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Camilleri in chat



Domenica 11 marzo 2001 Andrea Camilleri ha "incontrato" i Soci del Club su una chat-line allestita sul nostro sito. Ecco la trascrizione della chiacchierata, curata da Paola Rossi. Un grandissimo ringraziamento a Guido, che ha prestato la sua fondamentale assistenza tecnica al Sommo. Grazie anche a Alberto per la registrazione. E grazie, ovviamente, al Sommo per la sua cortesia e il suo affetto.

Il Direttivo


CATARELLA: Allora… introduce la chat il Presidente, Filippo.

PRESIDENTE: Sì, senz’altro. Buon giorno a tutti. Volevo introdurre semplicemente ringraziando il Sommo per la disponibilità che ha dato, di nuovo, per incontrarci. Evidentemente la prima volta si è divertito abbastanza, e questo mi fa molto piacere. Per quanto riguarda i miei interventi… vabbè, se è il caso ne farò nel corso della chiacchierata. Quindi adesso lascio la parola a Mario e lascio che lui coordini il tutto come sa perfettamente fare. Buona chiacchierata a tutti.

CATARELLA: Grazie Presidente. Il primo nella lista a parlare è un socio che conosciamo tutti, il Socio Buongustaio, che si occupa delle ricette del Club, Alberto.

ALBERTO, Socio Buongustaio: Buon giorno a tutti, buon giorno al Maestro che tanto gentilmente ci dà la sua disponibilità. Volevo iniziare con una domanda un po’, diciamo, personale. Sta per uscire il suo ultimo libro che Lei prevede sarà quello che le darà più soddisfazioni, ma voci di corridoio, diciamo così, dicono che dopo intende riservarsi una lunga pausa: è vero? E se è vero, quanto hanno influito su questo le critiche che certi suoi detrattori dell’ultima ora, non avendo altri argomenti, hanno mosso sulla sua florida vena artistica? Io credo di non avere per un po’ più notizie del commissario Montalbano. Grazie.

SOMMO: Allora, buongiorno. Mi fa piacere ritrovarmi con voi dopo un po’ di tempo, vi auguro una buona domenica. Rispondo subito a questa prima domanda. Questo romanzo, che uscirà quanto prima da Elvira Sellerio, cioè Il Re di Girgenti, mi è costato molta fatica, più fatica degli altri. Ci lavoro da cinque, sei anni a questo romanzo e credo finalmente di essere arrivato a una conclusione. In questi ultimi anni io ho lavorato moltissimo, moltissimo e i risultati si vedono dal fatto che i romanzi vengono pubblicati e sono romanzi che certamente non si scrivono in un giorno. Per quanto io cerchi di mettere in scherzo il mio lavoro, in realtà comporta ore di tavolino e grossa attenzione fisica, oltre che mentale. Avendo raggiunto la bella età di settantasei anni, è chiaro che a un certo punto ho necessità di un tagliando, come si fa per le macchine, cioè a dire mi sono molto trascurato e quindi ho bisogno di un periodo di riposo nel quale faccio fare questa revisione generale del motore, sperando che non decidano che io sia da rottamare, diciamo, ecco, questo è l’augurio che faccio a me stesso. Però, attenzione, scrivere per me è una necessità, non è che è semplicemente un divertimento, è anche una necessità, quindi una volta fatto quello che va fatto al mio fisico, al mio corpo, è chiaro che io ritorno a scrivere. Però io non ho la possibilità di scrivere come i miei lettori vorrebbero, nel senso che sono totalmente incapace di fare come Simenon che sfornava un romanzo al mese; io non ho questi ritmi, e quindi per Montalbano bisognerà avere un po’ di pazienza. Certo che io Montalbano non lo lascio, come si dice, con un piede in aria… una conclusione gliela darò, che non sarà una conclusione sanguinosa, o di morte o cose di questo genere… però una conclusione gliela vorrei dare, e sarà la prima cosa che farò appena fatto il tagliando.

CATARELLA: Ringraziato il Sommo per la sua risposta, adesso viene l’intervento del Direttore, Beppe… vai Beppe… niente, Beppe ha dei problemi... allora Filippo, se tu vuoi fare una domanda…

PRESIDENTE: Vabbè, sì, ne faccio una anch’io. Recentemente sulla cronaca palermitana di Repubblica ho letto che lei avrebbe fatto uno spot contro l’abusivismo edilizio, in particolare in riferimento alla Valle dei Templi di Agrigento. Le volevo chiedere una cosa: ma la villetta in cui abita Montalbano, secondo lei, è regolare, è abusiva, è sanata? Perché mi pare che sia proprio sul mare….

SOMMO: Ma io credo di non avere dubbi in proposito sull’abusività della villetta di Montalbano, io credo che sia una regolamentare villetta abusiva, proprio, questo devo dirlo in coscienza. Però, siccome è stata una delle primissime, risale alla notte dei tempi… Queste villette, come avevo visto io trent’anni fa, quarant’anni fa… probabilmente sarà stata sanata. Ora, io non posso metterci la mano sul fuoco, ma che in origine fosse abusiva proprio non ho nessun dubbio; però una cosa -non voglio giustificare l’abusivismo- però una cosa è fare, come allora ce n’erano nella realtà, di quattro, cinque, piccole, basse, di una stanza su terreno demaniale… che poi è stata multata, con una grossa multa, la villa di cui parlo, alla quale mi sono come dire ispirato -perdonate la parola, che detesto- so che poi venne sanata perché gli diedero una concessione, allora, a 99 anni come per le concessioni demaniali.

Non è tanto questo il problema. Io ho fatto questo spot contro l’abusivismo perché vedo che accanto a monumenti storici di straordinaria importanza sorgono delle case abusive. Allora, voglio dire che il diritto di godermi un paesaggio sano, bello, vicino a un certo tempio o a un certo rudere importantissimo per la nostra storia, credo che sia un diritto di tutti … tutto qua… che poi una villetta sia a ripa di mare, persa e sia anch’essa abusiva… credo che porti meno danno.

CATARELLA: Nel frattempo che il Direttore prepara la domanda faccio io la domanda al Sommo, una domanda di attualità. Vorrei chiedere al Sommo che ne pensa del mondo della letteratura per ragazzi e specialmente di Harry Potter, e ancora se scriverà qualcosa rivolto ai ragazzi.

