la Repubblica - Giovedì, 17 settembre 1998 - pagina 40

di MARIA PIA FUSCO

"Per noi siciliani la maschera è una abitudine secolare"
CAMILLERI IL BURATTINAIO

ROMA - Dalla regia teatrale, alla letteratura al cinema: Andrea Camilleri, classe 1925, debutta come attore in La strategia della maschera, che sarà presentato oggi ad Annecy nel corso della 16ma edizione del Festival del cinema. Scritto e diretto da Rocco Mortelliti, il film viene da un' idea di Camilleri e lo spunto è il ritrovamento di quaranta modellini in terracotta della Commedia Nuova di Menandro, terzo secolo a.C., avvenuto durante uno scavo archeologico a Lipari negli anni Settanta. La strategia delle maschere, prodotto da Demetrio Loricchio, distribuzione Cecchi Gori, è stato girato a Kamarina presso Ragusa e al Museo Barracco a Roma. Camilleri è il vecchio archeologo che, nella finzione, indaga sulla sparizione di dieci delle preziose maschere e spinge verso un percorso obbligato suo nipote Riccardo, interpretato da Mortelliti, suo ex allievo e genero, o meglio, con le parole di Camilleri, "il primo a rendermi nonno". Andrea Camilleri, come definisce il suo ruolo? "Sono il burattinaio buono che muove i fili del destino del nipote. Nel film il giallo è un pretesto per raccontare la crescita di un personaggio che, con sfumature vicine alla metafisica, avviene attraverso l' uso delle maschere. Il momento della crescita è quando Riccardo si mette in gioco del tutto e finalmente diventa se stesso. Per noi siciliani la maschera è cosa nota, non si sa quante ce ne siamo imposte nel corso dei secoli. Lo dimentichiamo, ma siamo ancora a Pirandello". Potrebbe essere una nuova carriera quella dell' attore? "Intanto il debutto è solo per il cinema, in tv avevo fatto il capo della scientifica in tre gialli di Corrado Augias. Mi piaceva l' idea di passare dall' altra parte e soprattutto di lavorare con un attore meraviglioso come Jean Rochefort. In cinema è la prima volta, non potevo dire di no. Non è stato difficile lavorare con Rocco. Lo dico da insegnante di regia, il mestiere di regista consiste nel capire chi è la persona che ti sta davanti, e con Rocco c' è il vantaggio che la conoscenza ormai è antica. Bastavano quattro, cinque indicazioni per intenderci". Ripeterà l' esperienza? "Non credo, è un lavoro noioso. Andando sul set mi sono portato quattro libri, sperando di leggere nella roulotte durante le pause. Impossibile, il personaggio che devi fare ti sta attaccato addosso, neanche le parole crociate ho potuto fare". C' è una punta di vanità nelle apparizioni di attore? "Se devo essere sincerissimo, la vanità e l' invidia non rientrano tra i miei vizi. Recitare è stato un gioco, non una vanità. Quanto all' invidia non riesco proprio a provarla, se in letteratura qualcuno fa belle cose io sono contento. L' invidia, se mai, è per un Grisham che scrive due libri e si compra una fattoria in Massachissets e campa di rendita. Ma è invidia per un sistema diverso, che prevede best-seller da milioni di copie". Con il successo dei suoi libri non è diventato ricco? "Ricco no. Si comincia a maneggiare qualche lira, posso permettermi piccole soddisfazioni che prima mi negavo". Lei dice che il cinema in tv va visto solo in caso di malattia grave... "Ma sì, tra un film in sala e uno in tv la differenza è quella tra un tramonto vero e uno su cartolina. Io li guardo solo perché sono molto pigro, ma sono polemico sul cinema in tv almeno quanto lo sono contro il progresso della medicina. Un tempo ci prendevamo le malattie e stavamo a letto quaranta giorni. Non c' era la tv, la radio era un mammozzo troppo pesante per essere spostata dal salotto e non si poteva fare altro che leggere. Come si faceva, altrimenti, a leggere Proust? O una malattia o una condanna, Bontempelli lesse Proust quando andò in prigione durante il fascismo. Le medicine di adesso ti stroncano ogni malattia in due giorni, e addio lettura".