Giornale di Sicilia 07/03/1998
Per capire meglio la realtà mischiare il giallo e il
nero
ROMA. Chi per originaria passione e chi per caso, quasi tutti,
almeno una volta, abbiamo avuto per le mani un libro giallo. Molti
storcono il naso. Ma per quanto ci si possa astenere da valutazioni
di carattere letterario su questa produzione, non possiamo invece
trascurare che alcuni di questi scrittori _ e a dispetto di altri _ dei
'casi letterari' lo sono diventati, dal francese Daniel Pennac al
nostro Andrea Camilleri . Da cosa dipenda il successo del
romanzo giallo e soprattutto se vi siano le condizioni per parlare di
'genere letterario' o sia solo un fatto di costume, sono le questioni
che discutiamo con Serge Quadruppani (che da lunedì prossimo,
insieme con Andrea Camilleri, terrà un corso di 'scrittura gialla'
presso l'Istituto di Scienze Antropologiche e Geografia
dell'università di Palermo). Quella goccia di sangue italiano che
ancora gli scorre in corpo o, più credibilmente, i soggiorni a Roma
dove trascorre almeno tre mesi ogni anno e dove lo incontriamo, ci
consentono di parlare con lui in un italiano fluente. Nato in provincia
di Tolone nel 1952, oggi vive e lavora a Parigi, dove affianca
all'attività di scrittore quella di traduttore: il viaggio in Francia dei
nostri Camilleri, Piazzese e Natoli è stato possibile grazie alla sua
penna. Il gusto di Parigi è per lui quello del vino in compagnia degli
amici: Roma è l'unica città dove riesce ad abbandonarsi al piacere
del gelato per strada. Apprezza la Sicilia e la sua cucina, e ricorda
quanto gli sono piaciuti il Tano e la Vucciria di Roberta Torre. Cane
sciolto e uomo aperto: ce lo segnalano l'umorismo che fa più
digeribile il suo noir e l'attenzione socio-politica che affiora da ogni
trama. Quando comincia a scrivere? 'La scrittura è un modo di
esprimersi insostituibile, è il condensato della civiltà. Ho sempre
pensato di scrivere, ma ho iniziato sul serio soltanto a trent'anni,
con saggi e indagini sulla vita intellettuale francese e su fatti di
cronaca. L'ultimo saggio, "L'antiterrorisme en France", esaminava
come si potesse creare e strumentalizzare il terrorismo; proprio da
questo saggio ho recuperato molto materiale per i miei romanzi.
Sono dieci anni ormai che scrivo gialli'. La scelta del genere 'noir'...
'Io ho sempre letto romanzi di genere noir; credo che questo
dipenda dal mio atteggiamento verso la vita, un atteggiamento
politico direi, che mi porta cioè a non vedere una gerarchia
culturale tra letteratura alta e letteratura bassa. Penso inoltre che
questo genere sia molto attento ai problemi della società
contemporanea. Quando non ci sono movimenti sociali importanti,
il fatto di cronaca è l'unico modo possibile attraverso cui far
esprimere le contraddizioni sociali. Non a caso il giallo prende piede
nell'America degli anni '30'. È questa la ragione del successo del
'giallo' in Italia? 'Sì, anche se in Italia la ricchezza di questo genere
si sta scoprendo un po' in ritardo. È stato avversato da quella che
in Francia diciamo letteratura bianca; c'è stata molta ricerca
formale e poco contenuto, molta psicologia e poca realtà. Il noir è
per me la forma di realismo del postmoderno'. Luogo e
ambientazione quanto sono importanti? 'Fondamentali. Bisogna far
sentire l'atmosfera dei luoghi, che non sono mai solo pietre o solo
paesaggi, ma sono luoghi e uomini insieme; nei luoghi c'è sempre la
traccia degli uomini. E poi occorre far sentire anche lo spessore
dei personaggi'. Quindi i luoghi di cui scrive sono quelli dove
abita... 'Non sempre. Sono luoghi che conosco. Anche quando
sono luoghi immaginari, sono partito sempre da luoghi che
conoscevo. Ho scritto alcuni romanzi ambientati nel sud della
Francia, in Italia, a New York; sono luoghi che ho visitato. Ma
anche quando nei miei romanzi scrivo le impressioni di viaggio, non
rimane un reportage, perché sono sempre trasformate dalla scrittura'. Perché molti scrittori francesi ambientano i loro romanzi
a Belleville? È folklore o utopia? 'Belleville è il quartiere più
newyorkese di Parigi, il più cosmopolita, con un "miscuglio" di
popoli e classi sociali. Folkloristico è parola che non mi piace;
preferisco dire colorito, oppure vivace. A me non piacciono i
quartieri-ghetto, sia quelli per ricchi che quelli per poveri. Per gli
scrittori Belleville risulta interessante per questa convivenza di
gente di estrazione sociale diversa. Se rappresenta un'utopia? Non
so. Ci sono tensioni molto forti, ma sono ancora a livello umano. Ci
sono bande di piccoli spacciatori, per esempio, o altre, ma non
sono abbastanza forti da imporre, per così dire, la loro legge.
