così ho scritto il primo giallo dando al commissario, per un debito di riconoscenza, il nome di Montalbano, che, tra l'altro, è uno dei cognomi più diffusi in Sicilia». In Beppe Carvalho e Montalbano c'è un gusto comune per la cucina, anche se difficilmente andrebbero nella stessa trattoria. «Una volta dissi - ha proseguito - che Montalban doveva essere trascinato davanti al tribunale dell'Aia accusato di genocidio perché, se voi provate a mangiare quello che mangia Beppe Carvalho, è una cosa terribile. E allora che cosa c'è nei due personaggi di affinità? C'è una disincantata ricerca della verità». Vázquez Montalbán e Andrea Camilleri hanno fatto un libro insieme. Una lunga conversazione sul modello del dialogo Porzio-Sciascia. «Il mondo di Camilleri - aveva detto nelle settimane scorso Montalbán - è diverso dal mio. Con lui condivido l'ironia e una certa cultura gastronomica. Quella del mio Pepe Carvalho è più primitiva rispetto a quella di Montalbano».
Gaetano Ravanà - La Sicilia, 19.10.2003
Ora Pepe Carvalho è solo L’improvvisa scomparsa a Bangkok di Manuel Vàzquez Montalbàn Ma il detective non è l’unico vanto dello scrittore [...] Una produzione assai prolifica, fatta di poesie, saggi di sociologia, politica, attualità e letteratura che gli ha fatto meritare numerosi riconoscimenti, tra i quali c’è anche quel premio «Racalmare» assegnatogli nel 1989 da una giuria presieduta da Leonardo Sciascia. Un gemellaggio, quello tra Vàzquez Montalbàn e la Sicilia, che ha partorito figli importanti. Non è un mistero, infatti, che quando Andrea Camilleri dovette battezzare il commissario che sarebbe presto diventato un caso editoriale, scelse di chiamarlo Montalbano proprio in onore dello scrittore spagnolo. «Stavo scrivendo Il birraio di Preston - racconta l’autore siciliano - e non riuscivo a trovare una struttura al romanzo. Questo libro, scritto in un ordine cronologico, risultava di una noia mortale. Leggendo Il pianista di Montalbàn, dove si fa un certo uso del tempo narrativo, ho avuto un’illuminazione. Perché, mi sono chiesto, devo scrivere un romanzo dalla A alla Z? Io inizio da un episodio, e poi attorno ci costruisco il romanzo. E l'unico genere possibile in questo senso è il romanzo giallo. E così ho scritto il primo giallo dando al commissario, per un debito di riconoscenza, il nome di Montalbano. Che, tra l'altro, è uno dei cognomi più diffusi in Sicilia, ed ho preso due piccioni con una fava. In Beppe (lo chiama proprio così, ndr ) Carvalho e Montalbano c'è un gusto comune per la cucina, però non credo che andrebbero nella stessa trattoria. Credo che, se dovessero fare assieme un'inchiesta, in cucina il loro rapporto finirebbe per rompersi. Una volta dissi che Montalbàn doveva essere trascinato davanti al tribunale dell'Aia accusato di genocidio perché, se voi provate a mangiare quello che mangia Beppe Carvalho, è una cosa terribile». [...] Bruno Fabris
Bruno Fabris - L'Arena, 19.10.2003
L'INCONTRO, LE AFFINITA'
CAMILLERI. Io non avevo alcuna esigenza di conoscere Montalban. So benissimo che nel 99 per cento dei casi, quando si conosce uno scrittore amato, si hanno delle delusioni terribili. Quindi, non dovendolo sposare, ed essendo già sposato, perchè dovevo conoscere personalmente Vasquez Montalban? Bastavano i suoi libri che aspettavo con ansia. Senonchè mi è capitato che dovevamo incontrarci a Mantova al festival della letteratura, dove io lo avrei intervistato: tutti e due avevamo detto di sì, all'insaputa l'uno dell'altro. Senonchè c'è stato un invito gentilissimo di D'Alema, che avrebbe fatto da moderatore. Credo che sia stata da parte mia la curiosità di vederlo in quelle vesti a spingermi ad accettare l'invito. Ecco, quella è stata la prima conoscenza.
