Movente a doppio taglio
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Movente a doppio taglio



Il fu Attilio Gambardella, parlandone da vivo, non era stato propriamente un omo di bell'aspetto. Sciancato e stampelluto, un occhio a Cristo e l'altro a San Giovanni, enormi orecchie a sventola, mani di nano e piedi di clown, la bocca tanto storta che uno non capiva mai se piangeva o rideva. Ma ora che stava stinnicchiato sul pavimento della cucina, massacrato da una trentina di coltellate in faccia, al petto, alla pancia, all'inguine, pareva che la morte avesse in qualche modo voluto cancellarne la bruttezza, lo sconciamento che l'assassino aveva operato sul corpo del pòviro Gambardella lo metteva a paro di tanti altri morti scannati. Nella cucina non ci si poteva cataminare senza rischiare di sporcarsi di sangue, ce n'era persino sullo schermo del televisore acceso sul quale passavano le immagini del telegiornale del mattino. L'arma del delitto, un coltello tagliacarte col manico d'osso, era stata gettata dentro il lavello, la lama aveva ancora tracce di sangue, il manico era stato invece accuratamente puliziato per far scomparire le impronte digitali.
"Allora?" spiò Montalbano al dottor Pasquano.
"Allora che?" s'inviperì l'altro. "Vuole sapere di cosa è morto? Indigestione di fichi d'india."
Quella matina però Montalbano non aveva gana d'attaccare turilla col medico legale.
"Volevo semplicemente conoscere..."
"L'ora della morte? Posso sgarrare di qualche secondo o devo spaccare il minuto?"
Il commissario allargò le braccia sconsolato. Al dottore, nel vederlo così sorprendentemente remissivo, passò il piacere dell'azzuffatina.
"E vabbè. Tra le otto e le undici di aieri a sira. La prima coltellata gliela hanno data alle spalle, lui ha avuto la forza di voltarsi e la seconda l'ha pigliato in petto. E' caduto, a mio parere era già morto. Le altre coltellate sono state inferte mentre stava a terra, per spasso o per sfogo dell'assassino. E' contento?"
S'avvicinò Fazio che si era fatto una taliàta in tutta la casa.
"A occhio e croce, non sapendo quello che c'era prima, non mi pare cosa di furto, non deve aver portato via niente. Nel cassetto del comodino ci sono due milioni in contanti. Dintra a un cofanetto sul settimanile ci sono anelli, orecchini, braccialetti."
"E perché poi un ladro avrebbe dovuto dargli tante coltellate da indolenzirsi il braccio?" s'intromise Pasquano.
Nella cucina trasì Galluzzo.
"Sono stato a casa di Filippo, il figlio di Gambardella. La mogliere mi ha detto che stanotte non è rientrato."
"Cercalo" disse il commissario.

La casa dov'era successo il fatto, piuttosto periferica, era di proprietà di Gambardella e consisteva in un fabbricato a un piano. Sotto c'erano due magazzini, un grossista di legumi e un ferramenta; sopra due appartamenti, quello dove ci abitava l'ammazzato e l'altro, sullo stesso pianerottolo, affittato alla signora Praticò Gesuina, vedova Tumminello. Era stata lei a scoprire l'omicidio - aveva spiegato Fazio a Montalbano - e ne aveva avuto una tale scossa che era svenuta subito dopo aver chiamato aiuto dal balcone. Che ci andasse piano, il commissario: il grossista di legumi li aveva avvertiti che la signora aveva il cuore malato assa'. Fu per questo che il dito di Montalbano sul campanello ebbe la stessa leggerezza di una farfalla che si posava su un fiore. La porta venne aperta da un parrino con faccia di circostanza. Vedere, oggi come oggi, un prete con la tonaca fa impressione, in genere vestono o come impiegati di banca o come punk, ma a vederselo davanti in quell'appartamento e con quell'espressione, il commissario si fece persuaso che alla signora Praticò fosse venuto a dare l'olio santo.
"E' grave?" balbettò.
"Chi?"
"La vedova Tumminello."