SOMMO: Mah, che i ragazzi leggano è un bene per tutti, su questo non c’è il minimo dubbio, però io questa distinzione -letteratura per ragazzi- mi è molto difficile capirla, perché io quando ho cominciato a leggere leggevo libri di mio padre che, essendo mio padre, ragazzo non era, evidentemente, è lapalissiano… Quindi io vorrei che i ragazzi leggessero un po’ tutto, però, comunque, visto che ormai esiste questa catalogazione dei romanzi per i ragazzi… io non ho nulla in contrario ad Harry Potter, tra l’altro ne ho comprato una copia e il giorno appresso mi è arrivata in omaggio la medesima copia, quindi l’ho potuta dare a qualche altro ragazzo, quindi l’abitudine alla lettura mi va benissimo. Per ciò che personalmente mi riguarda ho ricevuto diversi inviti a scrivere qualche cosa per i ragazzi; lo farei molto volentieri, ma forse quello che mi impedisce di farlo è proprio questa "palettatura" del romanzo per i ragazzi. Tra l’altro io considero per esempio come una sorta di riconoscimento da premio Nobel il fatto che già per due volte quelli di Topolino della Walt Disney mi abbiano chiesto di scrivere una storia per Topolino, cosa che mi auguro di poter fare.

CATARELLA: OK, grazie… nel frattempo che aspettiamo la domanda del Direttore, una domanda di una socia che da tempo fa parte del Club, Emim.

EMIM: Buongiorno. Io sono un’insegnante, insegno lettere nella scuola media e sono d’accordo con quello che ha appena finito di dire, cioè secondo me la letteratura non deve essere "per" qualcuno ma deve essere solo buona letteratura, come Lei sa fare. Quindi anch’io inviterei a non scrivere "per" ma a scrivere solo… tanto vedo che i ragazzi apprezzano moltissimo la sua prosa, comunque vada. In questo periodo sto leggendo loro dei Bravi del Manzoni e devo dire che si divertono moltissimo. Che consiglio mi può dare per far arrivare i ragazzi ad avere una prosa limpida come quella che ha Lei? Grazie.

SOMMO: Eh, beh, è una domanda alla quale è difficile rispondere, perché è chiaro che poi c’è, all’interno della capacità di scrivere un certo tipo di prosa, non solo un allenamento di lettura, un allenamento culturale, è chiaro che c’è anche una naturale predisposizione a un certo tipo di scrittura. Io ho partecipato, più per dovere di amicizia che per altro a delle scuole di scrittura, ma se non c’è una dote naturale, una inclinazione iniziale alla felicità del raccontare, è molto difficile che uno possa intervenire, no? E’ come quando insegnavo regìa -l’ho insegnata per diciassette anni- se uno non arriva già con una predisposizione all’interpretazione, alla trasmissione del suo pensiero interpretativo nei riguardi degli attori, è inutile che stiamo a parlare… non sono cose che si insegnano. Al massimo si può fare buona bottega, cioè a dire, una volta che uno è dotato va a bottega e impara, come posso dire, le prime connotazioni dell’arte, ecco. Uno corregge certi eccessi, o spinge a superare certi paletti che magari la persona stessa si pone. Ma io sono sempre dell’opinione che la lettura sia proprio il primo fondamentale passo verso la scrittura. Lei dice -ha detto una cosa molto importante- che…"io leggo Manzoni e gli do un’interpretazione che i ragazzi in qualche modo non sarebbero in grado di dare", quindi lei non dice "leggete Manzoni" lei "legge" Manzoni. Questo è già importante, perché lei dà, in quel momento, una sorta di indicazione dalla quale i ragazzi stessi possono dissentire nella loro lettura personale, privata… questo è importante. Quando lei dice "i ragazzi si divertono con Manzoni" lei non sa che cosa di enormemente positivo sta dicendo, perché i ragazzi in genere, con Manzoni, si annoiano, nel momento nel quale glielo leggono melensamente, oppure glielo fanno legger. E allora poi lei scopre quello che fa scoprire ai suoi fortunati ragazzi, quello che io ho scoperto a trentadue anni, cioè che Manzoni era un grande scrittore e non uno scrittore noioso. Continui su questa strada, segua il suo istinto e non chieda consigli.

EMIM: Grazie, troppo buono. Comunque so di un bambino che preferisce Il ladro di merendine a Harry Potter forse questo le fa piacere.

SOMMO: Mah, non so… questo bambino non lo invidio, poverello, preferirei che alla sua età leggesse Harry Potter…

EMIM: L’importante è che legga.

SOMMO: Certo, l’importante è che legga.

CATARELLA: Volevo fare una domanda, a proposito della letteratura per ragazzi nell’intervento di Emim, della scuola ITIS Copernico. I ragazzi chiedono al Sommo: qual è la motivazione profonda, oltre all’amore per la sua terra, che l’ha spinta a narrare vicende gustose ma nello stesso tempo inquietanti?

SOMMO: Mah, io credo che faccia parte della mia natura, cioè io credo di avere un certo tipo di testa fatta in modo che copra certe situazioni inquietanti attraverso una sorta di gustosità dell’esposizione. Questo fa parte della mia cultura, del mio essere in certo modo; oppure fa parte della lunga educazione teatrale che io… So che sotto un testo, per esempio, c’è un sotto-testo che magari è più divertente, Molière insegna, nel quale il pubblico sta in quel momento ridendo e in realtà c’è un’inquietudine sotterranea e nascosta che però bisogna fare arrivare lo stesso sotto le vesti di questo camuffamento, di questo divertimento. Fa parte della mia astuzia mentale, se vogliamo usare la parola, nel raccontare.

CATARELLA: Adesso c’è l’intervento di una nostra cara socia… Maddalena.

MADDALENA: Sì, grazie. Buongiorno Sommo. Ne La scomparsa di Patò Lei per la prima volta, se non sbaglio, ha creato due figura di protagonisti positivi, di tutori dellordine che scendono a compromessi per salvaguardarsi la carriera. Questo è un sintomo di rassegnazione da parte sua o è forse diventato pessimista? Oppure voleva creare due personaggi, diciamo, diversi e spiazzare noi lettori? Grazie mille.

SOMMO: No, no, non c’era una volontà di spiazzamento. E’ semplicemente dato dal corso delle cose lo sviluppo di quel racconto. Mi piaceva mettere in evidenza una sorta di -come posso dire?- fatalità di coincidenze, per cui persone che fino a un certo momento sono state avversarie, sotto una minaccia, un pericolo, non solo diventano amici, ma concorrono allo stesso risultato e poi danno una versione di comodo. Ora, vede, quando io racconto queste piccole storie, in realtà tento di metaforizzare delle storie, ben più importanti, dell’Italia. Cioè a dire, noi abbiamo… il lettore si renderà conto benissimo che quel cadavere non è quello di Patò e che è stato operato un falso di comodo. Il mio discorso è di una semplicità elementare: quanti falsi di comodo vengono fatti in Italia? Questo è. Solo che io, invece di dirlo in tono predicatorio, accusatorio, eccetera, dico: attenzione che il falso di comodo, da Ustica a Piazza Fontana, alla strage dell’Italicus, è sempre possibile… non dico che c’è sempre, dico che è una possibilità.