LA POLITICA
CAMILLERI. Il futuro della sinistra? Domanda da un milione di dollari. Sciascia termina un suo splendido libro con un personaggio che esce dalla sede del partito comunista per andare nella parrocchia di fronte. In questi casi credo che l'esperienza personale da raccontare sia l'unica possibile. Di me posso dire le cose nelle quali ho creduto e continuo a credere. Fare il processo al comunismo solo ed esclusivamte attraverso quanto di negativo in esso ci fosse è, a mio avviso, un punto di vista non storico e non oggettivo, che ci porta a commettere degli errori di giudizio. Ecco, io continuo ad essere tuttora un marxista. Questo non significa avere dei rimpianti, nessun rimpianto, ma questo significa avere una certa visione e valutazione della società e dell'uomo, che non è semplicemente una visione marxista. E' una visione comune alla sinistra. Direi che la fine del comunismo organizzato era una splendida occasione per la sinistra, ma anche questa occasione è andata persa. Per avere seppellito i propri morti, non si deve pensare che tutto il mondo è morto. No, si continuano ad amare le persone vive, e, per quanto riguarda il compito dello scrittore, non credo che sia quello di cambiare l'uomo, ma quello di aiutare l'uomo a capirsi, a cominciare dallo scrittore stesso in quanto uomo. Credo che lo scrittore abbia dei compiti molto precisi e, nello stesso tempo, limitati. C'è stato un bellissimo incipit di un articolo di Giovanni Tinebra, procuratore capo a Caltanisetta, che dice: i romanzi di Camilleri bisognerebbe leggerli tre volte, la prima per ridere, la seconda per esaminarli e mettere a fuoco i dettagli e la terza per cominciare a ragionarci sopra. Ecco, io aggiungerei anche, anche se so che è un compito arduo, leggiamoli una sola volta tenendo però presenti tutti e tre i piani.
GLI INCROCI CULTURALI
CAMILLERI. Il mio lavoro precedente, cioè il regista di teatri e di televisione e sceneggiatore, è solo una parentesi. Perchè io ho cominciato giovanissimo a scrivere, neanche a diciott'anni, poesie e racconti sulle terze pagine dei giornali. Poi ho comnciato a tentare di scappare dalla Sicilia, di fare il concorso all'accademia nazionale dell'arte drammatica, di essere ammesso e di trovarmi di fronte a questo "dirottatore" nato, che è stato il mio maestro Orazio Costa, che mi ha fatto veramente capire cosa fosse il teatro (Pirandello diceva "la vita la si scrive o la si vive"), e il teatro o lo si fa sul serio o non lo si fa.Ora io non so se questo fare teatro sia stato perchè sono stato "travolto" dal teatro oppure perchè già in me era nata una certa crisi, che era il non sapere più scrivere. Quando ho poi chiuso la parentesi teatrale, che cosa mi ero portato appresso? Anzitutto il senso del dialogo perchè tu sai che non puoi lasciare un attimo di incertezza nell'ascoltatore. Dalla televisione ho imparato a scrivere per certe sequenze e soprattutto, producendo la serie del commissario Maigret, che è stata tutta prodotta da me, durante l'operazione di sceneggiatura, smonta e rimonta il meccanismo poliziesco di Simenon, ho imparato parecchie cose su quella che è la struttura e il montaggio del romanzo giallo.
L'IDENTITA' LOCALE
MONTALBAN. L'identità , l'unità spagnola? Quasi sempre è stato il risultato di un conflitto. E l'ultimo conflitto è stata la stessa guerra civile, che non soltanto ha significato una guerra di classe, ma anche la guerra di un centralismo per reprimere la formazione di movimenti nazionalisti alla periferia. E questo è stato un fattore molto negativo per un nuovo stato democratico e vale come memoria storica di quanto ha significato il franchismo come strumento di repressione della periferia, che ancora dura in un certo senso politicamente. La situazione è ancora più complicata per la globalizzazione, questo magma indeterminato, astratto, che implica una tendenza a rifugiarsi in una soluzione nazionalista, in una fede per questa paura di fronte al vuoto. In questo momento in Spagna il discorso nazionalista è in fase di cambiamento perchè bisogna trovare un rapporto con ciò che significa e comporta la globalizzazione. Che senso positivo può avere ancora la difesa della differenza? Questo è un discorso che almeno in Spagna non è ancora aperto. Nell'ultimo mio romanzo, che sarà pubblicato in Italia, "L'uomo della mia vita", c'è una certa riflessione sulla questiona nazionale spagnola e questo per me curioso nazionalismo nuovo formato, che significa Bossi con il suo immaginario della Padania: un importante fatto di riflessione su come il nazionalismo può provenire non solo dalla memoria storica del passato, ma anche dalla volontà di creare qualche cosa nuova, qualche proposta alternativa.