"Ma quando mai! Sono venuto a trovarla per conforto, ha provato una forte emozione. S'accomodi. Lei è il commissario Montalbano, vero? Conosco, conosco. Io sono don Saverio Colajacono. Gesuina è una mia pia e devota parrocchiana."
Non c'era dubbio che fosse pia e devota. Nell'anticamerina, il commissario contò un Crocefisso a parete, un'Addolorata, e un sant'Antonio da Padova sul tanger. Altre due statuette non ebbe tempo d'identificarle.
"Gesuina si è messa a letto" fece patre Colajanni precedendolo.
La càmmara da letto, con le ante del balcone semichiuse, era praticamente una cripta, alle pareti decine di santini appesi con puntine da disegno e sotto ad ognuno un lumino acceso appoggiato a un'apposita mensoletta. Di colpo, a Montalbano venne una botta d'accùpa, sudò, sentì il bisogno di slacciarsi il bottone del colletto. Una specie di balena ansante e lamentiosa giaceva su un letto a due piazze, la copriva una coperta a fiori rossi che lasciava vedere solo la testa di una cinquantina spettinata sì, ma dalla faccia rosea e liscia.
"Gesuina, ti lascio in buone mani, ripasso più tardi" disse il parrino e, fatto un mezzo inchino al commissario, niscì. Montalbano s'assittò su una seggia ai piedi del letto. Sul comodino un lumino illuminava la fotografia di un tale con una faccia da delinquente da manuale lombrosiano: certo il signor Tumminello, colui che morendo aveva fatto vedova Gesuina Praticò.
"Se la sente di rispondere a qualche mia domanda?" principiò il commissario.
"Se il Signore m'assiste e la Madonna m'accompagna..."
Il commissario sperò ardentemente che il Signore e la Madonna fossero in quel momento disponibili: non se la sentiva di stare in quella càmmara un minuto in più del necessario.
"E' stata lei a scoprire il cadavere, vero?"
"Sì."
"Mi dica com'è andata."
"Cosa longa è."
"Non si preoccupi, mi racconti."
Soffiando dalle narici come una vera balena, la fìmmina si susì a mezzo, tenendo sempre pudicamente la coperta stretta su quella piazza d'armi ch'era il petto.
"Da dove accomincio?"
"Da dove vuole lei."
"Una ventina d'anni fa, che io già abitavo in questa casa col mio pòviro marito Raffaele..."
Il commissario si maledisse per aver dato libertà storica e cronologica alla vedova, ma non c'era niente da fare, l'aveva voluto lui.
"... Attilio ebbe uno spaventoso incidente di macchina."
Attilio. Si chiamavano per nome, la signora Gesuina e l'ammazzato.
"La moglie morì, lui ebbe le gambe fracassate e Filippo, il figlio che allora aveva dodici anni, si spaccò la testa e restò un mese tra la vita e la morte. L'anno appresso una polmonite doppia si portò via il mio pòviro Raffaele. Cosa vuole che le dica, signor commissario? E vìditi oggi e vìditi domani, salùtati oggi e risalùtati domani, andò a finire che unimmo le nostre solitudini."
La frase, evidentemente letta su un qualche romanzo rosa, ebbe il potere di sviare completamente Montalbano.
"Diventaste amanti?"
La vedova sbarracò gli occhi, si portò le mani a tapparsi le orecchie e soffiò dagli sfiatatoi il suo sdegno. I quaranta e passa lumini vacillarono, rischiarono di spegnersi.
"No! Ma che le viene in testa! Io fìmmina onorata sono! Tutto il paìsi mi conosce! Mai Attilio mi toccò e io mai lo toccai!"
"Mi perdoni, signora. Le domando scusa" fece il commissario atterrito all'idea che la càmmara potesse piombare nello scuro.
"Volevo dire che principiammo a tenerci compagnia tutto il giorno. Certe volte Attilio, che già nisciva picca e nenti, rimaneva a casa per settimane, a causa dei dolori alle gambe, soprattutto quando cangiava tempo. Allora io gli cucinavo, gli mettevo a posto le cose... tutto quello che può fare una fìmmina di casa."
"Come campava?"
