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Il saluto del Rettore Stefano Pivato

Il mio benvenuto alle autorità civili militari e religiose, ai docenti, ai ricercatori, al personale tecnico-amministrativo, ai lavoratori precari, alle studentesse e agli studenti, alle signore e ai signori presenti. Il benvenuto a questa inaugurazione assume un sapore particolare considerata l’eccezionalità del laureato e la presenza di Monica Guerritore. A loro va il mio ringraziamento per essere qui stamane a inaugurare il 507° anno accademico.
Contrariamente agli anni scorsi, e in accordo con le parti interessate, quest’anno abbiamo deciso di conferire alla inaugurazione un aspetto del tutto inedito. La relazione del rettore è sostituita da un saluto, mentre l’intervento del rappresentante del personale tecnico amministrativo e quello degli studenti sono rinviati alla prossima conferenza di ateneo. Anche alla luce dei profondi cambiamenti in atto che dal 1° gennaio prossimo vedranno il volto dell’ateneo completamente cambiato per quel che riguarda i suoi assetti istituzionali. L’applicazione delle Riforma Gelmini sta per giungere in porto con cambiamenti che mutano, non solo dal punto di vista formale, molteplici aspetti della vita universitaria e del suo governo.
In un quadro di crisi gravissima dell’intero sistema universitario, Urbino c’è. Anzi, ha superato il periodo di incertezze e difficoltà che ha caratterizzato il decennio trascorso. C’è nella arrestata emorragia che durava da anni degli studenti e nella capacità di attirare studenti da altre regioni: secondo i dati ufficiali forniti dal Miur Urbino è al terzo posto in Italia (preceduta da Ferrara e Siena) come percentuale di studenti provenienti da fuori Regione. C’è negli equilibri di bilancio dimostrati nei consuntivi degli ultimi anni. C’è nella contrazione del disavanzo cumulato che è passato da oltre 50 milioni a + 0.6 milioni. C’è anche nei dati Alma Laurea che nel suo rapporto pubblicato la scorsa primavera classificava l’Università di Urbino al 13° posto in Italia (su 80 atenei) come numero di studenti impiegati nel lavoro a un anno dal conseguimento del titolo di studio.
Insomma Urbino c’è in tutta una serie di elementi che hanno fatto considerare, poche settimane fa, a un autorevole quotidiano nazionale la nostra Università come un “caso di studio” esemplare.
Ma direi che Urbino c’è soprattutto in considerazione di due elementi.
Il primo. Dopo 9 anni di assoluta stasi il nostro ateneo può ripartire con il reclutamento del personale docente e di quello tecnico amministrativo.
Ovvio, dopo 9 anni ci troviamo in una situazione e in un mondo che è completamente cambiato e nel quale i margini per il reclutamento non sono più quelli di una volta. Resta il fatto che il nostro ateneo può ripartire. E di questo risultato va dato merito a tutti i lavoratori dell’Università, di tutte le categorie e di tutti e livelli. E, ovviamente, alla città che in questi anni ci ha sempre sostenuto e incoraggiato.
Il secondo. Il processo tanto travagliato di statalizzazione, si è concluso con successo E’ di pochi giorni fa la lettera del Ministro Profumo che ci comunica che la statalizzazione, a seguito dell’ultima relazione ANVUR, è stata conseguita “con pieno successo”. Si tratta – consentitemelo – di un traguardo storico.
Certo molti problemi devono ancora essere risolti e permangono aree di sofferenza. Il blocco delle assunzioni durato sostanzialmente 10 anni, la limitatezza delle risorse trasferite dallo Stato, i continui vincoli normativi che condizionano la gestione continuano a produrre pesanti conseguenze negative. Governare un ateneo in un momento di crisi come quello attuale non è impresa facile. Ma soprattutto è arduo declinare il sapere e la conoscenza in un momento in cui la cultura e l’istruzione sono in forte stato di sofferenza. E questo quadro aumenta la la responsabilità di chi opera all’interno dell’Università e crede nel senso di missione dell’istruzione, dell’educazione e della cultura. E ci crede in maniera ostinata, testarda e irriducibile.
In un momento in cui buona parte delle agenzie del sapere hanno abdicato al loro ruolo, l’Università deve ergersi a tutrice del sapere e della ricerca. Tanto più oggi di fronte al fatto che i grandi laboratori culturali e civili del paese si sono inariditi.
Questo aumenta le responsabilità dell’Università come luogo del sapere, della conoscenza, della ricerca. E, consentitemelo, di un aumentato senso civico e civile che vasti settori del nostro paese sembrano avere smarrito.
Per questo la giornata di oggi va considerata più che un momento di festa un momento di riflessione, di richiamo a compiti di responsabilità. Se posso riassumere, il significato di questa giornata sta proprio in questo: invocare il senso e le responsabilità di chi è chiamato a uno dei mestieri più belli e difficili: quello di insegnare.
Qualche giorno un autorevole esperto del mondo della scuola, dalle pagine di un autorevole quotidiano nazionale, lanciava un grido di allarme sulla incapacità da parte di un pubblico esteso, soprattutto giovanile, di capire una certa idea di cultura. Quella cultura che per secoli ha prodotto aspettative, risposte e visioni del mondo. E che oggi pare essere tollerata come un contributo estetizzante a stili di vita concentrati su efficienza, produttività e danaro. Oggi siamo qui tutti con convinzione per smentire previsioni catastrofiste. Per rivendicare, in un mondo che cambia i suoi punti di riferimento, il ruolo della cultura.
Questo faremo stamane grazie a una delle espressioni più alte della letteratura e una delle voci più significative e appassionate del teatro.
Con questo auspicio oggi, 15 novembre 2012, dichiaro aperto il 507° Anno Accademico dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

Stefano Pivato

Discorso di inaugurazione dell'Anno Accademico 2012/2013, con il conferimento della Laurea Honoris Causa in Lingue per la didattica, l’editoria, l’impresa ad Andrea Camilleri, Urbino, 15 novembre 2012 (testo pubblicato su UniurbPost)


 
Last modified Sunday, November, 18, 2012