MADDALENA: Grazie.

CATARELLA: Grazie a Maddalena per la sua domanda, grazie al Sommo, sempre, per la sua risposta. Adesso c’è una domanda di Rava, che non può parlare… la faccio io al suo posto. Rava dice: Buongiorno Sommo, lei in sostanza preferisce Patò storico o Salvo poliziesco?

SOMMO: Io ho sempre detto di preferire Patò storico, cioè a dire di avere una preferenza verso il coté storico dei miei romanzi. Ma vorrei chiarire una cosa una volta per tutte, una certa situazione mia. Non è che nel momento nel quale io scrivo Salvo io dico questo lo faccio di serie B perché tanto è Salvo Montalbano… di fronte al personaggio Salvo Montalbano io mi trovo con la stessa intensità di partecipazione con la quale mi trovo di fronte a Giovanni Bovara della Mossa del cavallo o al ragioniere Patò. Per me non c’è differenza, la differenza è nella finalizzazione del discorso, perché uno invita il lettore a seguirlo in un procedimento giallo, diciamo, poliziesco, e quindi io mi preoccupo di sgombrare il campo da alcune oscurità o alcuni rimandi, da alcuni sottintesi… Perché l’onestà di uno scrittore di gialli consiste proprio nel non inzeppare di false piste, di problematiche diverse quella che è la conduzione della vicenda. Nel romanzo storico io mi sento più libero da questo mio dovere verso il lettore e mi abbandono assai di più a digressioni che mi divertono, a incisi, a parentesi… ecco, questa è la differenza. E’ chiaro quindi che io inclino verso dove mi diverto di più, ma questo non significa che il divertimento verso Montalbano sia di categoria inferiore… è diverso.

CATARELLA: Adesso è il turno d’u Mastru… Mastru tocca a te, dai, coraggio!

U MASTRU: Buongiorno Sommo. Iio ho già avuto il piacere di conoscerla a Torino, durante il Salone del Libro, ho anche un suo autografo che penso di fare incorniciare. Io la vorrei ringraziare primo perché mi ha praticamente sconvolto la vita, come sanno il resto del Club, e passo alla domanda: il suo penultimo libro, La scomparsa di Patò, è stato criticato anche nel Club con delle critiche, alcune molto negative. Non hanno accettato la forma in cui è scritto il romanzo. Io l’ho trovata molto interessante. Vorrei sapere il suo parere a proposito.

SOMMO: Mah… Che queste critiche, anche molto forti, ci siano state, non fa che riempirmi di piacere, e spiego perché. Tutto il mio mestiere, di prima e di dopo, è tendente ad una sorta di dialettica con il lettore, quindi se qualcuno rifiuta una mia proposta io ne sono sinceramente, oggettivamente contento. Vorrei chiarire che questa non è ipocrisia. Quando ne parla un recensore letterario, io non so che cosa c’è dietro le parole che scrive, ma quando ne parla un lettore, che è andato a comprare il libro, le sue parole meritano, la sua critica, o il suo dissenso, meritano un interesse assai superiore a quello che io do a un recensore di qualsivoglia giornale. Quindi vorrei spiegare che in ogni mio romanzo cosiddetto storico, c’è una ricerca di struttura narrativa molto evidente; voglio dire che La concessione del telefono, tanto per fare un esempio, adopera due momenti narrativi: uno è il fatto dei documenti, l’altro è la relazione del parlato, dei dialoghi. Quando io scrivo un romanzo, io faccio un progetto strutturale del romanzo. Io sono esattamente come un buon geometra che deve costruire una casa… non dico un architetto, quello lasciamolo fare ai grandi scrittori… Allora, dove va la finestra? Quante stanze deve contenere? Dov’è che mettiamo il corridoio? Dove sono le prese di luce? Questo è il mio progetto… e che forma, dati ad esempio i metri cubi, questo progetto deve avere? Quando io mi sono trovato di fronte all’idea di narrare Patò io ho fatto un progetto di struttura e, tra i vari studi di progetti di struttura, questa forma di dossier m’è parso il più convincente... per me, poi qualcuno magari non se n’è convinto, perché permetteva un’interattività del lettore all’interno del romanzo. Cioè a dire era il lettore che poteva dare volto, statura, figura ai miei personaggi, nel 99% non descritti. Lo stesso avviene per il luogo, per le situazioni, che non sono mai descritte come un romanziere dovrebbe fare. Ora è chiaro che c’è un lettore che partecipa al gioco della convivenza con l’autore nella creazione di questo libro, e c’è anche un lettore che invece si rifiuta e dice "Tu mi devi dare il libro, mi devi dire che ora era, com’era la casuzza, com’era l’ambiente dove si svolge questo"… mah, pazienza… voglio dire che in altri libri io ritorno, riprendo argomenti, modi, strutture narrative più tradizionali. A me divertiva, nel Patò, portare all’estremo limite un certo tipo di documentazione. Vorrei però richiamare l’attenzione di tutti sul fatto che io non ho ritagliato pezzi di giornale, me li sono inventati; tutto il materiale di Patò è rigorosamente inventato di sana pianta… cioè a dire… lo scrittore è proprio in quei documenti inventati, non è che lo scrittore abiura alla sua funzione, quei documenti li ho scritti io, li ho composti, li ho collazionati io, in un certo modo.

U MASTRU: Si potrebbe dire che ha qualcosa del radiofonico?

SOMMO: No, direi proprio di no. Certo è più facile l’adattamento radiofonico, quando un ambiente non è condizionante o una situazione non è condizionante… può darsi che sia anche questo il risultato della mia esperienza. No, il problema serio che io mi sono posto è: fino a che punto il narratore ha diritto a offrire al lettore una e una sola chiave di descrizione di un personaggio? Fino a che punto lo scrittore ha il diritto di imporre che un dialogo si svolga in una certa situazione? Il narratore extradiegetico, come si dice in termine tecnico, che è al di fuori della storia, è una splendida finzione, perché la storia, in realtà, la racconta il narratore. Però era un gioco che mi piaceva fare.

