Elogio

 

Magnifico rettore, illustri colleghi, cari studenti, signore e signori,

 

il Dottorato in Storia d’Europa - da me coordinato - ha istituito appositi incontri e specifici eventi, indirizzati in special modo ai dottorandi del triennio ma aperti anche a quanti attorno al Dottorato stesso animano lo scambio di idee e di interpretazioni su temi rilevanti sia nell’ambito più propriamente culturale che nel contesto dell’impegno sociale e civile.

 

Nel suo divenire, il dottorato ha accentuato la sua vocazione interdisciplinare scegliendo di volta in volta uno specifico percorso di ricerca e di dibattito da privilegiare e dunque, nell’anno che si compirà domani, il tema non poteva che essere il Risorgimento - e i Risorgimenti - mentre per il nuovo anno appena cominciato il filo rosso che guida il nostro lavoro sarà quello del rapporto - che sappiamo fecondo - fra storia e letteratura.

 

È in tale contesto che il Collegio ha scelto un autore della statura di Andrea Calogero Camilleri al quale mi accingo a rendere omaggio presentandolo – come previsto dal cerimoniale - vi confesso, non senza qualche difficoltà

 


 

 

 

Andrea Calogero Camilleri è nato a Porto Empedocle il 6 settembre 1925. È un autore ben noto, tradotto in molte lingue, conosciuto dalla Francia alla Germania, dalla Spagna alla Grecia, dalla Norvegia all’Olanda e alla Danimarca, letto in Spagna, in Polonia e in Russia, in Turchia e in Israele, in Estremo Oriente, negli Stati Uniti (insomma, è un autore che ha venduto 13 milioni di copie dei suoi libri, il sogno di ogni autore).

Si dice che tempo fa, tramite il consolato di Tunisi, uno sceicco di un’importante tribù nomade abbia chiesto se esistesse una traduzione in arabo (o almeno in francese) del suo libro Il corso delle cose. Il libro ancora non era stato tradotto ma, a seguito delle insistenze dello sceicco, è stata fatta una traduzione, in esemplare unico.

 

Per me è un grande onore, ma anche un grande impegno, presentare la figura e l’opera di un tale protagonista della cultura contemporanea, un abile narratore che è anche “archeologo” di documenti dimenticati, un fine esperto di sentimenti e passioni che nei suoi libri ha mostrato

 

fantasia, creatività, ironia, profonda conoscenza tecnica nell’impianto del racconto,

 

qualità che gli hanno anche consentito di percorrere negli anni molte strade professionali come sceneggiatore, regista, docente di regia, autore teatrale e televisivo, insomma un personaggio a tutto tondo che è non è facile definire in una breve nota.

 

Non mi soffermerò dunque sul suo enorme successo, né spetta a me analizzare le ragioni di questo successo, tanto meno vi parlerò della sua creatura più amata, Montalbano/Zingaretti, che lo ha visto trionfare nei palinsesti TV. Niente di tutto ciò potrò raccontarvi, perché lo sapete già!

 

Io qui, nella mia qualità di coordinatore del Dottorato, potrò solo seguire il filo della Storia che Camilleri inserisce nei suoi racconti, una storia fatta di tante storie, una storia che fa rivivere vicende sconosciute, episodi “locali” ma legati al più ampio contesto nazionale, momenti nascosti riportati alla luce affinché possano entrare in un comune patrimonio di conoscenza.

 

Intuizione geniale questa, di aver saputo praticare un campo minato - quello della Storia, non sempre gradita - che lui tuttavia ha reso appassionante per il grande pubblico al quale ha saputo offrire concetti anche importanti, complessi ma decodificati, per mezzo dei quali ha presentato la sua idea di Storia e la sua idea di Sicilia.

 

Il romanzo storico di Camilleri, come si può vedere dai numerosi titoli, scandisce epoche e protagonisti solo apparentemente minori,

 

che arricchiscono la già grande memoria della Sicilia

 

attraverso il racconto della sua terra e della sua gente, tra memoria e attualità, fra un passato grandioso e un presente complesso del quale non sembra intravedersi un futuro,

 

in cui uomini onesti e personaggi malvagi vivono il loro destino in una apparente immobilità,

 

sullo sfondo di scorci di grande bellezza, paesi dalle pietre antiche, vecchi borghi e chiese barocche, campagne arcaiche arse dal sole, e poi il mare - quel mare - che è parte integrante del vissuto dell’isola.

 

Da storica, cercherò di seguire la cronologia presente nelle opere di Camilleri,

 

 che segnano in maniera specifica il suo contributo alla cultura storica.

 

Il primo racconto al quale farò riferimento è Il re di Girgenti, che ci conduce nella Sicilia del700 per breve tempo sabauda in seguito al trattato di Utrecht (1713-1720). L’ispirazione è quanto mai suggestiva, Camilleri dice di avere attinto a un’idea suggeritagli da un libretto (Agrigento) trovato per caso in una libreria romana e narra la storia di un contadino, postosi a capo di una rivolta, che diventa re per sei giorni. Sedata la rivolta, l’uomo verrà ucciso.

 

 L’invito sotteso è quello di riflettere sulle molte facce del potere.

 

Ne La strage dimenticata, sullo sfondo dei moti risorgimentali, Ferdinando II, pressato dalla rivoluzione indipendentista, si impegna a promulgare una costituzione liberale - di tipo inglese, con le due camere - costituzione che in seguito negherà.

 

 A questo punto molti patrioti verranno condannati a  morte dalle autorità borboniche, Camilleri pubblica una lista di 114 nomi di “eroi minori” degni di essere ricordati, in linea con uno dei nostri temi preferiti, quello dei patrioti sconosciuti o dimenticati, da noi affrontato nel volume  Ripensando al Risorgimento.