CAMILLERI. Non credo che Montalbano troverà mai l'ardire di bruciare un libro. Caso mai lo seppellisce, lo fa sparire. E poi il rogo si paga duramente. Posso chiedere una cosa a Montalban, che non gliel'ho mai chiesta e gliela chiedo qui in pubblico? Gli autori che il suo Beppe Carvalho brucia, esistono, sono viventi? E tu, come sei sopravvissuto?
CAMILLERI. Io sono sposato da 43 anni sempre con la stessa moglie. Una volta mi sono vergognato. Stavo con registi ed attori, che ne avevano quattro o cinque, e io una sola.Ma non è che io possa dire Montalbano c'est moi. E' una caratteristica sua di essere praticamente un single nato. Lui adopera cinicamente Livia come vuole, però è anche vero che Livia si lascia adoperare. Ricevo centinaia di lettere. Un giorno mi arrivò una busta, la aprii, dentro c'era una splendida cartolina postale che rappresentava Boccadasse vista dal mare: l'indirizzo era "Al commissario Salvo Montalbano. Vigata. Mi sto cominciando a stufare delle tue bugie, delle tue tergiversazioni, dei tuoi rimandi. Certe volte non ne posso più. Ti amo ancora, ma fino a quando? Livia". Era una grafia femminile.
MONTALBAN. Il reportage fatto a Cuba sul Papa, diventato un libro, è un reportage molto speciale perchè significa un bilancio molto lungo, e abbastanza profondo, del mio rapporto con la rivoluzione cubana. La mia rivoluzione è stata la rivoluzione cubana, la mia guerra è stata la guerra del Vietnam. Ma c'è stata una perplessità per questa visita del Papa: come è possibile che l'ultima rivoluzione di questo secolo con il suo ateismo scientifico finisca in questo surrealismo puro? Allora ho cominciato una riflessione insieme al mio bilancio, alla mia memoria del mio rapporto con la rivoluzione, l'inventario delle diverse rivoluzioni che si sono succedute in Cuba, dalla prima rivoluzione nazional-popolare fino alla inevitabile influenza sovietica. Un inventario non solo dal punto di vista politico, ma anche culturale. E infine il giudizio finale che il modello della rivoluzione cubana è esaurito. Ma ancora, anche se in forma culturale, cominciamo a vedere una nuova tensione dialettica tra i "globalizzatori" e i globalizzati. Ed è per questo che il libro finisce con la nuova proposta della rivoluzione futura.
CAMILLERI. A Barcellona siamo andati a cena insieme, e con squisita gentilezza e generosità Vasquez Montalban mi ha consigliato dei piatti perchè aveva capito che cosa mi piace mangiare. Vorrei precisare che al commissario Montalbano mangiare è una cosa che dà piacere. Non riesce a cavarne la filosofia esistenziale del mangiare come avviene per esempio in "Robinson", l'ultimo libro tradotto in Italia di Montalban, che è uno splendido saggio su cos'è la cucina, il mangiare. E' una cosa più ridotta, una sorta di risarcimento quello che si prende Montalbano su ciò che lo intristisce nella vita. Tanto è vero che mangia da solo e in silenzio: cosa che io non riuscirei mai a fare, questo vizio solitario orrendo. Con l'età io divento sempre più patriarca: con la moglie, la zia, i nipoti, questo mi diverte, questo mi piace, questo è mangiare, commentare. E ricordatevi di non fare mai l'elogio di colui che cucina, un errore che sconterete. Mia nonna faceva degli arancini, la cui memoria ho cercato di tramandare un poco negli arancini di Montalbano, che cadevano dentro appieno al sublime. Una volta superò se stessa. Eravamo una quarantina. Io stavo per dirglielo "Nonna...", ma suo figlio mi diede un calcio sotto il tavolo e disse "Zitto, perchè non bisogna mai dare soddisfazione. Così migliorano sempre". La verità è che Montalbano lavora di memoria, su quelli che erano i cibi genuini di una volta. Beppe Carvalho lavora benissimo sul presente.
