Panorama 03.012.1998

LA FINE DELLA LETTERATURA ITALIANA  

Camilleri? Se vi piace il genere...  

Una nostra narrativa? Non esiste pił, dicono le classifiche piene di scrittori di maniera e non scrittori. Parola di un critico. Che accusa i critici  

di Stefano Giovanardi  

Per quanto stupefacente sia, negli ultimi mesi la narrativa italiana è riuscita a scomparire anche dalle classifiche di vendita riguardanti la .narrativa italiana.: nelle quali impazzano, ovviamente, bravi scrittori di genere (Camilleri), scrittori di genere e basta (Manfredi, Casati Modigliani), non-scrittori tout court (Jovanotti), mentre gli autori che normalmente attirano l'attenzione di recensori e grandi premi si affacciano appena, sporadicamente, agli ultimi posti, per poi ripiombare quasi immediatamente nel buio. Nelle classifiche di "Repubblica" da settembre a oggi troviamo per due volte al sesto posto "La regina disadorna" di Maurizio Maggiani e per tre volte (due al quarto e una al sesto) "Sentieri sotto la neve" di Mario Rigoni Stern. E più nulla.

È vero che nelle ultime settimane appaiono ben piazzati i "Tre ragazzi immaginari" di Enrico Brizzi, ma è anche vero che il suo credito di scrittore "serio" appare in via di esaurimento, ancorché non si esaurisca, e anzi proliferi, la rendita parassitaria in lettori minorenni garantita dall'investimento di "Jack Frusciante". In compenso non c'è traccia di Cesare De Marchi, vincitore del Supercampiello e del Comisso, il cui "Il talento" è stato collocato da molti critici fra i migliori romanzi dell'anno, non c'è Giorgio Pressburger, premiato dal Viareggio per "La neve e la colpa", non c'è Vincenzo Consolo, né Ugo Riccarelli, né Fabrizia Ramondino, né tanti altri.

In sé e per sé, la cosa potrebbe anche non meravigliare troppo (ma certo mai così microscopica è parsa la divaricazione fra le preferenze del pubblico e quelle degli addetti ai lavori): è da tempo che i percorsi commerciali coincidono solo episodicamente e per brevi tratti con quelli culturali, da tempo i termini .letteratura di consumo. o .paraletteratura. stanno lì a marcare con la forza un'incolmabile lontananza dalla letteratura .vera.. Ma quella lontananza, pur persistendo in tutto e per tutto, sembra oggi meno identificabile, fin quasi a sparire dalla percezione comune: e questo non per la natura dei prodotti, bensì per il modo in cui vengono consumati dal pubblico e trattati dalle comunicazioni di massa.

Mi spiego: fino a poco tempo fa scrittori di consumo e scrittori "seri" ricevevano, sia da parte dei mass media sia da parte dei lettori, forme di attenzione nettamente diversificate. Giornali e televisioni non chiedevano ai primi le stesse cose che chiedevano ai secondi, non riservavano ai primi lo stesso tipo di trattamento critico riservato ai secondi, non confondevano competenze, attribuzioni e .bacini d'utenza.. E anche i lettori si accostavano ai due tipi di romanzo con atteggiamenti pressoché opposti: disposti magari ad annoiarsi, ma certi di poter guadagnare qualche emozione pro-fonda, e qualche insegnamento, o qualche stimolo nel caso dei secondi: certi di non poter guadagnare alcunché, ma disposti esclusivamente a divertirsi nel caso dei primi.

Se ciò accadeva, si doveva probabilmente al sussistere di una sorta di controllo preventivo, difficilmente descrivibile e battezzabile con nome e cognome, ma certo in qualche modo tangibile, e soprattutto efficace. Era un sistema di inclusioni/esclusioni che veniva accettato da chiunque quasi inconsapevolmente, così come si accetta un dato naturale: pieno di falle, pieno di inconfessate astuzie, di ammiccamenti, di piccole e meno piccole disonestà; ma comunque garantito da un circuito intellettuale che, seppur a regime ridotto, continuava a funzionare, a distinguere, a esercitare una qualche forma di giudizio.