 

Sempre da un fatto realmente accaduto trae origine La scomparsa di Patò - da poco abbiamo visto il film - in cui il protagonista, uno stimato bancario, nel corso della settimana santa, dopo avere interpretato il ruolo di Giuda, scompare per sempre lasciando dietro di sé domande che restano senza risposta. Si saprà poi che l’integerrimo Patò altro non è che un mascalzone che ha mentito alla sua famiglia e alla sua gente, una evidente metafora dell’ipocrisia sociale, del mondo corrotto della politica, segnata da ombre e da “misteri” che da sempre occultano la verità.

 

Ne La mossa del cavallo - liberamente ispirato al saggio di Franchetti del 1876 Politica e mafia in Sicilia  - il contesto è quello della Sicilia post-unitaria, afflitta dal continuo rincaro del prezzo del grano. Analogamente, ne La stagione della caccia,  il percorso narrativo è riferibile al tema dell’arretratezza dell’Isola, racchiusa, “fissata”, nel suo schema aristocratico/rurale.

 

Qui la nota centrale è costituita dal carattere degli isolani che Camilleri non esita a definire “tragediatori”, cioè maestri nel fondere la vita e la scena, l’amore e il dramma. Dall’abile racconto si disegna un vero e proprio affresco della vita economica e sociale dell’isola, dell’eterna influenza del regime feudale/latifondista, delle leggi unitarie che intervengono – bisogna dirlo - senza grande efficacia su quell’ambiente tanto singolare.

 

 

Il malgoverno dell’Isola torna ne Il birraio di Preston in cui un prefetto toscano, assai distante per mentalità e consuetudine dalla realtà siciliana (1864), offre l’occasione all’Autore di muoversi abilmente in una gradevole alternanza di note dialettali che vanno dal siciliano, al toscano, al romanesco.

 

Geniale, in questo lavoro, l’idea di proporre capitoli interscambiabili che consentono di mutarne la sequenza senza che la comprensione del romanzo ne risenta. Inoltre, ogni capitolo inizia con una frase in siciliano che è l’incipit o la conclusione di un romanzo celebre (da Sciascia a Manzoni). Camilleri così costruisce un gioco metaletterario estremamente godibile.

 

Nuove suggestioni ne La concessione del telefono. Qui l’autore attinge a un documento singolare, un decreto ministeriale del 1892 che concede una linea telefonica privata.

 

L’iter burocratico-amministrativo per ottenerla è delirante, ogni onesto pubblico ufficiale, pure raro, è destinato a essere sconfitto dal “sistema” di quella società immobile. I socialisti della concessione giocano lo stesso ruolo dei mazziniani presenti ne Il birraio ma il soggetto qui è ambientato un trentennio prima.

 

 

Ancora la Storia in altri due racconti, questa volta riferiti all’Italia fascista.

 

Nel primo, Il Nipote del Negus, siamo nella immaginaria Vigàta del 1929, in piena affermazione del regime.

 

L’Italia è alla ricerca di un “posto al sole” in Africa orientale. Quale migliore occasione della presenza sul territorio italiano di Grhane, nipote diretto del Negus? Nonostante tutte le accortezze usate dalle autorità, il principe Grhane non riuscirà a stare lontano dai guai.

 

 Il romanzo è scritto in forma di dossier - come La concessione del telefono e La scomparsa di Patò - in un susseguirsi di verbali, informative, articoli di cronaca locale e stralci di conversazioni notturne e diurne, carpite nei luoghi più diversi tra gli abitanti del paese. La trama è leggera, ironica e critica nei confronti di un’epoca che si consuma tra farsa e tragedia.  

 

Ne La presa di Macallè, ambientato nel 1935 durante la guerra di Etiopia, si narra la tragica storia di un bimbo dall’infanzia “manomessa” e di un pedofilo, in un ambiente di degradazione materiale e psicologica. L’autore presenta una realtà deteriorata, uno smarrimento esistenziale tra propaganda fascista e indottrinamento cattolico.  

 

In questi citati, come anche in altri lavori, Andrea Calogero Camilleri è stato un cantore appassionato della Storia

 

 nelle sue diverse accezioni, interessato alla storia politica come a quella sociale, alle vicende degli uomini comuni piuttosto che dei potenti.

 

Attratto e incuriosito dalla storia degli uomini e dei luoghi, ha saputo scavare nelle pieghe della Grande Storia ma è riuscito anche a costruire personaggi e situazioni immaginarie di grande suggestione.

 

Forse la cifra comune è in quella voglia di sapere, di portare alla luce le storie sommerse sottraendo alla polvere “documenti” - qualche volta inediti o poco frequentati dagli storici di professione - che invece arrivano al cuore delle questioni.

 

E poco importa se non tutto è dimostrabile, la sua conoscenza del contesto è tale da consentirgli di riempire gli spazi vuoti in maniera esemplare, attingendo all’immaginario, entrando con efficacia nelle mille sfumature di una società multiforme,

 

 in cui gli elementi necessari al cambiamento vengono percepiti come pericolosi piuttosto che come fattori di progresso.

 

 

Riprendendo i segni di una Sicilia antica, Camilleri ha tolto dall’oblio infinite realtà periferiche degne di essere raccolte e raccontate - pure attraverso il ricorso a una dimensione metafisica (qualche volta persino onirica) - affinché le vicende eroiche anche di uomini semplici rimangano per sempre nella memoria dei popoli.

 

In conclusione, Andrea Calogero Camilleri è un grande autore della letteratura italiana e insieme un grande figlio della Sicilia.