Adattamento di R.R. con la collaborazione di Anna Zanini - www.bresciablob.com
Montalbano contra Montalbán Andrea Camilleri, de 73 años, y el creador de Carvalho copan las listas de ventas en Italia. A Pepe Carvalho le ha salido un duro competidor en Italia: el comisario Salvo Montalbano, cuyas aventuras en la isla de Sicilia son el gran éxito literario de la temporada. Triunfa Montalbano, criatura de un sorprendente escritor septuagenario, Andrea Camilleri, hasta hace poco prácticamente desconocido por el gran público, pero el éxito también vuelve a sonreír a Manuel Vázquez Montalbán, autor de culto en Italia, recién aterrizado en la oferta de verano con la traducción de "El premio", la historia en la que el detective Pepe Carvalho debe descubrir quién asesinó al mecenas de un gran premio literario. Montalbano contra Montalbán, por tanto. La última clasificación de libros más vendidos del diario "La Repubblica" no admite dudas: "El premio" ya está en cabeza del pelotón de la narrativa extranjera, mientras que Andrea Camilleri ocupa los cinco primeros puestos, --han leído bien, los cinco primeros puestos-- de la narrativa italiana, con "Un mes con Montalbano", "La concesión del teléfono" (novela histórica), "La voz del violín", "El cervecero de Preston" y "El perro de terracota". La clasificación del "Corriere della Sera" presenta algunas matizaciones, pero confirma que el gran duelo del verano en las playas italianas será entre el comisario siciliano y el gallego que fue agente secreto. ¿Pero quién es Andrea Camilleri? El escritor que todos los editores italianos quisieran tener en nómina es un pacífico abuelo de 73 años, hijo de la Sicilia profunda (Porto Empedocle, 1925), pero romano de adopción. Maestro de arte dramático, escenógrafo y director teatral, alcanzó cierto relieve por su labor como realizador de dramáticos en la RAI. Aún se da con un canto en los dientes cuando recuerda que su adaptación de la obra "Final de partida", de Samuel Beckett, fue seguida por 400.000 telespectadores. Camilleri, cuya gran pasión es la novela histórica, escribe desde hace años para una modesta editorial (Sellerio) poco dada a las grandes promociones comerciales. Hace poco más de un año, sus novelas no pasaban de los cinco mil ejemplares. Hasta que empezó a sonar el tam-tam. Fue un movimiento sordo, de esos éxitos que se van fraguando en silencio, gracias al breve comentario entre amigos y conocidos. Como un reloj de arena. Cien, doscientos lectores más cada semana, hasta que el "te recomiendo a Camilleri" hizo temblar las listas de ventas, desafiando abiertamente el gran éxito que el año pasado obtuvo Susana Tamaro con "Ve donde el corazón te lleve". Si la introspectiva Tamaro es la reivindicación de la espiritualidad en tiempos de turbación, Camilleri aporta el entretenimiento de calidad. "Es un buen artesano de la escritura", dicen loscríticos. La serie del comisario Montalbano la comenzó hace apenas tres años, sin abandonar Vigata, un pueblo inventado, un lugar ficticio de la Sicilia profunda, donde transcurren la mayoría de sus novelas. En una reciente entrevista daba una clave interesante sobre su personaje: "He escogido el nombre de Montalbano porque es un apellido muy común en Sicilia y también como homenaje a Manuel Vázquez Montalbán, escritor que me gusta muchísimo"... Y es que Salvo Montalbano y Pepe Carvalho guardan cierto parecido. Ambos aman la buena mesa y la literatura, aunque el comisario siciliano no quema los libros, sino que los lee con devoción. Y su éxito con las mujeres es muy, muy escaso. También Camilleri y Vázquez Montalbán tienen algo en común: una vieja afiliación comunista y una indisimulada perplejidad ante los tiempos presentes. La última travesura de Camilleri ha sido recordar los inicios de Silvio Berlusconi como cantante y amenizador de cruceros en un relato de verano para la prensa. Los publicistas de la derecha no se lo perdonan, pero la editorial Mondadori, propiedad de Berlusconi, tiene bien amarrados los derechos de su último libro, el más vendido. Militante del PCI desde 1944, el novelista considera flojos a sus actuales dirigentes y no ha tomado el carnet de los Demócratas de Izquierda, la moderna versión del viejo partido. El éxito ha sido tan fulgurante que sus libros apenas comienzan a traducirse. La lectura en italiano requiere un previo forcejeo con el dialecto siciliano, que el comisario Montalbano administra a su manera. ENRIC JULIANA - LA VANGUARDIA, 31.07.1998
