Quando la sinistra si veste da Arlecchino
All’inizio l’abito che usavano gli uomini della sinistra era confezionato da un sarto unico e geniale. Naturalmente il vestito veniva di volta in volta ritoccato, solo in alcuni particolari, per adattarlo al movimento del corpo di chi doveva correre a lungo o per spronare, al contrario, chi camminava troppo adagio. A forza però di usarlo tutti i giorni, il vestito cominciava a sgualcirsi, a sciuparsi e perdere lucentezza.
Il trascorrere del tempo, d’altra parte, aveva scolorito il tessuto originale, esposto com’era per troppo tempo alle intemperie, quindi il filo usato per rammendarlo denunciava, grazie ai suoi brillanti colori, non solo la sopraggiunta necessità di un ritocco, ma anche l’inequivocabile logorio dell’abito.
Alcuni sostenevano la tesi opposta: bisognava comunque rammendare il vestito, perché quei fili nuovi e lucenti sopra un tessuto logoro avrebbero sottolineato il valore storico dell’abito e, allo stesso tempo, la sua capacità di accettazione del nuovo. Altri, invece, cioè quelli che dichiaravano di possedere senso comune, si mostravano preoccupati dal fatto che i fili nuovi, in virtù della loro innata robustezza, potessero provocare degli strappi molto peggiori in quelle parti ancora sane del tessuto originario sulle quali, per forza, bisognava fare i rammendi.
Allora, qualcuno decise che la miglior soluzione del problema stava nell’applicare all’abito un pezzo nuovo. La proposta venne approvata all’unanimità. Quando però si recarono al vecchio indirizzo della sartoria costatarono che quest’ultima, dopo l’ingresso di nuovi soci e aver cambiato diverse volte la gestione, aveva chiuso i battenti.
Decidono allora di rivolgersi ad altre sartorie e negozi, senza però riuscire a trovare lo stesso tessuto. “Che fare?” chiede allora uno di loro, guardato con sospetto dagli altri poiché quella domanda suscitava ricordi confusi e spiacevoli. Tra lo sconcerto generale, un terzo lancia una proposta che a prima vista sembra blasfema, ma che un secondo dopo suscita solo della perplessità. Alla fine, la proposta però viene accolta da tutti, poiché nel frattempo, le parti sgualcite del vestito si erano trasformate in veri e propri buchi: tappiamo gli strappi del vestito con tessuti di diverso colore. Non siamo forse noi, quelli della sinistra, anticonformisti per natura e definizione?
In ogni caso, una piccola minoranza decide di continuare ad indossare con orgoglio ( o testardaggine?) il vecchio vestito, nonostante ciò li faccia sembrare dei mendicanti. Nel frattempo, a forza di toppe variopinte, il vecchio vestito subisce una profonda trasformazione: non è più ormai un vestito, ma è diventato una vera e propria maschera di Arlecchino. Comunque, la maggior parte di loro si sente a proprio agio col nuovo vestito. Per evitare equivoci: la mia personale maschera di Arlecchino ha una toppa volutamente cucita solo da un lato. Di conseguenza, muovendomi, sventola. Sotto, scolorito e sdrucito, l’unico pezzo di tela di quello che una volta era l’abito che indossavo con orgoglio.
Qual è oggi l’identità della sinistra? In passato, avevamo tutta una serie di risposte piuttosto adeguate alla domanda. Oggi, in modo più generico, possiamo ancora citare con meno polemiche di allora, le parole che nel 1948 scrisse Maurice Merleau-Ponty: “ Il problema politico (delle sinistre) consiste nell’istituire strutture sociali e relazioni reali tra gli uomini tali che la libertà, l’uguaglianza e il diritto diventino effettivi. Ebbene, a mio giudizio, se la sinistra in Europa raccoglie dei consensi non è perché ha perso del tutto la propria identità, bensì perché ha saputo e potuto scoprire affinità elettive o reali tra coloro che, pur non dichiarandosi di sinistra, in un certo qual modo non erano d’accordo con quelli che non si ponevano in assoluto alcun problema di struttura sociale.
In altri termini: se la sinistra avesse continuato a indossare il vestito che una volta fu suo, oggi non si troverebbe al punto in cui si trova. Ha dovuto cambiare il vecchio vestito con quello di Arlecchino.
Arlecchino è sempre stato un pagliaccio, un servo che ha sempre dovuto vedersela col padrone di turno. Così facendo è riuscito a rimanere nello scenario della commedia dell’arte fino a diventarne il protagonista.