"Io ho la pinsiòne che mi lasciò il pòviro Raffaele."
"No, dicevo lui, Gambardella."
"Ma Attilio era ricco! Qui a Vigàta aveva una decina di magazzini, una quinnicina d'appartamenti e altra roba aveva a Fela. Non aveva bisogno di una pinsiòne miserabile, lui!"
"E i rapporti col figlio com'erano?"
Punto dolente. Stavolta una decina di lumini si spensero, Montalbano tremò.
"Lui l'ammazzò!"
"Ma ne è certa, signora?"
"Lui, lui, lui!"
I lumini si spensero tutti contemporaneamente. A tentoni il commissario raggiunse il balcone, spalancò le ante.
"Signora, ma si rende conto di quello che dice?"
"Certo che mi rendo conto! E' come se l'avessi visto con questi occhi!"
La balena era squassata da sussulti e tremiti e la coperta pareva un campo di papaveri agitato dal vento.
"Si spieghi meglio."
"Questo Filippo è un disgraziato, uno sdilinquente, uno senza arte né parte che a trent'anni campa sulle spalle di suo patre! E si è voluto maritare, macari! A farla brevi, non passava simàna che non s'apprisintava qua a domandare soldi a suo patre. E quello a dare, a dare. A mia diceva che provava pena per suo figlio, se era così era tutta colpa sua, la responsabilità dell'incidente diceva che cadeva sopra a lui, che suo figlio si era fatto male al cervello e non si poteva più applicare a nisciuna cosa perché non ci stava con la testa. E quel grandissimo cornuto del figlio se ne approfittava. Finalmente ad Attilio sono arrinisciuta a fargli capire che razza di farabutto approfittatore fosse Filippo. E Attilio ha cominciato a dargli meno soldi, qualche volta a negarglieli. E allora quello sdilinquente è arrivato a minazzare suo patre! Una volta le mani sopra gli mise! Aieri a sira..."
S'interruppe, si mise a singhiozzare. Tirò fora da sotto il cuscino un fazzoletto grande quanto un asciugamani, si soffiò il naso. I vetri del balcone tintinnarono.
"Aieri a sira Attilio venne a mangiare qua da me, poi andò a casa sua, disse che voleva vedere una cosa in televisione e poi si andava a corcàre. Io la televisione non la voglio. Fa vidìri a tradimento cose che una fìmmina onorata arrussìca!"
Montalbano non voleva addentrarsi in una discussione di etica televisiva.
"Mi stava dicendo che ieri sera..."
"La mia cucina e quella di Attilio sono divise da un muro. Stavo lavando i piatti quando sentii le voci di Attilio e di Filippo. Si stavano azzuffando."
"E' proprio sicura che si trattava della voce del figlio?"
"La mano sul foco!"
"Ha sentito parole precise, frasi?"
"Certo. Ho sentito Attilio che diceva: "Niente, non ti do più manco un soldo!" e Filippo che gridava: "E io t'ammazzo! T'ammazzo!". Poi c'è stato un rumore di... di..."
"Colluttazione?"
"Sissignore. E una seggia che cadeva per terra. Io avevo un core d'asino e uno di lione. Non sapevo che fare. Ma siccome appresso non sentii più niente, solo la televisione, mi rassicurai. E invece..."
Ai singhiozzi stavolta s'unirono gemiti e mugolii.
"Secondo lei come ha fatto a entrare in casa Filippo?"
"Aveva la chiave! Mille volte gliel'ho raccomandato ad Attilio di farsela ridare, ma quello niente!"
"Come ha scoperto quello ch'era successo?"
"Stamatina sono andata alla prima Messa, ma siccome che dovevo comunicarmi, non sono trasùta in cucina a pigliare il cafè. Quando sono tornata, che manco erano le sette, ho sentito che la televisione nella cucina d'Attilio funzionava ancora. E questo mi parse strammo, lui la televisione di matina non la taliava mai. Allora sono andata di là e..."
"E chi le ha aperto?"
La vedova Tumminello, che s'apprestava nuovamente a sprofondare nei singhiozzi, s'imparpagliò.
