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ANDREA CAMILLERI
Non chiamatemi giallista, ma “contastorie”


di Alberto De Benedetto


Andrea Camilleri, nel suo ultimo libro lei affronta in chiave ironica il giallo storico. Quali sono stati i suoi punti di riferimento: Gadda, Campanile?
«Ognuno ha il suo metodo. Io ho applicato la teoria degli anni nonni. La conosce? Sono molto più complicati degli anni luce. Se lei mette in fila dodici nonni finisce che uno vide Giulio Cesare morire. In parole povere: ho bisogno di vivere il tempo in cui parlo, e per questo ho bisogno soprattutto di testimonianze orali. Per questo ho preso spunto, per la stesura del romanzo, dagli appunti di Leopoldo Franchetti per la sua inchiesta sulle condizioni socio economiche della Sicilia del secolo scorso».

C’è un proverbio africano che dice: quando muore un anziano, brucia una biblioteca...
«E’questo che volevo dire. Le testimonianze consentono di calarci nel tempo passato, di rivivere le vicende che furono. Marcel Proust, con la sua letteratura della memoria, lanciò un sasso nello stagno: ma la memoria degli uomini rimane perlopiù orale »

Ne “La mossa del cavallo” lei affianca, al consueto italo-siciliano, il ligure. Mi sembra più problematico, perchè in quei brani la comprensione è difficoltosa.
«Ho scelto appositamente il ligure. Pensi quanto sarebbe facile far parlare il protagonista in veneziano. La letteratura, anche quella teatrale, è piena di dialetto veneziano. E poi la difficoltà di comprensione è funzionale al personaggio e alla trama».

Il sociologo Siegfried Kracauer nota come nel giallo lo spessore dei personaggi viene sacrificato in favore del plot, ovvero della trama del racconto. Dice che sono ridotti a spaventapasseri. Mi pare che lei abbia utilizzato una strategia contrapposta...
«Prima di me, immodestamente, lo hanno fatto in parecchi. Pensi ad esempio a Carlo Emilio Gadda, o a Friedrich Dürrenmatt o al mio conterraneo Leonardo Sciascia».

In tutti i suoi libri si nota un palese impegno civile. In passato dichiarò che il primo risarcimento dei piemontesi alla Sicilia è stato il giudice Giancarlo Caselli. Questa voglia di denuncia è fonte di ispirazione? E’ un fine dei suoi libri?
«Io rispetto l’intelligenza. Louis Ferdinand Céline è stato uno scrittore straordinario, sebbena la sua passione politica l’abbia portato a essere antisemita. Non discrimino l’impegno politico, che ci sia o no. Discrimino l’intelligenza. Eduardo De Filippo diceva di temere il fesso».

Le sue opere hanno spaccato in due gli intellettuali italiani. Alcuni ritengono la sua narrativa commerciale, altri di grande valore. Lei dice di essere un cantastorie.
«Preferirei contastorie, con la o, contastorie...»

Quali autori ritiene importanti nel panorama italiano del giallo d’autore?
«Ce ne sono molti. Sicuramente Giuseppe Ferrandino, che nella sua apparente leggerezza rievoca sapori aristotelici. E il suo linguaggio è straordinario, mi piace molto. Anche Carlo Lucarelli è bravissimo, il panorama italiano è denso di talenti».

Lei è arrivato al successo tardi. Come vede gli editori di oggi? Siamo ancora al punto di rifiutare Kipling e Proust?
«No, quei tempi per fortuna sono lontani, mi sembrano assai maturi nelle scelte. Ed è cambiato anche il pubblico a cui si rivolgono i libri».

I suoi progetti?
«Sto continuando a scrivere i gialli di Montalbano per Mondadori, e un romanzo storico su cui lavoro da cinque anni, “Il re di Girgenti”, che è un lavoro complesso, perchè tratta la storia di un contadino nel 1734. E mi sono basato anche sulle testimonianze orali, come al solito...».