D'Alema tra Vázquez Montalbán e Camilleri Era un pomeriggio un "tanticchia strèuso", direbbe il commissario Montalbano, un pomeriggio piuttosto strambo per quella liturgia estiva che è la festa dell'Unità. Sul palco non si teneva né un dibattito né un'intervista, ma un "dialogo". Un dialogo tra due scrittori e un loro "appassionato lettore", forse il più celebre dei loro lettori: il segretario dei democratici di sinistra, Massimo D'Alema. Così, per la prima volta, i compagni bolognesi hanno visto il loro leader, il grande capo delle Botteghe Oscure, vestire umilmente i panni del moderatore, dell'animatore culturale, che dice "buonasera e grazie" per rompere il ghiaccio, e li sgrida con bonaria burbanza ("Buoni!") quando rumoreggiano in sala come scolaretti discoli. Per la prima volta hanno visto il tagliente e orgoglioso lìder Massimo che si siede un gradino più in basso dei suoi interlocutori, Manuel Vàzquez Montalbàn e Andrea Camilleri. Per la prima volta hanno sentito il segretario spiegare a due scrittori la letteratura vista da un politico e due scrittori spiegargli la politica vista da un commissario siciliano e da un investigatore privato catalano, attraverso un intrigo mediterraneo di delitti e di proverbi, di misteri e di illusioni. D'Alema li ascoltava con la sincera deferenza del lettore verso lo scrittore, come mai farebbe di fronte a nessun politico, a nessun ministro, a nessun capo di governo, dimenticando per due ore di essere il signor segretario, e come ha scritto Vàzquez Montalbàn "il signor segretario persino quando mangia fette di finocchiona lo fa come se stesse pensando all'origine e alla finalità della finocchiona nel mondo". "Sono emozionato" ha confessato subito lui stesso, spiegando che quello non sarebbe stato "un insolito mercoledì letterario a una festa politica", ma il tentativo della politica di riappropriarsi delle sue "radici nella cultura umanistica", perchè, compagni, "bisogna evitare che la politica diventi pura tecnica di gestione del potere". Ai vecchi e solidi compagni emiliani, quelli che spendono le loro ferie per andare a cuocere tremila piadine e mille salsicce a beneficio delle casse del partito, forse è sembrato un po' strano, un tanticchia strèuso, che il custode della linea chiedesse lumi e speranze a due scrittori di gialli, ma se l'hanno pensato non l'hanno lasciato capire. La sala era strapiena, attenta e rispettosa. Ha applaudito con divertimento ("Mo vedi, capisce pure di letteratura!") il segretario che si trasformava rapidamente prima in moderatore e poi in critico letterario, ricamando con sapiente abilità sulle molte affinità nascoste tra il commissario di Camilleri e il detective di Vàzquez Montalbàn, "entrambi misogini ma amanti delle donne, entrambi presi dallo stesso amore trasgressivo per il cibo, entrambi disincantati eppure entrambi animati da una passione civile". Poi, però, il "dialogo" è arrivato al dunque: cosa possono fare gli scrittori per la politica? Vedete, ha spiegato, "il distacco dei cittadini dalla politica ci preoccupa, non solo per ragioni ideali ma anche per ragioni professionali, diciamo". Può la letteratura aiutarci "a formare una coscienza civile"? Sì e no, gli hanno risposto i due scrittori. "Noi due - gli ha spiegato Vàzquez Montalbàn - siamo figli di un certo scetticismo sulla possibilità di usare la letteratura come strumento di conoscenza della realtà. L'incontro tra l'ideologia e il linguaggio letterario è come quello tra l'olio e l'acqua. Eppure ciascuno di noi trasmette un'ideologia, mentre scrive, una visione del mondo: diciamo che la nostra è una letteratura d'opinione, di diagnosi sociale". Camilleri è stato più diretto: "Io credo che il compito della letteratura sia quello della conoscenza, ma senza darlo a vedere, altrimenti diventiamo dei maestri di scuola o dei propagandisti". Poi