Liberazione 05.10.1999 

Andrea Camilleri pessimista temperato

"Sono un racconta-storie che cerca di farlo nel migliore modo possibile".
Andrea Camilleri, il caso letterario degli ultimi anni, si presenta cosi'. E non si tratta di falsa modestia, perche' per lo scrittore siciliano saper raccontar storie e' un fatto fondamentale. E' la sua vita. All'indomani della pubblicazione de Gli arancini di Montalbano (ed. Mondadori pp.338 L.28.000) una raccolta di racconti con protagonista il celebre commissario, ma soprattutto dopo il successo straordinario che continua a toccarlo, Camilleri conserva una naturalezza e gentilezza di modi veramente rara. Non si e' montato la testa ma, nonostante le milioni di copie vendute, ha vivo il desiderio di confrontarsi. Con grande attenzione risponde a tutte le domande, si appassiona, si mette in gioco come se fosse al suo primo romanzo. E non rinuncia, da racconta-storie, a interpolare le risposte di aneddoti, ricordi, curiosita'. La sigaretta quasi sempre in bocca, ragiona lucidamente su tutte le questioni, senza mai rinunciare ad una buona dose di ironia, che non diventa sarcasmo neanche quando affrontiamo quella piu' spinosa: il giudizio sul suo lavoro.

Camilleri, come valuta le reazioni della critica, spesso livrose nei suoi confronti?
Il rapporto tra me e la critica rischia di essere un problema complesso. Non si puo' semplicisticamente ridurre all'invidia. C'e' stato un quindicinale siciliano, Stilos, supplemento del quotidiano La Sicilia, che tempo fa ha proposto una sorta di processo nei miei confronti. Scrittori e critici hanno detto di me, bene e male. Che cosa mi ha lasciato perplesso? E' quando facevano una singolare premessa: "Ho letto solo tre pagine". E dopo di che giu' a stroncare. Come e' il caso di Maria Corti, tanto per non fare nomi. Quando, invece, ci sono critici che motivano il loro dissenso, non ho nulla da ridire, ho pero' voglia di incontrarli per parlare con loro. E' chiaro che una situazione come la mia sorprende per primo me e mi mette sincerissimamente a disagio. Vorrei pero' che il discorso sulla mia opera venisse fatto al di fuori del successo. Come aveva notato Carlo Bo, che non e' un critico al quale io possa piacere: perche' fare tanto macello quando in francia e' esistito un Simenon, che scriveva gialli da un lato, romanzi di tutt'altro interesse dall'altro, tanto che Gide lo stimava il piu' importante scrittore francese del Novecento? In Italia c'e' una singolare situazione per cui il romanzo o e' una cattedrale o non e'. Io invece sono orgoglioso di realizzare belle case di campagna, messe al posto giusto, bianche, che non cozzano con il paesaggio.

Oltre ai libri dedicati a Montalbano lei ha scritto diverse opere in cui la storia diventa materia narrativa.
Prendiamo La mossa del cavallo. Ma dio mio, come mai nessuno si e' reso conto che bastava unasemplice sostituzione dei nomi per scrivere una storia di oggi! Forse non sono stato bravo a spingere il pedale fino in fondo, ma del resto se lo avessi fatto avrei composto un libello. Mi sono perfino divertito a prendere frasi intere di un politico italiano, ma credo che nessuno se ne sia accorto. Allora mi viene il dubbio che non convenga proporre opere di un certo impegno, ma scrivere il Montalbano piu' smplice.

