Il Messaggero 09-04-1999

Stasera debutto ufficiale a Catania Il Birraio di Preston va in scena e ritrova la Sicilia di Camilleri

CATANIA - Una popolazione di tipi, anzi, di archetipi: sono i Siciliani, aristocratici persino nella nefandezza. E, fra loro, qualche papavero trapiantato da chissà dove, il Prefetto che viene dalla Toscana, ad esempio, o il Questore, sceso dalle barbariche terre lombarde. Poi, casus belli, un teatro da inaugurare. Ma non con Verdi, o con Bellini, il cigno catanese, bensì con un’opera del semisconosciuto Ricci su libretto dell’oscuro Guidi. L’intera città, Vigata, scende in lotta contro la disposizione prefettizia che esige l’allestimento. Marasma generale. Ribollono i circoli, i salotti, le chiese, le alcove. La gente parla, grida, complotta. E Il birraio di Preston? Andrà in scena nel ludibrio generale, spernacchiato da tutti, contestato, ridicolizzato, fatto a pezzi. Nel frattempo... Il birraio di Preston, romanzo di successo di Andrea Camilleri, diventa materia teatrale nell’adattamento firmato in coppia dallo stesso Camilleri e da Giuseppe Dipasquale, regista dello spettacolo in scena da stasera allo Stabile di Catania. Il lavoro, solido e capillare, non rinuncia a nulla, o quasi, del libro dal quale proviene. Composto in partitura articolata, intrecciata, sovrapposta, è un gioco ad incastri che va da un ambiente all’altro ininterrottamente, ora in interni, salotti, camere, uffici, ora in esterni di diversa natura, coinvolgendo una folla di personaggi e situazioni. La messinscena (due tempi di un’ora e mezzo ciascuno) abbraccia vari generi, dalla commedia alla farsa, dal dramma satiresco alla tragedia borghese, nutrendoli di sapori consistenti, di profumi autentici. Dipasquale racconta e ha il suo daffare con le luci: i bui per dividere quadro da quadro, le diffuse morbide di tono crepuscolare, i tagli sistemati in quinta per farli piombare sugli attori come sciabolate. Ma tiene in mano le molte tessere e riesce a dare unità al grande mosaico, i cui particolari risaltano uno per uno con efficacia, anche grazie all’impiego di tecnicismi non elementari. Gli attori sono tanti, dediti a rendere con l’obbligatoria immediatezza il particolare linguaggio del testo (Camilleri, si sa, fa fiorire la sua scrittura di parole e assonanze isolane). Fatica non poco chi deve riprodurre cadenze dialettali centro-nordiche, ma recupera lo svantaggio imprimendo alla gestualità l’esatto, intimo senso delle battute. Così, fra porticati scuri, montagne di sale che si asciugano al sole, giovani vedove in fregola amorosa e alberi d’arancio carichi di frutti, l’avventura del Birraio toglie il coperchio a molte pentole, anche a un delitto e ai suoi protagonisti, colpevoli e innocenti che il delegato Puglisi (un ottimo Giulio Brogi) smaschera e insieme ”salva” con umana pietà. Bravi, ovviamente, artisti-colonna dello Stabile quali Miko Magistro e Tuccio Musumeci.

Rita Sala