Sette (Corriere della sera).12.1998

Camilleri: la letteratura comincia a 70 anni

I siciliani si sono scordati i morti. Una volta, sull'isola, i regali ai bambini non si facevano a Natale ma la mattina del 2 Novembre. Erano i morti, all'alba del giorno a loro dedicato, che portavano i giocattoli depositandoli in un canestro di vimini. Ma quella festa e' ormai persa cancellata da Natale, e con essa si cancella le memoria dei morti in Sicilia. Ma non per tutti: "Gli unici a non scordarseli, i morti, anzi a tenacemente tacerne acceso il ricordo, restavano i mafiosi, ma i doni che inviavano in loro memoria non erano certo trenini di latta o frutti di martorana". Questa citazione, tratta da Il cane di terracotta, una delle avventure (la piu' bella?) del commissario Montalbano, ci serve a capire in che territorio ci muoviamo o, per essere piu' precisi, si muove Andrea Camilleri, scrittore dell'anno, protagonista di un fenomeno editoriale senza precedenti (otto libri suoi nei primi dodici posti nella classifica dei best seller 1998). Quel discorso sui morti (che ha un'ariata come direbbe Montalbano, che ricorda l'atmosfera dell'omonimo, sublime racconto di James Joyce in Gente di Dublino) riguarda l'intero Cane di terracotta, il cui enigma centrale nasce dla ritrovamento, cinquant'anni dopo il delitto, dei cadaveri nudi di due giovani innamorati uccisi durante la guerra e tumulati in una galleria con un misterioso e complicato rito di sepultura. I lettori ci perdoneranno per l'inizo vagamente funerario ma era necessario per riscattare lo scrittore piu' letto dell'anno da un equivoco che continua a perseguitarlo, anche da parte di chi nei suoi confronti e' piu' che ben disposto. Ed e' l'equivoco di chi in Camilleri sottolinea sempre e solo l'aspetto farsesco, la buffoneria, il buonumore, il divertimento. Tutte cose che ci sono (e meno male), ma che siccome sappiamo forse non come va il mondo ma un poco come va l'Italia, quella letteraria soprattutto, finiscono per ridimensionare il 73enne scrittore di Porto Empedocle, per confinarlo nella categoria del carino, bravino, spiritoso. Andrea Camilleri e' uno scrittore senza "ini", magari vista la quantita' qualita', varieta' dei suoi libri, con qualche "one". Perfino uno dei suoi ammiratori della primissa ora come Alfredo Giuliani (critico benemerito che dell'inventore di Montalbano si accorse quando ancora non se ne era accorto quasi nessuno sui giornali) parlava, a proposito di Un filo di fumo, di "figurine un po' di maniera" e poneva l'autore su "un piano piu' leggero e francamente burlesco rispetto a Consolo". Giuliani, eravamo nel 1980, aveva probabilmente ragione nel caso particolare (Un filo di fumo mi sembra il meno riuscito dei suoi libri) e, in seguito, il critico ha espresso ben altra adesione al mondo di Vigata. Altri, pero', si sono fermati alla minimizzazione di Montalbano e compagni. Un esempio per tutti e' quello di Giorgio Ficara, che su Panorama, dopo aver elencato gli antenati di Camilleri (i grandi di Sicilia: da Verga a De Roberto, da Tomasi di Lampedusa a Sciascia), ha tenuto a precisare: "Ovviamente Camilleri e' appena l'ombra di un'ombra di tali progenitori, e il suo caso si riferisce piu' alla piacevolezza dell'insieme che all'oggettivo pregio dalla pagina". E, non pago ha aggiunto: "Leggiamo Camilleri, dunque, ma distinguiamo il piacere della simpatia dai non infrequenti dispiaceri del testo". Per fortuna che c'e' Raffaele La Capria, capace come spesso gli succede di dire in materia letteraria cose giuste che pero' sorprendono e danno scandalo come se fossero eresie. Come questa: "Poche volte mi capita di leggere dal principio alla fine un libro, senza poterlo lasciare, con lo stesso divertimento con cui ho letto La concessione del telefono, ultimo libro di Andrea Camilleri, un autore che non esito a mettere accanto ai piu' celebrati tra i nostri". La Capria loda poi l'italiano di Camilleri: "Per niente manieristico ( come in altri scrittori siciliani), anzi veristico e verosimile a un tempo, e molto gustoso". Davanti all'ironia di Camilleri, La Capria pensa "a quella di Gogol piu' che a quella di Brancati". Finalmente. Viva Camilleri e viva La Capria. Ennio Flaiano, che e' stato il Levis-Strauss degli italiani, un antropologo prima ancora che uno scrittore, noto' che tra i mali nazionali c'e' sempre quello di correre in soccorso del vincitore. Sport che vanta ancora molti praticanti. Ma non tra i letterati. Costori che da tempo hanno deciso di condannare chiunque trionfi nelle classifiche di vendita. La popolarita', in Italia, e' ormai indice di non bravura letteraria. Se hai successo non sei uno scrittore degno di questo nome. Questo e' vero spesso, ma non puo' essere vero sempre. Ci sono casi in cui il grande pubblico premia con il suo consenso uno di valore. E' quello che e' accaduto con Camilleri. La sua Sicilia vera e immaginaria. Il suo umorale commissario capace, dopo essersi sbafato un saute' di vongole con pangrattato, spaghetti in bianco con le vongole, rombo al forno con origono e limone caramellato, uno sformatino di cioccalatto amaro con salsa all'arancia, di salire in macchina e mettersi a cantare: "Guarda come dondolo, guarda come dondolo, col twist". La perfetta costruzione delle sue storie ( sia quelle con che quelle senza Montalbano, precisissimi strumenti di alta orologeria). La sua lingua che riesce a essere vera o falsa nello stesso momento. L'enorme vitalita' che sta dietro a una produzione di quantita' e qualita' stupefacenti. Ecco, alla rinfusa, alcuni elementi che non dovrebbero mancare in un saggio su questo straordinario narratore, pieno di estro, dalla fantasia debordante, dall'allegria contagiosa. Con sul fondo (siamo sempre in Sicilia) un profumo di morte. Spiega il maresciallo Corbo in Il corso delle cose: "Vede, signor capitano, da noi hanno il gusto non solo di ammazzare, ma di ammazzare con la spiegazione ... Se hai parlato, e non dovevi, ti mettono un tappo in bocca; se mi hai dato un dispiacere che merita morte, ti metto sul petto una pala di ficodindia, e cosi' ti godi tu la spina che hia dato a me". La crudelta' degli antichi riti di Mozia. La violenza del culto di San Calogero. La cattiveria delle femmine. L'ottusita' dei maschi. Quella musica simenoniana che fa del mondo una congrega di poveri diavoli, un affollato club di solitari, ognuno con la sua spina nel cuore. Cosa volete di piu' da uno scrittore? Che deve fare? La mossa? O fingersi tormentato? "Sono un raccontastorie, mica un letterato", dice di se' Camilleri. Lo dica forte, lo gridi, anche se non e' il suo stile. La letteratura quella vera, e' proprio dei raccontastorie. Mica dei letterati.

Antonio D'Orrico.