La Repubblica 08-04-1999
Camilleri: un birraio da scoprire a teatro
ROMA - Narratore oggi lettissimo, ma con lunghi trascorsi di regista di teatro
e di insegnante di regia all'Accademia Nazionale "Silvio D'Amico", con il
romanzo "Il birraio di Preston" Andrea Camilleri debutta sulle scene come
autore: la riduzione teatrale dell'opera, sua e di Giuseppe Dipasquale
che firma l'allestimento, verra' battezzata doani 9 allo Stabile di Catania
che ne e' anche produttore, con Giulio Brogi nei panni del Delegato Puglisi
e, tra gli altri, Tuccio Musumeci, Miko Magistro, Armando Bandini, Mariella
Lo Giudice.
Curioso destino, il suo, Camilleri. Lei ha dedicato la vita al teatro, ma e'
giunto a guadagnarsi il titolo di drammaturgo sole grazie a un suo lavoro
letterario
"E' una faccenda singolare. Di teatro mi sono occupato quotidianamente nel
corso di anni e anni, ma quando poi m'hanno chiesto una commedia, dei dialoghi
mi sono scoperto negato".
A frenarla e' un ritegno artistico, una sfiducia nel mezzo espressivo, o che
altro?
"Influiira' il fatto che considero il tatro, adesso, in Italia, come una pietra
da buttare in un pozzo profondissimo per aspettare un'eco.
Ma e' anche vero che ho avuto la fortuna di ricevere committenze con garanzie
di messiscena immediata. E nonostante questo, nulla. Prendevo il foglio,
scrivevo in cima Atto I, Scena I, e mi paralizzavo. M'hanno demotivato
pure gli esempi eccezionali di sconfinamento teatrale di Sciascia e Moravia
autori cui non voglio paragonarmi.
L'unica risora adottabile era la riduzione di un mio stesso romanzo. Ma
preferisco il termine trasposizione".
Come'e andata, a proposito de "Il birraio di Preston?"
"Semplice lo Stabile di Catania m'aveva gia' chiesto di teatralizzarlo, ma io
non riuscivo a immaginare un contenitore che funzionasse, sulla ribalta, per
tutte le sequenze temporali del romanzo. Poi m'hanno chiesto di farlo in
radio, e li' e' stato semplice. Di questo approccio intermedio ho parlato a
un regista mio ex allievo, Dipasquale. E lui ha risolto i problemi scenici.
Avevamo anche meno doveri di livellamento linguistico di quanti ne ho conosciuti
invece per "Il commissario Montalbano" televisivo, i cui primi episodi andranno
in onda a maggio".
Qual'e' stata qui la chiave di lettura per una vicenda che lei aveva tratto
da un fatto vero?
"Intanto c'e' un rovesciamento di tempi. S'inizia quando il teatro, dopo tante
storie, e' bruciato. Con un spazio scenico sospeso, e con una successione
atemporale di tutti gli episodi su due tapis roulants. Sfrondando ma rispettando
il novanta per cento dell'essenziale con censure e accelerazioni".
E compare qualcosa di nuovo nella storia, nella trasposizione teatrale del
"Birraio?
"Si. C'e' un personaggio nuovo, l'Autore, che pero' non fa da tessuto connettivo
ma piuttosto crea alcune situazioni, manifestando a volte i miei verissimi
stati d'animo. Lo dico avendo spiato le prove, avendo verificato le identiche
commozioni, incertezze."
Un esempio?
"Quando lui e lei devono esprimere solo a gesti il loro innamoramento"
La versione teatrale la prende di contropiede, la stupisce?
"Mi sono accorto che ho sempre pensato al teatro, scrivendo il romanzo, e m'ha
fatto [iacere che Brogi abbia individuato nel suo Delegato il nonno del
commissario Montalbano. E' cosi', a pensarci bene. Resta intatto un significato
del Birraio: l'ironia d'uno straniamento sopra le righe".
Cos'altro si potrebbe convertire in teatro, dalla sua produzione letteraria?
"Direi La concessione del telefono, un romanzo di cose scritte e di cose
dette".
di Rodolfo Di Giammarco