Questo, dal mio punto di vista, significa che c'è ancora la
possibilità di una pacifica convivenza'. La sua attenzione alla città
è sociologica, antropologica oppure... 'È tutto. Innanzi tutto voglio
dire che se io vivo a Parigi o a Roma, invece che in campagna, non
è a caso. A me la città piace, perché, come diceva Hegel, l'aria
della città rende liberi. È vero che la città ha creato il mondo
moderno, così come il mondo moderno ha creato la città. Quello
che più mi piace della città è l'essere diviso sempre tra ciò che
cerchi e non trovi mai; e questo poi diventa una specie di
equilibrio, per esempio tra i rapporti di vicinato e l'anonimato'. La
toponomastica e la topografia a cosa le servono? 'È un modo di
descrivere i luoghi che mi piace molto; guardo anche sulla mappa,
scrivo i nomi delle strade e so che anche ai lettori piace. Però per
il momento non ho alcuna spiegazione da darmi'. Lei è anche un
traduttore. Che difficoltà incontra nel tradurre uno scrittore come Camilleri? 'È impossibile tradurre letteralmente ed è un grande
problema tutto quello che si perde nella traduzione. Certamente si
trovano sempre delle soluzioni, le meno peggio, mai quelle ottimali.
Deve però rimanere salvo il diverso livello di linguaggio e bisogna
farlo sentire. Rifiuto assolutamente di tradurre l'accento,
l'inflessione sarebbe una cosa artificiale e ridicola, senza alcun
senso. A proposito, quando ho visto la versione francese di
"Senso" di Visconti, uno dei personaggi, un napoletano che nella
versione italiana parlava in napoletano, parlava nel dialetto
francese della Corsica. Io non voglio questo per le opere di Camilleri. Con le lingue è molto più corretto giostrare con la
diversità dei livelli, perché è questo che fa sentire la ricchezza dei
rapporti tra i personaggi in un testo'. Un film ed un libro dalla
Sicilia... '"Tano da morire" mi ha fatto divertire molto, e poi...
"Mery per sempre". Un libro? Naturalmente un libro di Camilleri'.
Qual è l'immagine della Sicilia che viene fuori dalle produzioni
siciliane? 'Un'immagine sicuramente complessa, purtroppo ho
l'impressione che... manca secondo me uno Sciascia. Ma credo
che questo non riguardi solo la Sicilia; penso che per ora tutta
l'Italia stia attraversando un periodo di tremendo conformismo.
Uno come Sciascia aveva uno sguardo molto acuto ed è questo
che manca'. Che libri legge? 'Leggo veramente di tutto. Sono
molto impressionato da alcuni miei colleghi francesi che sono
diventati degli eruditi del genere giallo'. Un progetto editoriale
imminente... 'Uscirà un grande romanzo, veramente molto grande:
è ambientato a New York, Hong Kong, Vietnam, Cambogia, Paesi
che ho visitato l'anno scorso; parla del viaggio e di tutte le
modalità di viaggio nel mondo moderno, da quello dei pensionati
"tutto compreso" a quello degli immigrati che impiegano anni per
arrivare a destinazione senza alcun documento'. Quando
arriveranno in Italia le traduzioni dei suoi romanzi? 'Chissà!'.
Micaela Sposito