U MASTRU: Grazie.

CATARELLA: Adesso una domanda di Don Balduccio, che ha problemi con l’audio, anzi, non ha proprio il microfono, e la domanda è questa: Che ne pensa dell’affermazione, come è stato scritto, secondo la quale la sua opera è in esclusiva un omaggio a Pirandello e Sciascia?

SOMMO: Bah… io non credo che la mia opera sia solo un omaggio a Pirandello e a Sciascia. Se così fosse stato avrei scritto dei saggi. Però, che l’influenza di Pirandello e di Sciascia siano evidenti è un dato di fatto.

CATARELLA: Ok, grazie al Sommo. Adesso facciamo un altro giro. La domanda di Emim.

EMIM: Per me, certamente, La concessione del telefono è un capolavoro, un capolavoro del secolo nostro. La stessa cosa, la stessa struttura, io non l’ho apprezzata molto in Patò. Mentre nella Concessione del telefono io riuscivo a vedere i personaggi a tutto tondo e riuscivo a ricrearmeli, proprio come diceva lei, invece in Patò la stessa operazione non mi è accaduta, tanto che l’ho sentito come un libro affrettato, cioè… bellissima l’impostazione, secondo me eccezionale l’organizzazione di tutto il lavoro, però mi sembrava che mancasse quella limatura finale per arrivare alla quale io sono convinta lei ci metta moltissimo: è così? È solo un’idea mia? È questione di sensibilità?

SOMMO: Mah, sa, signora, devo contraddirla in questo senso. Vede, Patò è stato scritto esattamente dal 20 dicembre al 22 gennaio, quindi parlo di scrittura del romanzo. È stato consegnato a Mondadori alla fine di settembre. Tutto quel lasso di tempo trascorso tra la fine della scrittura e la consegna del manoscritto è passato, è trascorso con una mia continua limatura di ciò che avevo scritto, e un ritornarci sopra. Quindi se c’è un libro che non è affrettato è proprio quello, anche perché non è che io ho fretta, perché anche se firmo un contratto con un editore che mi dice "Dammelo entro il 30 di agosto", poi lo posso consegnare anche al primo di ottobre, sa, mi mandano qualche lettera di lagna ma la cosa finisce lì. Sono totalmente responsabile, io, dei miei scritti, non del tempo che ci vuole perché questi scritti siano portai a termine. Rispetto alla Concessione del Telefono, qui io faccio un passo avanti nella mia sfida al lettore: mentre io supportavo con i dialoghi, che sono fondamentali nella Concessione del telefono per la figura dei personaggi, qui io li ho eliminati, i dialoghi. Quindi, siccome uno da come parla, una persona, si fa un’idea di quella persona, qui gli ho levato, al lettore, anche questo minimo di supporto. Il lettore è abbandonato semplicemente alla lettura di alcune carte, ecco. È chiaro che questo comporta un rischio da parte mia nella scommessa che ogni romanzo storico che scrivo rappresenta. Può darsi che stavolta questa scommessa non l’abbia vinta, ma non c’è niente né di drammatico né di… mi spiego? È molto difficile che io nel mio prossimo romanzo riprenda questo stesso tipo di struttura a dossier, perché ogni volta in ogni mio romanzo la struttura è diversa.

EMIM: Grazie, mi ha fatto piacere.

CATARELLA: Adesso un’altra domanda dalla scuola Copernico; i ragazzi dicono, è una domanda al Sommo, quale consapevolezza si aspetta che acquisisca il lettore dei suoi romanzi nei confronti del fenomeno della mafia.

SOMMO: Dunque, io faccio una dichiarazione di principio che vorrei fosse presa assolutamente sul serio: quando io scrivo un romanzo non mi propongo né di educare né di indicare delle strade, né, assolutamente, nessun intento didattico. Non credo che sia compito di chi scrive delle storie. L’altro giorno sentivo un mio collega scrittore che diceva: io, con questo mio ultimo romanzo, ho indicato ai giovani delle strade da seguire. Beato lui, che può pensare che i giovani seguano quello che lui indica… Il compito della letteratura non è questo tipo di impegno, e non è nemmeno il disimpegno. Io parlo della mafia nei miei libri, ma ne parlo in modo, come posso dire, indiretto; però fornisco tutte le indicazioni per far capire quello che è la mafia. Dopodichè mi aspetto che i lettori deducano quello che è la mafia da come io ne parlo, ma vedete, non è che io scommetto tutta la mia vita di scrittore su questo impegno… Se lo vogliono capire, beati loro, se non lo vogliono capire peggio per loro. Ma le cose scritte, sono scritte e stanno lì… Il mio giudizio sulla mafia, come su certa politica, è chiarissimo. Poi, uno può anche non coglierlo, ma io non mi propongo affatto che lo colgano, vorrei solo che la lettura del mio lettore ideale non fosse solo superficiale, ma fosse anche attenta alle pieghe del discorso.

CATARELLA: Adesso è il turno di Maddalena.

MADDALENA: Sì, grazie. Allora, visto il bellissimo tono confidenziale che ha preso l’intervista, mi lancio in una domanda un po’ personale: ne La testa ci fa dire lei parla molto di amicizia, però sempre maschile. Montalbano però spesso, nei momenti di bisogno si rivolge alle sue amiche. Lei crede nell’amicizia fra uomo e donna oppure lascia solo che ci creda il suo personaggio?

SOMMO: Io ho sempre creduto all’amicizia fra uomo e donna, ho delle amiche straordinarie, continuo ad averle. Trovo assolutamente comica la domanda… Cioè a dire non che lei sia comica, cioè come mio modo di pensare credo che nasca da un maschilismo esacerbato al quale bene o male le donne finiscono coll’adeguarsi, cioè a dire che non esiste l’amicizia possibile tra uomo e donna e che invece esistono rapporti diversi e possibili… qui tutto questo è un concetto maschilista… è anche un concetto un po’ da predatori impotenti. Invece io credo proprio l’opposto. Ho delle ottime, strepitose amiche. Però vorrei chiarire che io ho una mia personale opinione, cioè a dire che alla base di ogni amicizia, tra uomo e uomo, tra uomo e donna, ci sia un sentimento di attrazione reciproca, perché altrimenti non avrebbe ragione l’amicizia stessa. Se noi depuriamo da ogni aspetto predatorio sessuale i rapporti d’amicizia, troviamo che sono straordinari e possibili tra donna e donna, tra uomo e uomo tra uomo e donna e come vuole lei, cioè dobbiamo eliminare nei rapporti di amicizia qualsiasi superfetazione di tipo sessuale. E poi Montalbano… Che io ne La testa ci fa dire parli del rapporto fra amici, il fatto che sia fra uomo e uomo, è vero, e però potevo dire: parentesi, accade anche fra un uomo e una donna, parentesi, omissa, ma che bisognerebbe anche mettere. Poi, come vede, nei miei romanzi, il rapporto di Montalbano con alcune amicizie femminili è di assoluta, totale amicizia.