Quando andavo a scuola, il professore di geografia ci aveva fatto comprare una specie di album di una decina di pagine, tutte con lo stesso disegno: l’Europa con le frontiere delle diverse nazioni. Dovevamo individuare le capitali, i fiumi, le catene montuose, ecc. Una volta ci chiese di evidenziare, con diversi colori, la configurazione politica dell’Europa. Coloravamo di rosso l’URSS, l’Italia di nero (erano i tempi del fascismo) e la Germania di marrone. I paesi democratici li coloravamo di bianco. Questo perché ci sembrava che le democrazie non avessero colore. Se oggi lo stesso professore di geografia mi chiedesse di rifare lo stesso lavoro di allora, dovrei miscelare il rosso con molto bianco, ottenere un unico colore di base, per poi lavorare con questo e ottenere ancora diverse gradazioni, per poter colorare la Francia o la Germania, l’Italia o l’Inghilterra.
Il problema che si pone è questo: qual è il punto di non ritorno, al di là del quale la somma delle varianti comporta un’irreversibile trasformazione dell’identità? In una famosa commedia di Goldoni, Arlecchino, dopo diversi travestimenti, equivoci e cambi di personalità, viene interpellato da un altro personaggio: “ Sei armeno?”. Arlecchino, stanco di tutti questi cambiamenti , risponde: “ Sì, sono un armeno di Bergamo”. Qui dunque sta il rischio: ritrovarsi armeni di Bergamo.
Nei miei anni giovanili, subito dopo la seconda guerra mondiale, la politica deteneva il primato senza bisogno di rivendicarlo. Negli ultimi anni, elezione dopo elezione, il primato lo sta conquistando la non politica. Non mi riferisco solo alla disaffezione, all’indifferenza, al numero ogni volta maggiore di gente che non vota, bensì e soprattutto, a coloro che dicono di fare politica. E’ la decadenza della politica di qualità che sta allontanando, per esempio, i giovani in cerca di motivazioni di grande spessore. Diverse forme di ricatto vengono scambiate oggi per politica. Se fai il ponte sullo Stretto, ci ritiriamo dalla maggioranza; se partecipi ai bombardamenti contro la Serbia, facciamo cadere il governo; se i giudici non decidono a mio favore, salta in aria qualsiasi accordo sull’elezione del presidente.
Di questo passo arriveremo perfino a ricatti minimi: se non mi permetti l’uso del telefonino in aereo, io che rappresento il voto che tiene in piedi il governo, lo faccio cadere. Aereo compreso. Oggi la politica si presenta come una sequenza di ricatti mescolati in un gigantesco acquario, dove le distorsioni ottiche alterano continuamente la realtà del quadro: pesci-scorfano che sembra stiano da un lato, un secondo dopo si trasformano in pescispada e cambiano posizione, intorbidando sempre di più l’acqua. I pochi politici autentici (ce ne sono ancora, per fortuna) corrono il rischio quotidiano di esercitare la tecnica della politica, non semplicemente la politica.
E’ vero che, come scriveva Montaigne, l’attuazione delle idee di governo concepite a tavolino, risulta di difficile se non di impossibile realizzazione. La fine della Democrazia Cristiana (ma è davvero finita?) ha operato una netta divisione tra laici e cattolici. Lo si vede dalla difficoltà che incontra un governo correttamente laico nell’approvare leggi che, in un certo senso, non si sposano con certi principi religiosi. Dal 1945 ad oggi, la sovranità nazionale italiana è sempre stata limitata, e non solo dall’esistenza delle basi NATO (più o meno facilmente trasferibili). E si vuole continuare a restringere sempre di più i margini di questa limitata sovranità (scuola privata, leggi sulla famiglia). Trovandosi a servire due padroni Arlecchino dice di sentirsi molto affaticato. Si può pensare di arrivare a servirne tre?
A proposito di Europa. Ho detto, in molte occasioni, di essere contento che il mio vestito da Arlecchino non sia confezionato da un sarto italiano ma da uno europeo. Ma è indispensabile che, per sentirmi a mio agio e muovermi meglio, le mie mutande siano italiane. Questa facile metafora significa che le radici culturali e la loro sopravvivenza devono essere difese al di sopra di tutto.
Evidentemente, sinistra significa coerenza. Vuol dire che le promesse fatte, si devono mantenere. Prodi, per esempio, ci aveva promesso di farci entrare in Europa a costo di molti sacrifici. Abbiamo fatto i sacrifici e siamo entrati in Europa. Non sono ancora riuscito ad uscire dallo sconcerto. Vi prego di non continuare a sconcertare dunque questo povero Arlecchino.
Andrea Camilleri