Ora, temo, non è più così. E non soltanto perché per due o tre mesi un certo tipo di scrittori è stato cancellato dalle classifiche (il caso in sé potrebbe anche essere irrilevante e casuale), ma soprattutto per l'aria che si respira, per l'atmosfera decisamente pesante che si sprigiona dalla pletora di sorrisi che con sufficienza ti ribadiscono l'eterno, banale alibi di schiere di qualunquisti: .Io lo so come va il mondo.. Quei sorrisi c'erano anche prima. Ma dietro baluginava in molti casi l'idea che comunque si poteva, pur anche in minima parte, indirizzarlo, quel cammino del mondo: mettere qualche paletto, tamponare qui, raddrizzare là, agire insomma. Non dico il putiferio scatenato dal "Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa o da "La Storia"' di Elsa Morante (per carità, quella è archeologia; e poi quelli erano libri "seri", anche se l'ordine dei problemi agitati non era poi molto dissimile da quello che dovrebbe porsi oggi); ma ancora su "Va' dove ti porta il cuore" di Susanna Tamaro è sorto un dibattito non peregrino, da cui traspariva la preoccupazione di stabilire cosa fosse letteratura e cosa no.


Oggi, invece, il cammino del mondo lo si accetta con grande disponibilità e allegria, senza chiedersi, neanche per sbaglio, chi mai lo stabilisca, o chi mai ne goda. Lo accetta, innanzi tutto, una critica letteraria che continua a .rimandare il suicidio. senza neanche fare quei "gruppi di studio" irrisi una vita fa da Giorgio Gaber (avesse saputo allora cosa lo aspettava...): basti vedere come ha reagito di fronte all'unico scossone che sia venuto negli anni Novanta, ossia quella narrativa cannibale o pulp che, vera o finta che fosse, pura intrapresa commerciale o autentica manifestazione di disagio, angelo o demonio, offriva comunque il destro per riflessioni certamente non inutili sul destino della letteratura, sulle odierne sue fonti di alimentazione, sul suo odierno pubblico, sul suo rapporto con le realtà sociali e linguistiche dei nostri giorni, sull'idea di tradizione, su formalismo e contenutismo e chissà su quanto altro ancora.

Bene: il "pulp" italiano è nato, cresciuto e invecchiato senza che la critica sia minimamente entrata nel gioco, senza che abbia detto una sola parola eccedente la routine del fiancheggiamento o della denigrazione, senza che una sola volta abbia cercato di entrar dentro al fenomeno, analizzarlo, renderlo funzionale a un'acquisizione di conoscenze di qualche tipo.

Ha preferito, la critica, continuare ad amministrare un esistente vieppiù improbabile, a compilare, nel sempre più esiguo spazio consentitole, recensioni sempre più stanche e rituali, a distribuire, con un bilancino usurato da tempo, premi letterari che non servono più a nessuno, perché nessuno ci crede più. Il tutto con quel solito furbo sorriso, con quell'ammiccamento complice non si sa di cosa. E intanto una folta schiera di giovani scrittori si trasformava in un'ammucchiata di divetti di cartapesta, pronti a calcare ribalte di ogni genere e a riscuotere diritti pubblicitari senza alcun rimpianto per un cervello non ancora troppo esercitato e buttato via prima ancora che cominciasse a funzionare a pieno regime.

Beh, non illudiamoci: la colpa è soprattutto nostra. Avessimo riflettuto, noi che facciamo questo mestiere, e avessimo comunicato le nostre riflessioni in modo da alimentare quel circuito culturale ormai ridotto a larva, forse non sarebbe finita così.

Soprattutto nostra, la colpa, ma non del tutto: almeno in parte, essa è condivisa con le pagine culturali dei giornali e con l'informazione radiotelevisiva, mai come oggi a rimorchio dei presunti gusti della "ggente", mai come oggi arrese ai flutti capricciosi degli eventi. Andrea Camilleri vende tante copie? E allora pagine e pagine su Camilleri, interviste a Camilleri, speciali su Camilleri, senza mai un distinguo, un tentativo di sistemazione, un giudizio articolato. E a Vincenzo Consolo appena qualche recensione di routine, di quelle stanche, e pure un po' svogliate perché il suo nuovo romanzo "Lo spasimo di Palermo", è libro difficile, e allora perché sprecarsi e perdere tempo a cercare di far capire?

In un simile stato di latitanza da parte di chi avrebbe il dovere d'ufficio di tracciare e rinforzare gli argini, è inevitabile che la classifica delle vendite diventi egemone, e che il valore di uno scrittore finisca col coincidere col suo valore di mercato. Narratori italiani, veri o finti che siate, fate attenzione: un altro sacrificio da fare per entrare in Europa, e per restarci, e ignorare quelle classifiche che rivelano punteggi di vendita vicini allo zero. Ma nel vuoto assoluto quelle classifiche paiono l'unica cosa a cui aggrapparsi. E la tendenza di questi mesi dice che per i narratori veri, seri, non c'è solo ormai lo spazio dell'oblio. Paiono cancellati. Così noi critici e giurati di premi letterari continueremo a distribuire premi a pure ombre, con tanti sorrisi e tante pacche sulle spalle, a dispetto del vuoto che esse incontreranno.