PRESIDENTE: Mario, scusa se mi intrometto. Quando c’è spazio ci sarebbe una domanda che vorremmo fare io e il Direttore un pochino in cooperazione… Quando ti sembra il momento, dimmelo che la faccio io.

CATARELLA: OK, il prossimo intervento. Ci sono i ragazzi della scuola Copernico che vogliono fare un’altra domanda…

PRESIDENTE: Aspetta, c’è Maddalena che forse vuol dire qualcosa.

MADDALENA: Niente, volevo solo ringraziare e dire che sono assolutamente d’accordo.

CATARELLA: OK, la domanda dei ragazzi della scuola Copernico. Dicono: lei è diventato il nostro genere di lettura preferito: qual è il suo?

SOMMO: Non ho preferenze di generi. Già i generi mi danno fastidio, e parlo di generi letterari, perché naturalmente Guido, che è mio genero alla mia sinistra, non mi da nessun fastidio, questo bisogna chiarirlo [risatina sorniona, NdT]. Allora… La parola "generi" mi dà fastidio. Io credo che non esistano generi, perché se noi pigliamo ad esempio Alessandro Dumas, cioè il genere "cappa e spada": chiamalo "genere" quando scrive un capolavoro come I tre moschettieri, perché lo è, è inutile tentare di negarlo. Allora, io non ho generi preferiti, io posso avere dei libri che preferisco, delle letture che preferisco. Io, per esempio, leggo Simenon, no? Ma non lo leggo perché è il genere poliziesco di Simenon che mi attrae con il suo commissario Maigret, io leggo tutto Simenon, anche i romanzi senza Maigret, assai più belli, nei quali lui parla di questa dannata provincia francese, per esempio. Ora, io non mi fermo a un solo autore, non potrei fermarmi a un solo autore, io sono onnivoro, nella lettura. Ci sono delle cose che mi piacciono, delle cose che butto via, ma io sono una sorta di penisola, come l’Italia, senza possibilità di frontiera, chiunque può sbarcare e farsi leggere, ecco. E poi io tra questi scelgo quelli che più mi vanno a genio, anche per ragioni opposte alle mie, perché devo dire che va a finire che certe volte apprezzo quello che io non sono, cioè a dire quello che io non saprei scrivere, quello che io non saprei raccontare, proprio per questo le apprezzo: la diversità l’apprezzo moltissimo.

CATARELLA: OK, grazie alla scuola Copernico e al Sommo…adesso l’intervento di Filippo e Beppe.

PRESIDENTE: Mi pregava il Direttore di fare questa domanda: Sommo, lei ha collaborato alla sceneggiatura delle trasposizioni televisive di Montalbano, le chiedo se ha in cantiere sceneggiature sui suoi romanzi storici. Io però voglio completare questa domanda chiedendole informazioni, se ne ha, chiaramente, sulla trasposizione cinematografica de La stagione della caccia e sulla trasposizione in melodramma vero e proprio del Birraio di Preston. Grazie.

SOMMO: Mah, dunque… io ho collaborato e ho continuato a collaborare -e avrò una riunione la prossima settimana di sceneggiatura- con lo sceneggiatore Francesco Bruni per vedere come organizzare, finiti i romanzi con Montalbano, i due libri di racconti in una serie. Il mio intervento nelle sceneggiature -io ho fatto anche per mestiere lo sceneggiatore- in questo caso specifico, avendo fiducia vera, reale, totale in Francesco Bruni, è un intervento su "scene", dire "forse questa conviene spostarla qui, forse conviene evidenziare di più questa situazione…", e soprattutto nei dialoghi. Per ciò che riguarda invece la trasposizione cinematografica, La stagione della caccia è stata comprata tempo fa da Turi Vasile della Laser Film ed è una cosa che lui porta avanti da anni… so che ha fatto una sceneggiatura -alla quale io non ho partecipato- e che però non riesce a chiudere, come si dice. Forse perché i romanzi storici comportano una spesa eccessiva, ma proprio enorme, per ciò che riguarda la messa in scena, la ripresa, in un film come questo di cui abbiamo parlato. L’altra cosa venduta da me, alla Rita Rusic e alla sua società di produzione, venduta… opzionata dalla Rita Rusic è La mossa del cavallo. La signora Rusic è una donna di straordinaria intelligenza cinematografica, e parlando con me ha già individuato i modi come farlo, modi che mi trovano perfettamente d’accordo. Uno sceneggiatore si è già preoccupato di fare una sorta di scalettatura ampia di questo possibile film nella quale io sono invitato a intervenire nel momento in cui dalla scalettatura si passa alla sceneggiatura, però c’è come una battuta d’arresto che dura da tre o quattro mesi su questo progetto. Uno sa come va il cinema, no? Non solo italiano, ma internazionale, per cui un progetto viene portato all’estremo e poi non si riesce a concludere, altri invece vanno avanti.

PRESIDENTE: Grazie. Si parlava sulla stampa, la Repubblica anche, tempo fa, della trasposizione in melodramma del Birraio di Preston: è un progetto reale anche questo o soltanto una voce?

SOMMO: Io ho poche notizie al riguardo, nel senso che lì la mia collaborazione è veramente limitata. Quando io e Giuseppe Dipasquale facemmo la riduzione per il teatro del Birraio di Preston che andò in scena a Catania, c’è stato un giovane compositore che ci ha chiesto questo adattamento teatrale per farne un’opera lirica che comportasse parti musicali assolutamente nuove dovute a lui e anche la citazione di alcuni brani musicali dell’opera originale del Birraio di Preston. Noi glielo abbiamo dato, Beppe Dipasquale ha collaborato anche un pochino a questo adattamento, so che l’opera è stata composta tutta, so che è stata presentata a un importante concorso e credo che si attendano gli esiti di questo concorso.

PRESIDENTE: Grazie mille, Sommo.

CATARELLA: Passiamo ora alla domanda di Don Balduccio, che chiede: perché nella Gita a Tindari ha inserito il dubbio nel rapporto tra Salvo e Ingrid?

