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ANDREA CAMILLERI SCRISSE IL CORSO DELLE COSE più di trent'anni fa. Sembra incredibile, alla luce del successo che l'ha investito con la violenza di un tornado alla veneranda età di 73 anni, ma dovette pubblicarlo a sue spese.
   Il creatore del commissario Montalbano continua ad occupare contemporaneamente diversi posti delle classiche di vendita. Ogni volta che esce un suo nuovo libro trascina tutti i titoli vecchi: Il ladro di merendine, La forma dell'acqua, La voce del violino, la Concessione del telefono (tutti pubblicati da Sellerio) e l'antologia di racconti Un mese con Montalbano (Mondadori).
   Quest'estate Camilleri ha deliziato i suoi numerosissimi lettori con La mossa del cavallo (Rizzoli), giallo storico che prende spunto da un'inchiesta sulle condizioni economiche della Sicilia dello scorso secolo. E a fine ottobre, proprio perché l'astuto Camilleri non vuole scontentare nessun editore, Baldini & Castoldi pubblicherà una sua raccolta di pensieri, o meglio un diario intimo, intitolato Sicilianità. Qualunque altra persona avrebbe perso la testa, lui invece può permettersi di fare dichiarazioni azzardate:
Nei miei confronti trovo che ci sia un eccesso di consensi. Per fortuna io me ne frego, altri si troverebbero in difficoltà a scrivere un nuovo romanzo.

Quando ha capito che le cose stavano cambiando?
   Ho avuto dieci anni di rifiuti dalle case editrici, ma non facevo drammi. Pensavo, in virtù della mia concretezza, che quella non era la mia strada. Quando Garzanti mi ha pubblicato Un filo di fumo, le tremila o cinquemila copie mi andavano bene.

A quel punto si considerò uno scrittore professionista?
   Una volta Aldo Busi in una trasmissione, col suo consueto amore per il paradosso, disse che un scrittore può dirsi tale quando ha venduto cinquemila copie. Perciò io sentivo di avere la patente. E quando Elvira Sellerio mi disse che Il Birraio di Preston era arrivato a diecimila copie, esultai.

Adesso sta scrivendo un altro romanzo?
   No e non so quando lo farò. E' appena uscito La mossa del cavallo, senza Montalbano e non ambientato a Vigàta. Poco prima era uscito Il corso delle cose, forse il mio lavoro migliore.

Che tipo di infanzia ha vissuto a Porto Empedocle?
   Splendida, ed è per questo che alla fine mi sono ribellato ai miei genitori. Ero figlio unico, erano morti due fratelli prima di me, quindi si può immaginare come venivo trattato. Mio padre era un ispettore generale delle capitanerie di porto e i miei compagni erano figli di pescatori e contadini. Volevo essere pari a loro e ho fatto ogni genere di cattiverie, da vera carogna. E sono finito in collegio.

La Sicilia aiuta la produzione narrativa?
   Credo che sia il clima. Basti pensare a Bufalino, Sciascia, Pirandello o Tomasi di Lampedusa. Senza l'humus siciliano cosa sarebbero stati?

Il commissario Montalbano come ha preso forma nella sua testa?
   Il mio modo di scrivere è anarchico, metto su carta uno stimolo e non so che sviluppo avrà. Comunque sia sono convinto da sempre che la gabbia più forte per un narratore, come dice Sciascia, è lo schema del giallo.

Attraverso di lui si prende qualche rivincita?
   Visto che non posso mangiare, sogno attraverso lui di fare scorpacciate luculliane. Per il resto non condivido tante sue idee.

Dai suoi romanzi sembra bandita la proverbiale omertà dei siciliani.
   Sì, perché i siciliani non sono omertosi, basta solo saper "decrittare" il loro modo di ragionare.

Perché scrive impastando l'italiano e il siciliano?
   Io racconto storie. E questo è il modo in cui le hanno raccontate a me, lo stesso che uso per raccontarle ai miei nipoti.

Mariano Sabatini,  16 settembre 1999