"Nessuno. Ho la chiave."
Squillò il campanello dell'ingresso.
"Vado io" fece il commissario.
Era Fazio. Allato a lui un trentino sicco sicco, coi pantaloni stazzonati, la giacca sformata, i capelli arruffati, la barba lunga. Montalbano non fece in tempo a raprire la bocca, alle sue spalle risuonò un grido altissimo.
La vedova Tumminello, che oltre a quella per i romanzi rosa doveva avere una certa inclinazione per la tragedia, si era alzata e ora indicava il picciotto a braccio teso, indice tremante.
"L'assassino! Il patricida!"
E crollò a terra, svenuta. Parse che una leggera scossa di terremoto avesse investito il fabbricato.
"Leviamoci di qua" fece Montalbano preoccupato "portalo al commissariato."

"Dunque lei non sapeva che suo padre era stato assassinato?"
"Nonsi."
"Ma se appena entrato in casa la prima cosa che hai detto è stata: "è vero che papà?...". E ti sei messo a piangere" intervenne Fazio.
"Vero è. Ma il fatto di papà me lo disse quello che ha il negozio di ferramenta che mi vide trasìri nel portone."
"Ieri sera ha avuto un litigio con suo padre?"
"Sissi."
"Perché?"
"Non mi ha voluto dare i soldi che gli domandavo."
"Perché non glieli ha voluto dare?"
"Disse che non voleva mantenermi più."
"E tu l'hai minacciato di morte. L'hai detto e macari l'hai fatto" intervenne ancora Fazio.
Montalbano lo taliò malamente. Non gli piaceva essere interrotto, e non gli pareva manco giusto che a uno venisse dato del tu solo perché si trovava in posizione d'inferiorità. Ma Filippo Gambardella reagì appena alle parole di Fazio, era apatico, assente.
"Non sono stato io."
A bassa voce.
"Qual è il motivo che stamattina l'ha spinto a tornare da suo padre? Credendolo ancora vivo, voleva domandargli ancora quei soldi che non le aveva dato la sera avanti?"
"Non era questa la ragione."
"E qual era?"
Filippo Gambardella parse impacciato, murmuriò qualcosa che il commissario non capì.
"Più forte, per favore."
"Volevo domandargli pirdòno."
"Di che?"
"Di avergli detto che se non mi dava i soldi l'ammazzavo."
"Ma non avevate litigato altre volte, prima?"
"Negli ultimi tempi, sì. Ma io, prima, non gli ho mai detto che l'ammazzavo."
"Senta, dopo il litigio dov'è andato?"
"Alla taverna di Minicuzzo. Mi sono imbriacato."
"Quanto tempo c'è rimasto?"
"Non lo so."
"E poi, dopo che si è ubriacato, dov'è andato?"
"Non lo so."
"Dove ha dormito?"
"Non lo so."
Non è che non volesse rispondere alle domande, Montalbano sentiva ch'era sincero.
"Ha avuto modo di cambiare vestito?"
Filippo Gambardella lo taliò intronato.
"Stamattina, prima di andare da suo padre, è passato da casa? Si è cambiato di vestito?"
"E che dovevo cambiare? Questo solo ho."
"Da quand'è che non mangia?"
"Non lo so."
"Portalo di là" disse il commissario a Fazio "fallo lavare, fagli mandare qualcosa dal bar. Poi ripigliamo."

"Darrè un quadro che Gambardella teneva nella càmmara da letto ho trovato questa" disse Galluzzo, tornato dalla casa dell'ammazzato che aveva perquisita.
Era una busta gialla, di tipo commerciale. Sopra c'era scritto: "Da aprirsi dopo la mia morte". Dato che lo scrivente era inequivocabilmente morto, il commissario la raprì. Poche righe. Dicevano che Gambardella Attilio, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, lasciava tutto quello che possedeva, case, magazzini, terreni e denaro liquido al suo unico figlio Gambardella Filippo. La data era di tre anni avanti. Trasì in quel momento Fazio.
"Ha mangiato e s'è addormentato. Che faccio?"
"Lascialo dòrmiri" disse il commissario pruendogli il testamento.