SOMMO: Prima risposta: per divertimento mio personale. Cioè a dire, arrivato a un certo punto, uno che scrive e c’ha davanti un personaggio compiuto come Montalbano, lo vuole in qualche modo mettere alla prova. A me ha divertito mettere alla prova Montalbano e lasciarlo in questo dubbio, che lui non saprà mai se è stato con Ingrid o non c’è stato… mi divertiva. Guardate che alla base di tutte le mie letture c’è anche Aldo Palazzeschi, che è quel poeta che arrivato a un certo punto scrisse anche un verso bellissimo che è "lasciatemi divertire", ecco.

CATARELLA: Un’altra domanda dalla scuola Copernico. I ragazzi dicono: cosa l’ha spinto a scegliere questa antica e un po’ inusuale modalità espositiva molto vicina al romanzo epistolare come nella Concessione del telefono?

SOMMO: Mah, innanzitutto c’è nella definizione un errore di fondo, perdonatemi; quando noi andiamo a prendere gli exempla dei romanzi epistolari, questi si svolgono tra due persone; cioè a dire tra lui e lei, tra lui e lui, tra lei e lei… questo non è un romanzo epistolare, anche perché non sono epistole i rapporti di polizia o… Questo è un altro genere, cioè a dire il rapporto epistolare tende alla confessione reciproca di sentimenti, di situazioni, di pensieri tra due persone che invece di parlarsi dentro una stanza, sono costrette dalla necessità a scriversi. Il mio discorso è completamente diverso. Credo che di epistolare, nella Concessione del telefono, c’è solo la lettera scritta in cattivo italiano della moglie del suocero che scrive all’amante, quello è veramente… ma per il resto, sono documenti; i documenti non sono un’epistola, per cui si possa fare un romanzo epistolare. Questi miei tentativi sono di accumulazione di dati, dati che sono rapporti, lettere, notizie di giornali; è diverso da quello che è il romanzo epistolare classico. Le lettere di Iacopo Ortis, o altri romanzi, o Le lettere di una novizia di Guido Piovene, che tra l’altro consiglio di leggere, sono a due… qui c’è una molteplicità di prefetti, sottosegretari, impiegati che si scrivono… non è un romanzo epistolare, è una raccolta di documenti

CATARELLA: Grazie al Sommo, e grazie per la domanda alla scuola Copernico. Adesso una domanda di Ravaduka, Rava, che non può parlare… Rava chiede: Sommo, non sia immodesto, quanto le sono tributari i nuovi giallisti Lucarelli e Piazzese?

SOMMO: Vorrei fare una domanda: perché ci sono almeno due persone che non possono parlare? Nel senso che le tenete imbavagliate?

CATARELLA: No, è che hanno problemi col microfono…

SOMMO: Bene, questo mi rassicura…Allora… Se sono miei tributari Lucarelli e Piazzese? Non credo che lo siano. Il modo di scrittura di Piazzese, che può sembrare quello più vicino a me, è un errore di prospettiva, in quanto Piazzese è siciliano, ambienta le sue storie a Palermo e dintorni, ma è una falsa comunanza, il modo di scrittura di Piazzese è completamente diverso dal mio, anche la forma mentis di Piazzese, dei personaggi di Piazzese è completamente diversa. Di Carlo Lucarelli io sono un grosso estimatore -e dell’uno e dell’altro, e questo è detto proprio con assoluta sincerità, tant’è vero che appena ho potuto ne ho scritto a destra e a manca del bene, e della stima che ho per loro, e anche per Marcello Fois. Ma la cosa che più ci può apparentare è stata lucidamente detta da Carlo Lucarelli quando ha detto: il successo di Andrea in realtà ci ha consentito di proseguire lungo una strada. Questo sì, senza falsa modestia… ma poteva toccare a lui, e dire io: mi ha consentito di proseguire tranquillamente su una certa strada.

CATARELLA: Emim, dai, la tua domanda.

EMIM: Dunque, io volevo chiederle: abbiamo, almeno io ho la sensazione che la nostra società stia cambiando, deteriorandosi, almeno dal punto di vista della violenza, della violenza giovanile, anche in questo periodo. Non so se è vera, o è una sensazione che ci arriva dal fatto di conoscere tante cose tutte assieme, ma lei, come scrittore, avverte questo cambiamento nella nostra società e crede si debba continuare a rappresentarla? Io mi ricordo di quando lei diceva che non riusciva a scrivere se non quello che conosceva: ora ha ancora l’idea di avere il polso di quello che sta succedendo? Grazie.

