Titolo

Il giorno della civetta

Autore

Leonardo Sciascia

Data prima edizione

1961

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Editore

Einaudi

Collana

 

Data edizione letta

2002

Pagine

137

Euro

7,00

Mini recensione

Un libro di quelli che hanno fatto la storia, magari anticipandola, eppure, come tanti libri "datati", ovvero legati ad un preciso contesto storico, leggendoli sembra quasi che avendo perso quel legame con la storia si sia perso un treno e che la sua lettura oggi non possa che essere "letteraria", avulsa dal con-testo di cui sopra. ma anche questo approccio risulta incespicante, poiche' da quel legame con la storia il lettore, ancor memore, non puo' slegarsi.
Del suo valore letterario colpisce invece in primis lo stile, schietto e pulito, cesellato nelle scelte ("erano, invece, insieme un pezzo di questione meridionale"), dove il dialetto "puro" Entra per brevi tratti ("ingiuria", "barruggeddu") e significativamente illustra la realta' vista da chi siciliano non e' (ma sta leggendo).
Cosi' come piu' magistralmente la sicilianita' si rivela nella costruzione e ancor piu' nei ragionamenti, nei discorsi pur scritti in un italiano impeccabile, tradendo la un modo di concepire la vita e una scala di valori che al "continentale" risulta ancora misterioso.
Di questo mistero il lettore acquista tuttavia consapevolezza, e gia' questo e' sufficiente a farlo sentire moralmente distante dal "continentale medio", qui rappresentato dalle ragazze di parma, che della sicilia hanno una visione filmica, romanticamente falsa che quasi diventa preliminare erotico (bellodi riferisce un episodio di prepotenza mafiosa che le ragazze "trovarono delizioso"; poi "mangiarono, bevvero whisky e cognac, ascoltarono jazz, parlarono ancora della sicilia, e poi dell'amore, e poi del sesso").
A parlare di morale alla fine di questo libro si rischia di sconfinare nel banale, nell'ovvio, persino nella piaggieria.
Lle conclusioni che il lettore trarra' dal racconto (cosi' lo stesso sciascia lo definisce, anzi, un "per esempio") potranno variare a seconda della sua condizione e localizzazione, poiche' e' ben difficile dedurne ne' un barlume di speranza (bellodi ci si "rompera' la testa") ne' un grido di disperazione (lo stesso capitano bellodi benche' uomo del nord ha saputo penetrare e comprendere la realta' siciliana cosi' bene da riuscire a giocare ad armi pari con il suo avversario, il mafioso arena che ammirativamente lo chiamera' "uomo", non "ominicchio").Che poi bellodi sia il capostipite di tanti eroi di certa letteratura e certa cinematografia dei decenni successivi (e anche dell'antimafia...) va da se' e altri, meglio di me, ne hanno gia' detto a palate.