il dialogo s'è spostato sul libro dello scrittore spagnolo sui Borgia, "O Cesare o nulla", storia romanzata della famiglia che arrivò fino al papato ma fallì nel suo progetto di conquista dell'Italia. "Una metafora del comunismo?" s'è informato D'Alema. "No, solo il racconto di una turbinosa transizione" lo ha rassicurato Vàzquez Montalbàn. Quindi è venuto il turno del commissario Montalbano, brillante investigatore di Vigata ma colpevole, agli occhi di D'Alema, di coltivare "il pessimismo dell'intelligenza", di guardare al cambiamento in Italia "come un cambio che non cambia". Non sarà troppo pessimista, caro Camilleri? Ma no, lo ha rassicurato lo scrittore siciliano: "I miei 73 anni mi danno quello che Alfieri chiamava l'umor nero del tramonto. La verità è che i nostri protagonisti non sono degli eroi il cui destino è segnato nel cielo, ma persone consapevoli della possibilità di una sconfitta...". A questo punto l'incantesimo è finito. Alla parola "sconfitta" D'Alema è tornato nei panni del segretario e ha ripreso il controllo della situazione: "Oddìo, noi in questi anni abbiamo molto faticato a conquistare la consapevolezza di una possibile vittoria. Mentre la sinistra del passato affrontava il fuoco con la certezza della vittoria, oggi la sinistra moderna ha il senso della possibile sconfitta. Anzi qualcuno è dominato dallo sconfittismo". Così, per l'applauso finale, ognuno era tornato nei suoi panni, il segretario a dare la linea e i due scrittori a firmare libri ai compagni lettori. SEBASTIANO MESSINA - La Repubblica, 10.10.1998
Camilleri y Vázquez Montalbán
El escritor siciliano Andrea Camilleri, protagonista de un verdadero fenómeno editorial en Italia gracias al personaje del comisario de policía Salvo Montalbano (pieza central, hasta la fecha, de cuatro novelas y un libro de relatos), suele enfrentarse a la misma paradoja que su colega y amigo Manuel Vázquez Montalbán: es incapaz de responder correctamente a esos cuestionarios elaborados par fans minuciosos y que le darían derecho a pertenecer a un club "oficial" de amigos de su propio personaje.
Reunidos en Barcelona el pasado febrero con motivo de la presentación en España de los primeros títulos de la saga del comisario Montalbano ("Un mes con Montalbano" y "El perro de terracota"), Andrea Camilleri y Vázquez Montalbán intercambian opiniones, en torno a unos vasos de cerveza y una grabadora, sobre estas contingencias derivadas del éxito popular, sobre gastronomía y política, sobre conocidos comunes camo Pietro D'Alema o sobre las posibilidades que tendrían sus personajes, Salvo Montalbano y Pepe Carvalho, de enfrentarse a un enigma codo con codo.
Andrea Camilleri: Ayer me regalaron una bioqrafía de Pepe Carvalho. La estuve hojeando antes de acostarme... ¿sabes qué me sucedió? Al final hay un cuestionario de unas cien preguntas, para saber si uno es un buen lector de Pepe Carvalho. Acabé bastante enfadado: sólo pude contestar correctamente a una docena de ellas.
EMILIO MANZANO - La Vanguardia Magazine, 18.04.1999
Pepe Carvalho ha trovato un duro concorrente in Italia: il commissario Salvo Montalbano le cui avventure nell'isola siciliana sono diventate il grande fenomeno letterario del momento. E' un trionfo per Montalbano, creatura di Andrea Camilleri sconosciuto fino a qualche tempo fa al grande pubblico nella sua veste di scrittore. Ma il successo bacia anche Manuel Vazquez Montalbàn, autore cult in Italia, grazie alla pubblicazione del suo libro Il Premio, dove troviamo il detective Carvalho alle prese con l'assassinio del mecenate di un famoso premio letterario. Montalbano contro Montalbàn, dunque. La classifica dei libri più venduti del quotidiano La Repubblica non ammette dubbi: Il premio è già in testa nella sezione scrittori stranieri, mentre Camilleri occupa le prime cinque posizioni… avete capito bene!.. della sezione narrativa italiana con i titoli: Un mese con Montalbano, La concessione del telefono (racconto storico), La voce del violino, Il birraio di Preston, Il cane di terracotta. La classifica del Corriere della Sera presenta alcune sfumature, ma lascia immaginare che il 'duello estivo' sarà tra il galiziano