SOMMO: No, no. Nella Gita a Tindari io credo di avere molto chiaramente espresso quello che è la crisi di Montalbano, cioè un certo senso di inadeguatezza rispetto al procedere dei tempi. Attenzione che non sto dicendo di… come posso dire… amplificazione di ciò che… ampliarsi di ciò che Montalbano deve combattere. Dico semplicemente, lì, che oggi i mezzi di divulgazione del male finiscono in qualche modo col rendere inadeguato, rispetto ai mezzi, Montalbano… Quello che noi stiamo facendo in questo momento, il padre di Montalbano, che sono io, non lo saprebbe fare. Se non ci fosse Guido al mio fianco, oggi, questo che sta avvenendo fra di noi io non lo saprei gestire, e non lo saprebbe gestire Montalbano. Allora, la parola inadeguatezza, rispetto a certi sviluppi tecnologici, questo c’è, l’avverte, Montalbano, è la sua personale stanchezza… E quindi gli vengono a mancare, anche, i mezzi per capire la società nella quale si muove: ecco la crisi di Montalbano. La crisi di Montalbano è anche la crisi mia, la crisi del suo autore. Cioè a dire io so che non è vero… alcune cose che vengono amplificate, tipo la … come posso dire… l’ampliarsi dei delitti giovanili, ma non è vero… Ci sono sempre stati e sempre ci saranno. E’ il modo in cui si esplicita questo disagio, questo delitto, che ci colpisce assai di più. Vedete, noi l’abbiamo sotto mano in questi giorni: c’è una ragazza che accoltella la madre, e non succede niente, perché lei in lacrime va al commissariato, si autodenuncia, dice "io non so, non ho capito che cosa mi è successo", la madre è in ospedale… "Non abbiamo proceduto", dice il magistrato, e nello stesso tempo tu c’hai due giorni prima a Novi Ligure quello che c’è… Non si tratta di due pesi e due misure, si tratta di intuire cosa c’è dietro, quali sono le motivazioni reali. Vedete, una volta, ai nostri tempi, la rivolta familiare consisteva nello scapparsene da casa, cioè, dove c’era un luogo che oggi direbbero di potere, che è la famiglia, tu ti sottraevi a quel potere e te ne andavi in esilio. Oggi si reagisce violentemente, ma non è che il numero di coloro che reagiscono violentemente sia aumentato rispetto a quelli che scappavano sa casa, e vabbè, non scappano da casa e accoltellano i genitori… è cambiato il modo di reazione, che fa parte di una società che patisce, patisce di violenza. Però non mi vengano a dire che se si vedono troppi film americani con la violenza, la violenza aumenta, è una balla grossa quanto una casa. Allora, scusate, voglio ragionare per paradossi perché è un argomento che mi tocca profondamente, allora ogni commissario di pubblica sicurezza che assiste a 365 delitti veri all’anno dovrebbe essere un assassino; i suoi figli, se ne parla a casa, dovrebbero essere degli assassini… No: è il contesto della società che porta a una violenza di rapporti senza esclusione di colpi. Ma allora, dice, che cosa vuoi tu, la società pasoliniana del ritorno alla natura? Ma neanche per idea, sono pazzie… Io dico che viviamo in un momento enorme, grosso, di transizione nel quale momento bisognerà trovare i modi di convivenza con una realtà e una società che si sta modificando. In questi momenti di transizione le frizioni sono più acute, ma qui mi fermo. Vedete, è lo stesso che dire come è aumentata la criminalità dal momento che gli Albanesi sono arrivati in Italia. Bene, quando andiamo a vedere, questa criminalità non è aumentata, solo che ci sono una certa percentuale di Albanesi, il 5%, che sono dei criminali come li abbiamo noi, arrivati con poveracci che vengono a cercare lavoro. Non si può demonizzare, perché io credo che il vero problema che ci troveremo tutti di fronte da qui a trent’anni, sarà il problema della… come posso dire… planetaria emigrazione verso l’Europa di razze, gente, e culture diverse di fronte alle quali mettere paletti è assolutamente ridicolo, come mettere due sbarre davanti a un carro armato. Invece, io credo che sia un fatto positivo che porterà a una vera Europa… Voi dite ma che, sta straparlando… No, quest’Europa fondata sulla banche, sul denaro, l’Europa di Maastricht, non mi interessa… a me interessa l’Europa che verrà quando sotto la pressione di un rischio di perdita di identità saprà compattare la sua cultura, il suo essere stato, e non in contrapposizione, ma con la forza e la capacità di accettazione.

EMIM: Una risposta così mi commuove…

CATARELLA: Grazie al Sommo per questo suo bell’intervento. Adesso c’è la domanda del Direttore che viene formulata attraverso il Presidente: vai, Filippo.

PRESIDENTE: Sì… E’ difficile fare una domanda dopo quello che ha appena detto il Sommo, comunque… La domanda del Direttore è questa: alcuni l’hanno criticata anche pesantemente, in quanto la scrittura dei suoi personaggi sfora nel paradosso, nella macchietta, cosa risponde a queste critiche?

SOMMO: Beh, anzitutto che c’è una diversità tra paradosso e macchietta, no? Quindi che si decidano, i miei critici, se sono paradossale o macchiettistico. Macchietta: io non credo di scrivere macchiette, io credo di scrivere caratteri; d’altra parte, se vogliono trovare delle macchiette, i miei critici, non hanno da fare altro che volgere oggi lo sguardo alle televisioni, dove macchiette vere, che io sarei incapace di scrivere, ne vedono quotidianamente quante ne vogliono.

PRESIDENTE: Ne sono fermamente convinto anch’io. Grazie per la risposta. Approfitto di questo momento di buco per portare al Sommo i saluti di alcuni nostri soci che non hanno potuto partecipare quest’oggi per problemi tecnici dovuti al particolare tipo di computer che usano… caso mai Guido le potrà spiegare qual è il problema. Mario, vai pure tu.

CATARELLA: Maddalena, vai con la tua domanda.

MADDALENA: Sì. Lei, in un’intervista al Messaggero, ha detto che una volta i giovani agivano e si muovevano sospinti dalle ideologie; adesso che le ideologie sono cadute sono rimasti gli ideali, e la voglia di dare si è trasformata nella solidarietà, però le giovani generazioni sono spesso accusate di disimpegno. Lei cosa ne pensa? O meglio, secondo lei, le piccole azioni in nome della solidarietà non sono importanti almeno tanto quanto le grandi azioni in nome delle ideologie? E non denotano, comunque, una volontà di impegno?

SOMMO: Ma esattamente… ma è vero. Cioè a dire, io rimango ogni volta commosso e sorpreso nello scoprire la quantità di giovani che c’è nel volontariato. Vede, io non sono mica così negativo nei confronti della gioventù, io non posso misurare la gioventù col metro della "mia" gioventù: le condizioni ambientali, socioeconomiche e storiche nelle quali la mia gioventù si è mossa… La cosa che mi fa ridere di tutti questi interventi degli ultimi mesi è che sono sessantenni, professori di psicologia, cose, ecc. che parlano ai giovani… Ma è una follia! E’ una follia! Non bisogna parlare ai giovani… ai giovani non puoi altro che proporre, senza volerlo e senza saperlo, che te stesso… Cioè a dire, nessuno deve dire "io sono un buon padre di famiglia", deve esserlo senza saperlo: allora sì che è un esempio positivo. Questa è la sostituzione dell’ideologia… Noi, allora, credevamo… Io ho creduto nel comunismo, sono stato comunista per quarant’anni, non rinnego nulla di quello che sono stato. L’esperimento che abbiamo tentato in qualche modo è fallito, anche nel sangue, dove doveva fallire nel sangue, ma era un tentativo di riscatto, in qualche modo. Dall’altra parte avevamo l’ideologia della Democrazia Cristiana, altrettanto motivata della nostra, altrettanto valida della nostra, ma vivevamo in questa dialettica di scontro che c’era tra di noi, ed era una vera forza che ci dava proprio ragione dell’esistere. Venendo a crollare tutto questo, è chiaro che una forza morale come può essere la spinta dell’ideologia non può essere sostituita dal "Fai i soldi!", se è sostituita dal "Fai i soldi!", è una società in fallimento… Attenzione, io non sono contrario a chi si fa i soldi, quella è la concezione, in un certo senso cattolica, che la ricchezza è peccato… per l’amor del cielo, io mi trovo se mai su posizioni protestanti: chi s’è fatto i soldi, se li è saputo fare, possibilmente onestamente… ecco, questo mi sta benissimo. Però non può essere tutto lì, perché se è tutto lì, si creano dei diaframmi, si creano delle situazioni di franamento di alcuni altri valori che devono coesistere. Quindi: i giovani… i giovani si trovano in questo momento spaventoso di… vede, quando un fisico enorme come Heisenberg parla degli anni che verranno -ed è un saggio degli anni ’60- lui dice si tratterà di occupare… c’è uno scontro tra quello che è un’economia, un’idea di società, e quello che è una tecnologia che intanto va avanti per i fatti suoi. Il problema è che, in questo scontro, lo spazio non sia occupato o dall’una o dall’altra parte, ma che le due parti, nel momento di passaggio, convivano, perché altrimenti i danni sono enormi. Ecco, noi… fortunatamente stanno convivendo… ci sono alcuni danni, non enormi, e la profezia di Heisenberg in un certo senso si è rivelata saggia, perché ci ha evitato dei grossi errori.