Fazio lo lesse, fece la bocca storta.
"E questo è un bel carrico da undici su Filippo Gambardella" commentò.
"E cioè?"
"E cioè abbiamo il movente."

"Mi chiamo Gianni Puccio" disse il quarantino distinto e di buone maniere che aveva domandato di essere ricevuto dal commissario.
"Piacere. Mi dica."
"In paìsi s'è sparsa la voce che avete arrestato a Filippo Gambardella per l'omicidio del padre. E' così?"
"Non è così" rispose asciutto e grevio Montalbano.
"Allora l'avete rimesso in libertà?"
"No. Non è meglio se lei mi dice quello che è venuto a dirmi senza fare domande?"
"Forse è meglio" ammise Gianni Puccio tanticchia intimorito. "Dunque, aieri a sira verso le otto e mezzo, le nove meno un quarto, la mia macchina - faccio il rappresentante di commercio - si è fermata proprio davanti alla casa di Gambardella che conosco da anni. Pure Filippo suo figlio conosco. Sono sceso e ho aperto il cofano. In quel momento ho sentito la voce di Attilio Gambardella, alterata. Ho alzato gli occhi. Attilio era sul balcone e gridava a qualcuno ch'era in strada: "Non farti vedere più! Solo dopo la mia morte avrai i miei soldi!". Poi è rientrato e ha chiuso il balcone."
"Ha visto a chi si rivolgeva?"
"Certo. A suo figlio Filippo. Ora siccome in paìsi dicono che lui l'ha ammazzato dopo una discussione, io in coscienza posso dichiarare che le cose non sono andate così."
"Lei mi è stato molto utile, signor Puccio."

"E che significa? Non significa niente" disse Fazio. "Va bene, non l'ha ammazzato durante la discussione, ma l'ha fatto dopo. E' andato alla taverna, s'è imbriacato, il vino gli ha dato coraggio, è tornato da suo patre e l'ha ammazzato."
"Tu ti sei amminchiato che è stato lui, vero?"
"E sissignore!"
"Potrebbe essere. Gallo è andato a interrogare Minicuzzo, il proprietario della taverna. Dice che Filippo è arrivato verso le nove, si è scolato un fiasco da due litri ed è uscito che non erano manco le dieci e mezzo."
"E perciò, vede? Aveva tutto il tempo che voleva per tornare narrè e accoltellare suo patre. Il dottor Pasquano ha detto che il delitto è avvenuto tra le otto e le undici, no? Il conto torna."
"Già."
"Ma si può sapere che cosa non le quatra?"
"A lume di logica, non mi quatra il fatto che non si sia pigliato i due milioni che c'erano in casa. Aveva bisogno di soldi. Ammazza il padre. E perché, avendo fatto trenta non fa trentuno portandosi via i due milioni? E poi come si fa a dare trenta coltellate a uno e a non avere manco la macchia più piccola sul vestito? Tu te lo ricordi quanto sangue c'era in cucina?"
"Dottore mio, che ha, voglia di babbiare? Se lei va a contare questi suoi dubbi al giudice quello le ride in faccia. I due milioni non se li è pigliati perché non è stata un'ammazzatina premeditata, quando ha visto suo padre morto, passata la raggia che gli ha fatto dare trenta coltellate, si è scantato, gli è venuto l'appagno ed è scappato. In secundis, o è tornato a casa, contrariamente a quanto dice la mogliere, e si è cangiato i vestiti lordi di sangue, o se li è fatti dare da qualche amicuzzo di taverna e i suoi li ha gettati a mare."
"Quindi tu sei convinto che avesse i vestiti lordi di sangue?"
"Non c'è dubbio."
"Seguimi attentamente, Fazio. Il signor Puccio è venuto a dirci che ha visto Filippo verso le otto e mezzo, nove meno un quarto, davanti alla casa di suo padre. E Gambardella era ancora vivo. Minicuzzo dice che Filippo arrivò alla taverna alle nove. Quindi, se aveva ammazzato suo padre tornando indietro subito dopo ch'era stato visto da Puccio, non avrebbe mai avuto il tempo di andare a casa sua e cangiarsi i vestiti se già alle nove era da Minicuzzo. E' ragionato?"
