La Repubblica - Lunedì, 9 giugno 1997 - pagina 7
Marina Garbesi

IL PADRINO IN MANETTE L' INTERVISTA Andrea Camilleri, scrittore siciliano, interpreta il 'misticismo' di Aglieri e dei boss
'MA QUELLA E' SUPERSTIZIONE'

'La croce al collo, forse di legno di Terrasanta per sanare le ferite mortali'

ROMA - "Quel crocefisso al collo di Aglieri, quando l' hanno preso...Sono sicuro che non è di un legno qualunque, ma d' ulivo di Terrasanta. Speciale, specialissimo, perché sana le ferite mortali. Beh, lui sapeva di averne bisogno. Aglieri latitante era come una scala aperta da due lati, doveva guardarsi dagli ex amici e dalla legge". Andrea Camilleri, romanziere e regista siciliano, brillante erudito (ha pubblicato per Sellerio 'Il birraio di Preston' , 'Il ladro di merendine' , 'Il cane di terracotta' ). Chiosi per noi il misticismo penitenzial-maniacale del "Signorino": fede o esibizione astuta per sembrare un' anima candida? "E' qualcosa di autentico, nessuna finzione. Ma non si tratta di religione. Si tratta di superstizione. Ascolti quel che scriveva il preside Giuseppe Sbocchi sulla Gazzetta d' Italia, anno 1874: "La natura del siciliano non è intrinsecamente religiosa, ma superstiziosa". E ancora Giuseppe Pitrè: "Alla particolare divozione dei siciliani dà aiuto e sostegno la superstizione. Il superstizioso è sorretto da fede cieca, anche nelle cose che ripugnano alla religione e alla ragione". E difatti, il mafioso fa cose orrende ma non smette mai di pregare...Invece del Cristo, andrebbe bene anche un totem". A un boss, a che serve la religione? "Per dire Gott mit uns, Dio è con noi. E non può che essere con noi, visto il nostro assoluto potere". La fede come collante della cultura mafiosa? "E, appunto, del suo potere. Trovo quel che sto per descriverle una straordinaria sintesi di tutto ciò. L' ho visto con i miei occhi a Ribèra, vicino ad Agrigento: un ex voto a san Calogero, santo nero. Due carabinieri coi pennacchi e l' alta uniforme che sparano a un brigante, e il brigante che risponde al fuoco. Sotto, la scritta del delinquente medesimo: 'Per grazia ricevuta, essendo scampato alla legge' . Ecco cos' è la fede, e cos' è lo Stato, per certi siciliani". "U Signurinu" ha 38 anni. Teneva rapporti coi narcos colombiani e coi banchieri del riciclaggio. E' giovane. Ma invece del computer, nel covo, teneva ottanta santini, e aveva una cappella privata come Nitto Santapaola. E' più devoto di Liggio. Più devoto della vecchia mafia... "Ma Aglieri è ancora un 'guardiano del campo' , anche se trattava coi colletti bianchi. Anzi, lui doveva accreditarsi come uno di loro. Colto, dunque potente. Dunque, un' autorità. Ed ecco, allora, le letture di Kierkegaard, ecco la cappella privata. Quelle panche dove raccogliersi a meditare come in un recinto sacro, ma pagàno, dove la bestemmia è bandita e così, momentaneamente, i pensieri delle stragi". Il boss cristianissimo dribbla l' etica cristiana e il comandamento che ordina: non uccidere. Come ci riesce? "Semplice. Ragiona così. Quell' uomo ha sbagliato, ha infranto le nostre regole. La sua colpa è così grave che deve pagare con la vita. Insomma, è prevista la pena di morte dal tribunale mafioso. In questa maniera si scansano i comandamenti e si convive coi crocefissi, con buona pace dei disgraziati sciolti nell' acido o incaprettati". Eppure il mafioso non vede di buon occhio Chiesa e preti. "Difatti. In Sicilia si dice: Fidi mi caccia e no ligno di varco, mi guida la fede, non il legno di barca. E però anche: Lu boia dissi a lu figliu, fatti parrinu, il figlio di un boia non può che farsi prete. La Chiesa è poco amata, ma è tornata utile. Ricordiamoci della 'Bolla di componenda' . Un patto scellerato, in cui si compravano anticipatamente le indulgenze. E cioè se prevedevi di rubare due vacche in quell' anno dovevi versare 25 centesimi. Ed eri perdonato". Perché Kierkegaard nel covo di Aglieri? "Perché, come spiegavo, la cultura è necessaria a una casta al potere. E poi, magari, un filosofo che esalta così morbosamente il peccato intrigava il 'mistico' Aglieri. Lo sapeva che Luciano Liggio, nella sua 'suite' all' Ucciardone, leggeva 'La Critica della Ragion Pura' di Kant? Non ci capiva nulla. E faceva svegliare nel cuore della notte un cattedratico, anche lui in galera, per farsela spiegare".