CATARELLA: OK, grazie per la risposta al Sommo… Se voi siete d’accordo, facciamo un ultimo giro di domande e poi ce ne andiamo a mangiare. Che ne pensa il Sommo?

SOMMO: Facciamo l’ultimo giro.

CATARELLA: OK, sempre la scuola Copernico dice se nei suoi romanzi si è ispirato a fatti o a persone reali.

SOMMO: Mah, per ciò che riguarda i romanzi storici, i fatti sono sempre reali, i personaggi assai di meno. Per ciò che riguarda la serie di Montalbano c’è, come posso dire, la tramutazione e lo svisamento di alcuni fatti reali.

CATARELLA: Forse c’è l’ultimo intervento di Don Balduccio… Don Balduccio, la tua domanda, poi se nessuno ha altre domande da fare concludiamo, con l’intervento del Presidente.

DON BALDUCCIO: Buon giorno Sommo, le volevo fare una domanda, visto che ha dato delle risposte così generali riguardo al futuro della nostra società. Ha molto ascolto quest’ultima notizia della clonazione umana e soprattutto di questo medico israeliano che dice che dobbiamo superare le leggi di natura per andare avanti. Volevo la sua opinione su questa cosa che io ho trovato molto shoccante.

SOMMO: Guardi, io su questo sarò estremamente sincero. Io non credo che si possa in qualche modo arrestare (e poi arrestare perchè?, è una domanda, come posso dire, laterale) il progresso scientifico. Quel progresso scientifico che ci ha portato a quello che noi oggi siamo, e nel bene e nel male. Quindi io non credo a leggi o cose che possano limitare il progresso scientifico, sarebbe un errore gravissimo. Qual è il nodo, secondo me, del problema: è nel confine che ogni scienziato, ogni ricercatore deve proporsi rispetto alla propria coscienza. Vede, io sono terrorizzato all’idea della clonazione, e lo dico macchiettisticamente, per evitare di dire paradossalmente, all’idea di rivedere clonati personaggi che sono spariti per sempre, cioè rivedermi clonato Hitler davanti, perlomeno mi rende insonne, ma non credo che ci sarà uno scienziato -che proprio per sua natura è un essere razionale- che possa riclonare Hitler o chi ne fa le veci, quindi… Vede, l’energia atomica è un fatto positivo, su questo non c’è dubbio, è come l’abbiamo usata che diventa negativo, quando l’abbiamo usata per la bomba atomica su Hiroshima. Ma voi credete che uno scienziato sia così imbecille o così sordo alla realtà che lo circonda da riproporre una seconda Hiroshima? Può darsi che ci sia, ma io sono così convinto che proprio gli altri, quelli che gli stanno accanto in questa ricerca, a meno che non crediamo ai film di fantascienza dove c’è lo scienziato pazzo, che questo possa avvenire. Bisogna che la misura della ragione intervenga continuamente a fianco della ricerca scientifica. Lo sapete che è questo il discorso che facevo poco fa di Werner Heinsenberg? E’ proprio questo, cioè ... [buco nella registrazione, NdT] ... all’uno o all’altro, alla ragione o alla ricerca? Questo mi sembra fondamentale, quindi che poi ci sia uno che dice "Nessuno può impedire", è un estremista qualsiasi, credo che altri scienziati assai più seri proseguano la stessa ricerca indirizzandola al bene dell’uomo.

GUIDO: Attenzione, non abbiamo sentito…

CATARELLA: Don Balduccio, se vuoi ripetere la domanda, perchè non si è sentita… comunque si può introdurre lei, Presidente… Presidente? Intervenga lei…

PRESIDENTE: Sì, allora, io ho qui un’altra domanda che però faccio per conto terzi, ovvero da parte dei ragazzi della scuola Copernico: la scelta di ambientare le vicende nella Sicilia di fine '800 è riconducibile a particolari motivi?

SOMMO: Io penso che in quei quarant’anni che vanno dall’Unità d’Italia (1860-’61) alla fine dell’’800… tutto quello che ci portiamo adesso come Italia si è formato lì. Cioè a dire l’errore (gli errori), le colpe che ci sono state tanto del Nord quanto degli stessi siciliani -questo sia chiarissimo- siano nate lì, e sono problemi irrisolti che ci portiamo appresso ancora oggi. Quindi ho avuto l’idea di scrivere, ambientare romanzi in quel quarantennio, che è speculare in un certo senso all’epoca nostra, perché ci sono le conseguenze di quegli errori; mi sembra il momento più giusto dove io posso ambientare le mie storie. Fatta eccezione per Il re di Girgenti che invece è tutta un’altra storia che viene ambientata nel 1718 (come conclusione).

CATARELLA: Un saluto da parte di Cristina.

CRISTINA: Sono molto felice di sentire il Sommo finalmente dal vivo e vorrei ringraziarlo per tutte le emozioni che ho avuto dalla lettura dei suoi libri.

SOMMO: Io ringrazio lei, c’è uno scambio di cortesie che mi fa piacere.

CRISTINA: Purtroppo mi sono persa l’incontro a Roma, spero di poterla incontrare presto in uno dei prossimi incontri nella Capitale.

SOMMO: Io spero, attraverso questo sistema, di farvi sapere dei prossimi incontri nella Capitale.

CATARELLA: Presidente, un ultimo intervento?

PRESIDENTE: Giusto per salutare tutti e ringraziare di nuovo il Sommo per essere stato con noi.

SOMMO: Buon appetito a tutti, e grazie.

GUIDO: Ciao a tutti.
 
 

Trascrizione a cura di Paola Rossi




Last modified Wednesday, July, 13, 2011