"Sissignore."
"Allora viene a dire che l'omicidio è stato commesso dopo che si era imbriacato, giusto? E' un'ipotesi che tu stesso hai fatto."
"Sissignore."
"Ma se ha agito così, le cose cangiano. Non è più un'ammazzatina d'impeto nel corso di una lite. E' una cosa pinsàta e ragionata. E quindi non avremmo trovato i due milioni nel cassetto. E dire che aveva il massimo interesse a farli scomparire, ci avrebbe obbligati a pinsare a un furto."
"Chi parla di furti?" fece Mimì Augello allegramente, trasendo nell'ufficio del suo superiore.
Montalbano s'infuscò.
"Mimì, tu hai una faccia veramente stagnata! Non ti sei fatto vìdiri per tutta la matinata!"
"Ma non ti hanno detto niente?" disse Mimì imparpagliato.
"Che mi dovevano dire?"
"Stamatina presto" spiegò paziente Augello "il commendatore Zuccarello è venuto a denunziare un furto nella sua casa, quella vicina alla stazione vecchia. Lui e la moglie avevano dormito a Montelusa, dalla figlia maritata. Quando sono tornati, si sono accorti del danno. Hanno rubato l'argenteria e qualche gioiello. Dato che tu eri impegnato per la facenna Gambardella, me ne sono occupato io."
"Allora se la cosa è in mano tua, i latri possono dòrmiri tranquilli e i signori Zuccarello è meglio che facciano ciao ciao all'argenteria" commentò maligno il commissario.
Mimì Augello, poco elegantemente, chiuse la mano destra a pugno, allungò il braccio, vi sovrappose con forza la mano mancina all'altezza del gomito.
"Tiè! Io il ladro l'ho già fermato."
"E come hai fatto?"
"Salvo, i ladri d'appartamento in tutta Vigàta sono appena tre e ognuno travaglia con una tecnica particolare. Tu queste cose non le sai perché non te ne occupi, il tuo ciriveddro affronta solo questioni di alta speculazione."
"Peppe Pignataro, Cocò Foti o Lillo Seminerio?" spiò Fazio che invece di Vigàta tutta conosceva vita, morte e miracoli.
"Peppe Pignataro" rispose Augello. E poi, rivolto al commissario:
"Vuole parlare con te. E' di là, nel mio ufficio."

Cinquantino, minuto, segaligno, vestito con proprietà, Pignataro si susì appena vide il commissario. Questi chiuse la porta dell'ufficio e andò a mettersi nella poltrona di Mimì.
"Comodo, comodo" disse al ladro.
Pignataro s'assittò di nuovo, dopo aver fatto un mezzo inchino.
"Tutti sanno che di lei ci si può fidare."
Montalbano non parlò, non si cataminò.
"Sono stato io a fare il furto."
Montalbano aveva la stessa immobilità di un manichino.
"Solo che il commissario Augello non ce la farà a dimostrarlo. Non ho lasciato impronte, l'argenteria e i gioielli sono ammucciati in un posto sicuro. Il commissario Augello stavolta ci si rompe, rispetto parlando, le corna."
A chi parlava? Il commissario fisicamente c'era sì nella càmmara, ma pareva imbalsamato.
"Però se il commissario Augello mi piglia di punta e non mi lascia di corto, io non posso arriminàrmi in nessuna maniera, non posso andare da chi devo andare e farmi dare i soldi in cangio dell'argenteria e dei gioielli. Mentre io di questi soldi ne ho bisogno e con urgenza. Mi crede se le dico una cosa?"
"Sì."
"Mia mogliere è allo stremo, si può informare. I medicinali che le servono non li passano, li devo accattare io e costano un occhio della testa."
"Che vuoi?"
"Che lei parla al dottor Augello, se mi lascia in pace per un mese. Doppo, giuro che mi costituisco."
Si taliarono a lungo, in silenzio.
"Proverò a parlarci" fece Montalbano susendosi.