Carvalho e il siciliano Montalbano. Ma chi è Andrea Camilleri? L'autore che ogni editore italiano vorrebbe avere in lista è un tranquillo nonno di 73 anni, figlio della profonda Sicilia (Porto Empedocle 1925), romano d'adozione. Maestro d'arte drammatica, sceneggiatore e regista di teatro, ha raggiunto un posto di rilievo come produttore RAI per le famose serie del commissario Maigret e del tenente Sheridan. Il suo adattamento televisivo dell'opera teatrale Finale di partita di Samuel Beckett, fu seguito da 400.000 telespettatori. Camilleri, la cui grande passione è il romanzo storico, scrive già da alcuni anni per la piccola casa editrice Sellerio, poco incline alle grandi promozioni commerciali. Quasi solo un anno fa, i suoi racconti non raggiungevano i 5 mila esemplari. Fino a quando non cominciò il 'tam-tam'. Fu come un movimento sordo, come quei successi che si forgiano nel silenzio, grazie al passaparola tra amici e conoscenti, come una clessidra. Cento, duecento lettori in più alla settimana, fino a che il 'ti consiglio Camilleri' ha fatto tremare le classifiche delle vendite sfidando apertamente il grande successo dello scorso anno che ottenne Susanna Tamaro con 'Va dove ti porta il cuore'. Se l'introspettiva Tamaro rivendica il bisogno di spiritualità in tempi di grandi cambiamenti, Camilleri introduce l'intrattenimento di qualità. "E' un buon artigiano della scrittura", dicono di lui i critici. La serie del commissario Montalbano iniziò tre anni fa (1995), in quel paese immaginario della profonda Sicilia che è Vigata, dove sono ambientati quasi tutti i suoi racconti. In una recente intervista Camilleri dava una chiave di lettura interessante per il suo personaggio: "Ho scelto di chiamarlo Montalbano perché è un cognome piuttosto comune in Sicilia e anche in onore di Manuel Vàzquez Montalbàn, scrittore che amo moltissimo". Il fatto è che Montalbano e Carvalho nascondono una certa somiglianza. Amano la buona cucina e la letteratura, anche se il commissario siciliano non brucia i libri come fa l'investigatore galiziano, ma li legge con devozione e il loro successo con le donne è molto, molto scarso. Anche tra Camilleri e M. V. Montalbàn ci sono delle affinità: una vecchia affiliazione comunista e una malcelata perplessità nei confronti del presente. L'ultima 'birichinata' di Camilleri è stata quella di ricordare gli esordi di Silvio Berlusconi come cantante ed animatore di crociere in un racconto estivo per la stampa. I giornalisti della destra non glielo perdonano, ma la Mondadori si tiene ben stretti i diritti del suo ultimo libro, il più venduto. Militante nel Pci dal 1944, lo scrittore riscontra una certa debolezza negli attuali dirigenti della sinistra e non ha voluto entrare nelle fila dei Democratici di Sinistra. Il successo dei suoi libri è stato così improvviso che solo da poco si è iniziato a tradurli per i lettori spagnoli. Per gli italiani la lettura delle sue opere può richiedere un certo sforzo iniziale per via del particolare dialetto 'vigatese' che il commissario Montalbano amministra in modo del tutto personale.
traduzione Anna Porro
Commissario Montalbano, il caso Carvalho è tuo Vigata? Come Barcellona. I due investigatori? Pirandelliani. Lo scrittore catalano guarda il telefilm. E fa un annuncio.
È mai possibile che due investigatori, nati dalla fantasia romanzesca di
due persone, s'incontrino? No, ma ci siamo quasi vicini. Si danno
appuntamento, nelle pagine di uno stesso libro, i loro rispettivi padri:
Manuel Vásquez Montalbán e Andrea Camilleri. Il primo è il creatore di
Pepe Carvalho, detective con un passato Cia e di sinistra; il secondo è
Salvo Montalbano, commissario di polizia, siciliano, che deve il proprio
nome all'ammirazione che aveva Camilleri del collega spagnolo. Il señor
Carvalho e il dottor Montalbano, insieme, hanno milioni di lettori. Ora
i loro creatori stanno scrivendo un libro a quattro mani. Era destino,
in nome della mediterraneità, della vicinanza emozionale e fantastica
tra Barcellona e la Sicilia.
Pier Mario Fasanotti - Panorama, 04.05.2001 |
Last modified
Wednesday, July, 13, 2011
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