Amici di Sciascia

INTERVISTA AD ANDREA CAMILLERI

Sono andata a trovare Andrea Camilleri nella sua casa in un palazzo di Roma. Un ascensore di quelli sferraglianti sale fino all'ultimo piano dove lo scrittore sembra se ne stia appollaiato fra cielo e terra, assorto nei suoi pensieri. Camilleri è un signore grande e gentile che corrisponde a come lo avevo immaginato dalla sua voce calma e dai suoi libri allegri. Mi rassicurano le nostre comuni origini siciliane, il dialetto ritrovato e l'amore per Sciascia. Si incomincia subito a parlare avvolti in una irreale nuvola di fumo e con il telefono che squilla spesso e lui gentile che risponde a tutti di persona e poi si scusa con me. Un piacere averlo intervistato. Come niente, temo si possa finire immortalati in uno di quegli strambi personaggi dei suoi romanzi polizieschi. (Marzo 1998)

ADRIANA PEDONE: Come ha conosciuto Leonardo Sciascia?

ANDREA CAMILLERI: Prima di incontrarlo di persona l'ho conosciuto per via epistolare. Io lavoravo in televisione e dovevo creare dei programmi; mi ero rivolto a Sciascia, non mi chieda l'anno, insomma tanti anni fa, per chiedergli di scrivere un originale televisivo sul delitto Notarbartolo. Sciascia aveva da poco pubblicato "Il giorno della civetta". Mi rispose che non avrebbe potuto scrivere sull'argomento perché la ricerca dei documenti sui quali basare il lavoro gli avrebbe portato via troppo tempo; questo fu il nostro primo contatto. Il secondo lo avemmo quando il teatro stabile di Catania gli chiese la riduzione, sempre da "Il giorno della civetta", poi fatta da Giancarlo Sbragia. Io, che ne ero il regista, lo incontrai a casa di Giancarlo. Leonardo ancora non aveva imparato a parlare, più che altro bofonchiava. Devo dire che i suoi silenzi e i suoi bofonchiamenti erano però estremamente significativi. Non parlava ma pensava. ... pensava, quindi certe sue smorfie di non convinzione o una battuta su una situazione erano assai più eloquenti che il discorso di un'ora di un'altra persona. Sbragia era serio e intelligente, lui ed io parlavamo ma con Sciascia si comunicava anche quando taceva. Proprio così! Poi tutte le volte che andavo a Palermo lo incontravo, lui veniva da Caltanissetta, alloggiava in un albergo di via Cerda. In seguito venne a trovarmi a Roma, in questa casa. Avevo raccolto, al mio paese, del materiale riguardante una strage avvenuta nel 1848; glielo diedi perché ci scrivesse qualcosa di importante. Dopo averlo esaminato mi telefonò e mi esortò a scriverne io stesso, perché altrimenti, disse, lui ne avrebbe fatto una specie di libello. Gli risposi: ma dove lo pubblico mai un libro così? E lui mi presentò da Sellerio. Fu così che pubblicai "La strage dimenticata". Scusi, ma lei dove è nato? A Porto Empedocle nel '25. E' stato regista e sceneggiatore dal '49. Sicuramente ha incominciato a scrivere molto tempo prima di pubblicare. La scrittura le ha dato notorietà, e per le sue storie poliziesche e per la parlata dei suoi personaggi. Un nuovo modo di esprimersi, una specie di italiano-siciliano. Dialetto colto insomma! Io sono uno che racconta storie. Raccontarle a modo mio mi sembrava più giusto. Dopo diversi tentativi ho capito che l'unica mia voce possibile sarebbe stata quella che io parlavo in famiglia, sia pure con le differenze che ci sono fra il parlare e lo scrivere. C'è stato un lavoro successivo ma il tessuto di base era questo parlato familiare, un intreccio di dialetto e lingua italiana; ho usato le parole chiave in dialetto, invece quelle che stabilivano un ordine nella scrittura erano in italiano. In gran parte della borghesia siciliana si parlava un italiano sicilianizzato che ad un certo punto è stato proibito ai bambini. Si doveva parlare tutti soltanto in lingua. I grandi parlavano un misto di italiano e siciliano molto bello. Come si è sempre parlato nelle famiglie. Questa proibizione di parlare il dialetto non è stata solo siciliana ma di tutta l'Italia. Io penso che la perdita dei dialetti, pare che solo il 20% degli italiani conoscano il dialetto della regione dove sono nati, abbia impoverito l'italiano parlato, già per altro stremato dal bombardamento omologante della televisione. Questa mancanza di struttura dialettale ha talmente impoverito la nostra lingua da ridurla in balia di qualsivoglia lingua straniera. Senza la difesa dei dialetti viene a mancare la linfa vitale della lingua e si ha un vero e proprio imbarbarimento linguistico. Ch'avemu a fari? Ah, che cosa dobbiamo fare? Certo non proclamare per legge, come vorrebbe il professore Nencioni, che la lingua dello stato italiano è la lingua italiana, perché questo lo sappiamo tutti. Senza arrivare all'autarchia della lingua voluta dal fascismo, perché mai "killer" invece di "sicario", "okay" quando esiste "va bene"? Un minimo di rieducazione dovrebbe incominciare dalle scuole e poi dai giornali. Tutto qua. Lei, come novello Stevenson, si dichiara narratore di storie, con fatti, personaggi, luoghi. Però questi suoi libri sono alquanto polizieschi; il colore giallo ce lo aggiunge oppure nascono così? No, non nascono come romanzi polizieschi ma bensì si