Di scatto, Peppe Pignataro balzò dalla seggia, si chinò, tentò di pigliare la mano di Montalbano per baciargliela. Il commissario si scansò a tempo.
"Le voglio dire un'altra cosa. Aieri a sira, verso le nove, mi sono messo a orliàre torno torno la casa di Zuccarello per vedere come s'apprisintava la facenna. Sapevo che il commendatore e so' mogliere erano partiti in macchina. Verso le undici è comparso sulla strata Filippo Gambardella. Lo conosco bene. Non si reggeva sulle gambe, era imbriaco cotto. A un certo momento non ce l'ha fatta ad andare avanti e si è stinnicchiato in terra allato alla casa di Zuccarello. Si è addormentato. Dormiva ancora alle quattro del matino, quando sono ripassato dopo il furto."
"Perché me lo dici?"
"Per ringrazio. E per scansarla da uno sbaglio. In paìsi dicono che lei ha arrestato a Filippo per l'omicidio del patre e io volevo..."
"Grazie" disse Montalbano.

"Come ci regoliamo con Filippo Gambardella?"
"Lascialo libero."
Fazio esitò, poi allargò le braccia.
"Come comanda."
"Ah, senti, chiamami il dottor Augello."
A convincere Mimì ci mise più di mezz'ora, Peppe Pignataro ebbe campo libero per un mese. Tra una cosa e l'altra, si erano fatte quasi le due e al commissario era smorcato un pititto che gli annebbiava la vista.

"Di là c'è posto?" spiò Montalbano trasendo nella trattoria San Calogero.
"Di là" veniva a significare un cammarino piccolo, con due tavolini.
"Non c'è nessuno" lo rassicurò il proprietario.
Si fece per primo un abbondante antipasto di gamberetti e purpiteddri in salsetta, appresso si sbafò quattro spigole giganti che ci volevano occhi per taliarle.
"Le porto un cafè?"
"Dopo. Intanto, se non disturbo, mi farei una mezzorata di sonno."
Il proprietario accostò i battenti e il commissario si addormentò, la testa appoggiata sulle braccia intrecciate sopra il tavolino, in bocca ancora il sapore del pesce freschissimo, nelle narici l'odore della buona cucina, nelle orecchie il lontano tintinnare delle posate che venivano lavate. Alla mezz'ora spaccata il proprietario gli portò il caffè, il commissario si diede una rilavata, s'asciucò la faccia con la carta igienica e s'avviò al commissariato canticchiando. Oltretutto la giornata era una meraviglia di Dio.
Sulla porta l'aspettava Fazio.
"Che c'è?"
"C'è che da me c'è la vedova Tumminello. Vuole parlare con lei, mi pare agitata."
"Va bene."
Ebbe appena il tempo d'assittarsi alla scrivania che la luce della càmmara si dimezzò. La vedova, con la sua enorme stazza, occupava tutto il vano della porta.
"Pozzo trasìri?"
"Ma certo!" fece galante il commissario indicandole una seggia la quale penosamente scricchiolò non appena la fìmmina si fu assittata.
Lei si sedette in pizzo, la borsetta sulle ginocchia, le mani guantate.
"Lei mi deve fare pirdonanza, signor commissario, ma io quando una cosa ce l'ho qua..."
Si portò una mano al cuore.
"... ce l'ho macari qua."
La mano raggiunse la bocca.
"E a me piace che questa stessa cosa me la faccia arrivare qua" fece il commissario toccandosi le orecchie.
"è vero che lei ha fatto andare a casa a Filippo?"
"Sì."
"E pirchì?"
"Non ci sono prove."
"Come?! E tutto quello che le contai io? La sciarra, le parole grosse, la caduta della seggia?"
"C'è un testimone che dice che quando Filippo lasciò la casa il signor Gambardella era ancora vivo."
"E chi è questo grandissimo cornuto? Sicuramente un complice, un amicuzzo del patricida! Guardasse, commissario, che tutto il paìsi è convinto che fu lui e tutto il paìsi si meravigliò che lei l'arrilassò!"
