IL SECOLO D'ITALIA 26.04.1992

La Sicilia incantata di Camilleri

L'ultimo libro pubblicato con Sellerio, "La strage dimenticata" ("Una strage di stato a ridosso della rivoluzione siciliana del 1848") risale al 1984. Ora e' uscito nella colonna "Biblioteca siciliana di storia e letteratura", il terzo romanzo - dopo "Il corso delle cose" e' un "Filo di fumo" - di Andrea Camilleri: "La stagione della caccia". Potrebbe sembrare a prima vista, un giallo, dato il gran numero di morti ammazzati e la sottilissima trama ordita per amore dall' insospettabile farmacista, il "forastieri" Fofo' La Matina; e il supporto documentario verrebbe, per dichiarazione dello stesso autore, da un piccolo dettaglio contenuto nei due grossi volumi editi da Cappelli "Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1845-1876). Alla domanda di uno dei membri della commissione governativa se vi siano stati, di recente, fatti di sangue, il responsabile dell'ordine pubblico del paesino in cui si ambientera' la narrazione di Camilleri risponde : "No. Fatta eccezione di un farmacista che per amore ha ammazzato sette persone". In realta' il colore e la tessitura di questo riuscitissimo affresco del popolare regista (titolare della cattedra di regia presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica) hanno come referente primario, ben oltre l'intricato e tuttavia disciplinatissimo flusso dell'invenzione, la memoria di una terra amara e bellissima, che non si dimentica; e tutti gli accadimenti, i caratteri, le consuetudini, persino parole e locuzioni vernacole, tavolta italianizzate, di cui abbonda il pregevole libro, sono metafore di una coscienza le cui pulsioni, non corrotte dall'intellettualita' e dalle sovrastrutture metropolitane, trovano alimento psicologico e creativo in altri spazi, in altri stagioni. Certo, non si puo' negare ad Andrea Camilleri l'unghiatura del narratore di classe; la capacita', anzitutto di intramare con estrema disinvoltura situazioni e modi d'essere in un ordito complesso ma architettato con vigile rigore. Ma quello che piu' conta, infine, e' l'intensita' e ricchezza di accenti - ancestrali, connaturati, non sopraffatti da equazioni di cultura - con cui lo stato d'animo del narratore riesce a dare contestualita' vitalistica ad uno spaccato isolano d'incredibile evidenza. E' chiaro che Andrea Camilleri non avrebbe potuto evocare cosi' perspicuamente il mondo che ruota attorno ai "marchesi Peluso Di Torre Venerina", col Circolo dei Nobili e il geometra Fede e l'ex garibaldino Ardigo e il campiere Pirrotta e padre Macaluso e il servo Mimi' e il dottore Smecca e tantissimi altri personaggi tutti speldidamente caratterizzati, senza la qualita' di una "scrittura" di prim'ordine. Scrittura che mette a fuoco, senza sforzo, con l'autenticita' di una linfa nativa, i nyclei portanti del racconto e tutti i suoi toni complementari: determinando un "unicum" di rara efficacia. Lo stile di Camilleri e' sempre preciso e mordente: sia che testimoni una trasposizione idilliaca e sognata per i ventimila ettari del "paradiso" delle Zubbie coltivate a vigna, sia che ricordi, a filo di spregiudicato paradosso, il curatolo Santo La Matina, il quale "ficcava con la terra e con le piante" e parlava con le formiche, le serpi, le lucertole; o che descriva le stravaganze di donna Matilde, o la bellezza di 'Ntonto', o l'ardore di Carmelina. Poche, se vogliamo le ascendenze e non tutte individuabili nel filone del realismo contemporaneo; a volte da accreditare, piuttosto, al ceppo della migliore classicita' come, ad esempio a "La Mandragola" di Machiavelli per gli ortaggi che rendono fecondo il seme genetico o per certi non proprio morali accomodamenti di padre Macaluso. Un romanzo che si legge tutto d'un fiato. E non e' pregio da poco. L'emozione, ampiamente comunicata, viene da una persistenza incorrotta, non logorata dalla massificazione. La Sicilia che continua a splendere a dispetto della crudelta' delle stagioni, come il giardino incantato di Santo La Matina.
Renato Civello