articolano come romanzi polizieschi. La storia deve essere un fatto fondamentale, io però privilegio più i personaggi. La storia è solo un evento scatenante di reazione dei personaggi stessi, un altro fatto. Sciascia diceva che il poliziesco è il più onesto genere di letteratura, diceva che l'indagine rappresenta la voglia di arrivare alla verità; esiste quel suo bellissimo saggio "Breve storia del romanzo poliziesco" in cui ne fa risalire le origini fino al profeta Daniele. Nei suoi libri ci si trova in luoghi immaginari che assomigliano molto a quelli veri e ci sono personaggi carichi di ironia; io li sento anche molto malinconici, specialmente il commissario Montalbano mi sembra il più malinconico di tutti. Lei vede perfettamente il personaggio, l'ironia del commissario non preclude la malinconia, piuttosto tenta di esorcizzarla. E' per non essere sopraffatto. Sì, proprio così. Sciascia nel "Consiglio d'Egitto" fa domandare al vicerè Caracciolo: "come si può essere siciliani?". Io personalmente rispondo: lo si può essere soltanto con l'ironia, altrimenti si viene sopraffatti da una realtà francamente inaccettabile. Montalbano, simbolo di questa malinconia, è però circondato da personaggi straniati, non collocati nel tempo. Ma lei dove li ha messi? Dove sono ambientati? Io sono un uomo di una certa età. Che non può pensare nei termini di oggi. Montalbano e gli altri scappano, perché io scappo. Montalbano è all'80% quello che sono io, come quel poveraccio che era madame Bovary. Tutti sospesi nel tempo. Allora lei cerca di ancorarsi al tavolino mettendosi a scrivere. Ma certo che sono sospeso! In una realtà estranea. E cerco di ancorarmi solidamente; se non avessi imparato a raccontare storie mie, avrei continuato a raccontare storie di altri; ormai racconto le mie da più di venti anni. Quanto tempo le ci è voluto per arrivare a pubblicare le sue storie? Le dico solamente che il primo romanzo è stato rifiutato da quattordici editori! Bisogna avere un minimo di fiducia in sé stessi; comunque sia, io sento la necessità di scrivere e lo faccio. Il pane per la mia famiglia me lo guadagnavo facendo il mestiere di regista. Non finirò mai di ringraziare Dio, o chi ne fa le veci, per avermi consentito di fare il lavoro che mi piaceva. Chissà che fine avrei fatto altrimenti. Sinceramente, questo è più importante di qualsiasi ricchezza. Nei suoi libri, quasi sotteso fra le righe, il Maestro. Le dirò di più. Io, naturalmente, sono nella scrittura all'opposto di Sciascia, però quando devo principiare a scrivere una storia, mi vado a rileggere un libro di Sciascia. Ignoro il perché. Forse per il comune sentire? Vai a sapere! Quando sento compiutamente dentro di me un libro, ho bisogno di leggermi una cosa di Sciascia. Scusi, ma lei così si dice la preghiera! E' come una preghiera, è come un ricaricarmi le batterie! E' solo forza. Alle pareti di casa sua ci sono incisioni e disegni con dedica di alcuni artisti, nella sua libreria molti libri d'arte. Ha legami con le altre forme d'arte? Ha un pittore elettivo, ispiratore? Cosa guarda e quali libri d'arte sfoglia? La mia fonte ispiratrice è stata sempre la pittura anche se non ho pittori o maestri pittori elettivi, ma stia tranquilla che mi guardo Raffaello, Piero ... Ecco il nome magico, Piero. Ma sì, ho detto la parola magica. Perché Piero è magico. Piero ha una tale capacità di suggestione anche temporale, non solo visiva, cioè a dire capacità di "tempo fermo" per esempio, che si trova all'interno di una qualsiasi possibile situazione. Una sospensione. Ciò che lei dice mi fa pensare alla fissità letteraria dei suoi personaggi, che mi ricordano proprio la fissità pensosa dei guerrieri di Piero Della Francesca, con quello sguardo diretto e sperduto. Sissignora! In realtà il problema non è quello dello spazio narrativo, perché quello è facile. Il problema è del tempo narrativo che apparentemente sembra bloccato in quel momento, ma cosa c'è immediatamente prima di quell'attimo e cosa c'è subito dopo? Questo è il discorso. Lei, in questo momento, cosa ci vede nella letteratura italiana? Molto movimento! Non che dobbiamo lasciar perdere quelli che ormai la loro strada se la sono fatta ma ci sono dei giovani che sono molto interessanti. Per esempio, nel campo del giallo, c'è Lucarelli che io trovo straordinario. Fra i vecchi, pigliamo Piamonte. Poi c'è un palermitano, Liotta. A volte ci si piange addosso, ma a me sembra che gli scrittori ci siano, diamo loro la possibilità di crescere. Molta speranza. Guardi che io sono speranzoso. La vecchiaia non è che mi faccia chiudere in me stesso, semmai mi apre sempre più alla speranza. Quello che Alfieri chiamava "l'umor nero del tramonto" io non lo sento. Io penso ad un tramonto bellissimo, pieno di cose e di colori. La vita evita che ci si possa distaccare, dai figli, dai nipoti, dagli affetti; quando pensavo che fosse chiuso il cerchio degli affetti, esaurite le possibilita, è spuntata una nipote nuova, una creatura che in questa spaventosa terribile ricchezza che è la capacita di amare mi fa ricominciare con un sentimento nuovo. Ecco qui!

a cura di Adriana Pedone