"Signora, io devo badare ai fatti e non alle parole. A proposito di fatti, lo sa che nel dopopranzo m'ero messo in testa di passare da lei?"
La signora Praticò Gesuina vedova Tumminello che fino a un attimo prima aveva ampiamente gesticolato, tanto che la borsetta le era caduta a terra due volte, si paralizzò di colpo. Socchiuse gli occhi.
"Ah, sì? E che vuole da me?"
Montalbano raprì il primo cassetto della scrivania, tirò fora una busta commerciale, la mostrò alla vedova.
"Farle vedere questo."
"E che è?"
"Il testamento, le ultime volontà di Gambardella."
La vedova impallidì, ma talmente tanto che al commissario la sua pelle parse quella di una medusa morta a ripa di mare.
"L'avete tro..."
Si fermò, mordendosi le labbra.
"Eh, sì. Abbiamo avuto più fortuna di lei, signora, che certamente l'avrà cercato ogni volta che Gambardella gliene dava occasione."
"E che interesse avrei avuto, io?"
"Non so, magari semplice curiosità. Guardi, riconosce la grafia di Gambardella?"
Le avvicinò la busta.
"Da aprirsi dopo la mia morte" compitò la fìmmina. E aggiunse: "è la sua".
"Se avesse trovato il testamento, avrebbe avuto una sorpresa. Vuole che lo legga?"
Tirò fora il foglio con lentezza, lesse con lentezza maggiore, quasi sillabando:
""Vigàta, Io sottoscritto Gambardella Attilio, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, desidero che, dopo la mia morte, ogni mio bene mobile e immobile vada alla signora Gesuina Praticò vedova Tumminello che per anni mi è stata amica devota. Mio figlio Filippo s'intende diseredato. In fede mi firmo...""
L'urlo di gioia della vedova fu tale da provocare alcuni disastrosi effetti, tra i quali: Catarella si scottò con un cafè bollente; Galluzzo lasciò cadere a terra una macchina da scrivere che stava portando da una càmmara all'altra; Miliuzzo Conti, fermato perché sospetto latro di autoradio, credendo che in commissariato avessero principiato a praticare la tortura (la sera avanti aveva visto un film di nazisti), tentò una fuga disperata che si concluse con la perdita totale dei suoi denti di davanti.
Montalbano, pur essendosi priparato, ebbe le orecchie intronate. La vedova intanto si era susùta e ballava, ora dondolandosi su un piede ora sull'altro. Fazio, che era subito corso, la taliava a bocca spalancata.
"Dalle un bicchiere d'acqua."
Fazio tornò immediatamente, ma la vedova pareva non vedere il bicchiere che quello le teneva sempre davanti la bocca, spostandosi assieme alla fìmmina. Finalmente se ne addunò, lo scolò in una botta sola. Tornò a riassittarsi. Era paonazza, in un bagno di sudore.
"Lo legga lei stessa" disse il commissario porgendole il foglio.
Lei lo pigliò, lo lesse, lo gettò via, impallidì nuovamente, si susì, arretrò, gli occhi sempre fissi sul pezzo di carta. Le mancava il fiato, si era portata le mani alla gola, tremava. Il commissario le si mise davanti.
"Lei ha sentito quello che Gambardella ha detto al figlio... che gli avrebbe lasciato tutto alla sua morte... e allora è andata a trovarlo per domandargli spiegazione... perché lui l'eredità l'aveva promessa a lei..."
"Sempre me lo diceva" ansimò la vedova "sempre me lo ripeteva, il porco... Gesuinuzza mia, tutto ti lascio... e intanto piglialo qua... intanto mettitelo là... un porco, un maiale era... sempre a farmi fare cose vastase pinsava... non gli bastava che gli facevo la serva... E aieri a sira ha avuto il coraggio di dirmi che lasciava ogni cosa a quel farabutto di suo figlio... Una stampa e una figura erano, patre e figlio, due laidi schifosi che..."
"Pensaci tu" disse il commissario a Fazio.
Gli necessitava di farsi una passeggiata al molo, aveva bisogno d'aria bona, di mare.

Andrea Camilleri



Last modified Saturday, July, 16, 2011