La narrativa calabrese ha un noto precedente, quello di Corrado Alvaro.
Ma lo stesso Alvaro non può essere disgiunto dalla tradizione meridionale, che
va dal Verga al Capuana a Brancati e su fino allo stesso Consolo, autore di una
breve introduzione a questo libro di Angelo Gaccione, L’incendio di Roccabruna,
in cui dice tra l’altro, con la consueta acutezza, citando l’epigrafe a un
racconto di Mario La Cava: «”Dove avete trovato una storia così
inverosimile?” “Nel centro della terra, signore”. Ora mettendo subito da
parte quell’aggettivo “inverosimile" su cui tanto sì è dissertato…
e ricordando fra tutte la dissertazione che ne fa Pirandello in appendice al suo
Mattia Pascal, vogliamo qui
considerare la frase “nel centro della terra…”, parafrasata “nel cuore
dell’umanità…” che per noi vuole significare, riferito non solo a La
Cava, ma alla letteratura meridionale in genere e a quella calabrese in
particolare, storie scaturite dalla memoria più profonda di una comunità».
E appunto dal “diritto” di conservare la
memoria della propria storia e le tradizioni della propria terra, Angelo
Gaccione è stato indotto a raccogliere racconti «ambientati in Calabria che
ricostruiscono una serie di vicende, alcune vere, altre verosimili, alla cui
base stanno atroci delitti». E l’autore, che ha già pubblicato numerosi
libri, tra i quali L’albero di Tyburn, Il sigaro in bocca, Abitare in cielo, e testi di teatro,
riunisce infatti attorno al nome di un paese inventato varie vicende di ieri e
di oggi, che non solo testimoniano di “atroci delitti”, ma anche di un
costume, di un’eredità di clan e di faide che bene significa il retroterra di
una mentalità mafiosa. Si va dal Delitto
di Santo Stefano, in cui l’uccisione barbare di un pastore innocente
scatena reazioni altrettanto barbare, a L’incendio
di Roccabruna, che dà titolo al volume, in cui lo stupro di una ragazza e
lo sgozzamento del padre, provoca l’incendio di un palazzo baronale e il
massacro del padrone con tutti i suoi famigli, sino a La promessa, in cui l’assassinio, avvenuto negli anni 60, di una
ragazza alla vigilia delle nozze, diviene noto attraverso una lettera anonima.
Lo stesso Consolo cita due narratori calabresi dell’800, Biagio Miraglia e
Giuseppe Compagna, ma è certo che lo stile essenziale, fatto di cose e di
azione, si inserisce comunque nella letteratura meridionale.
E, a proposito di narrativa, questa volta
siciliana, voglio qui ricordare la bella prosa di Andrea Camilleri, che più si
avvale della parlata dialettale e dà saggio di aver assimilato la lezione
verista, in un breve romanzo, La stagione
della caccia, uscito da Sellerio. Anche qui storia di delitti, di amori e
passioni, ma con più attenzione al romanzesco e allo stile che alla cronaca, a
una maggiore sperimentazione sulla scrittura. Del resto, Andrea Camilleri è
uomo di lettere e di teatro. Tra i suoi saggi sul teatro, I teatri stabili in Italia (1898-1918), e tra i libri di narrativa,
Il corso delle cose, del ’78, Un
filo di fumo, Garzanti ’80, e La
strage dimenticata, Sellerio ’84. Mi pare interessante riportare qui un
brano dal risvolto di copertina: «I siciliani sono “tragediatori”, sono
paghi cioè soltanto quando possono finalmente fondere insieme la vita e la
scena, recitare, appunto sulla scena della vita, ciò che succede loro
veramente, tornando in illusione a comandare sulla sorte e mutandola in sogno.
Camilleri spiega di aver tratto l’idea del romanzo da una battuta registrata
nella famosa Inchiesta sulle condizioni della Sicilia, del 1876.
All’interrogante che chiedeva se si fossero verificati fatti di sangue in un
paesino, veniva risposto: “No, fatta eccezione del farmacista che per amore ha
ammazzato sette persone”. Come a dire: non è successo niente altro che un
sogno. Il sogno che questo libro viene a raccontare».
Infatti il racconto in sette capitoli della
vendetta del farmacista si snoda in una prosa corposa, molto vicina al parlato e
bisogna dire che il dialogato è quasi il tessuto di questo romanzo, un
dialogare che dà significato allo stile, proponendo tra chiacchiere e allusioni
un’atmosfera appunto tra possibilità e sogno; una prosa ricca di sicilianismi,
di invenzioni linguistiche, di scavo letterario.
Insomma, due libri che disegnano un clima, un
ambiente, una storia, ed è storia che pur nella finzione, ci riguarda da vicino
più di una cronaca di giornale.
Angelo
Gaccione, «L’incendio di Roccabruna», Grisolia editore, Lamezia Terme, 1993,
pagg. 114, L. 20.000.
Andrea
Camilleri, «La stagione della caccia», Sellerio, Palermo, 1992, pagg.152, L.
15.000.