A proposito di politica ... Che cosa penserebbe Montalbano del caso Andreotti, che ha tutti i connotati per potergli piacere, non ultimo il coinvolgimento della sua Sicilia?
Gia' tempo fa ho espresso pubblicamente la mia opinione, per la quale ho ricevuto una risposta autografa del senatore Andreotti. Quando a Palermo furono chiesti 25 anni di carcere, io dissi che non mi sembrava il caso di sollevare tutta quella questione, perche' se il pubblico ministero aveva fatto delle accuse era chiaro che poi doveva proporre una pena adeguata. Una cosa mi andava bene: l'atteggiamento di Andreotti. Sette volte presidente del Consiglio, senatore a vita, se ne e' stato tranquillamente nel banco degli inputati, non e' ne' scappato ad Hammamet ne' si e' rifiutato di presentarsi ai magistrati come un altro ex presidente del Consiglio continua a fare. La giustizia italiana, per quanto riguarda il processo Pecorelli, ha dichiarato innocente Andreotti. Lo sa che cosa le dico? Che per il suo comportamento ne sono quasi contento.

Quasi?!
Quasi, certo, perche' non ho mai votato il partito di Andreotti. Dietro questa vicenda c'e' un grande problema politico, che pero' non riguarda quel processo. Accomunare le due cose non e' serio, e' stato serio lui. E lo dico a nostro scorno, essendo io comunista da 40 e passa anni.

Lei parlava, a proposito dei suoi romanzi, di realta' contemporanea. Non crede che sia proprio questo elemento ad attirare i lettori?
Un anno fa Alias, il supplemento de Il manifesto, mi dedico' una pagina intera, sostenendo che sono una sorta di Liala contemporaneo, un buonista, uno scrittore consolatorio. Non sono uno scrittore violento, ma neanche consolatorio. Se qualcuno pensa che l'ultimo capitolo de La mossa del cavallo lo sia, si sbaglia di gran lunga. Anzi non sa leggere, come non sa leggere l'ultimo capitolo de Il birraio di Preston che diventa la storia con la "s" maiuscola scritta da rivisionisti e da uomini d'ordine. Non si puo' confondere il modo con cui uno narra con la sostanza. Eh no! La mia e' solo una forma civile di raccontare. La sostanza e' un'altra. Quando ho ricevuto il Premio Flaiano a Pescara la gente continuava a dirmi: "Oh dio, quanto ho riso". Ho risposto: "Attenzione, rileggete, e se possibile ridete di meno".

In uno degli ultimi racconti, Montalbano con una telefonata la richiama all'ordine, chiedendole di lasciare lo stile violento agli scrittori cannibali. Oiu' che un intento polemico sembra un richiamo bonario ...
Nel gruppo dei cannibali ci sono alcuni scrittori veri. Mi sembra, pero' che operino con materiale di riporto, applicando una realta' cinematografica o romanzesca a una situazione completamente diversa quale e' quella italiana. Mi auguro, invece, la nascita di un cannibale autoctono che non abbia l'aria di riporto. Aspetto il giorno in cui mi ammazzeranno, naturalmente letterariamente. Ma che lo faccia qualcuno che disponga di armi serie, vere!

La sua scrittura sperimenta la contaminazione tra l'italiano e il dialetto. Ritiene di avere qualche affinita' con un altro scrittore siciliano, Vincenzo Consolo, che in questi anni ha portato avanti un intenso lavoro sulla lingua?
Se oggi partecipassi al quell'orribile gioco della torre che va tanto di moda - chi butti giu' o cho salvi? - sicuramente salverei Consolo, di cui ho una stima immensa. Egli lavora non tanto con le parole ma con la struttura del dialetto allo steso modo in cui faceva Giovanni Verga. La mia ambizione e' invece quella di entrare dentro un parlato che sia letterario, un' operazione che muove da altre ragioni. Sono del resto sempre piu' convinto che di fronte alla globalizzazione, di fronte all'omologazione televisiva, gli scrittori abbiano il dovere di recuperare le loro pecularieta'. Allora una scritturacome quella di Consolo diventa fondamentale. Come vede io mi esprimo su di lui, mentre Consolo si e' rifiutato di fare altrettanto nei miei confronti, dicendo che la materia riguarda gli antropologi.

A proposito della sostanza del racconto, lei si considera un pessimista?
Un pessimista temperato. ALfieri diceva che superata una certa eta' c'e' "l'umor nero del tramonto". Io proprio nero nero non ce l'ho. Ce l'ho grigio. Ma sa questo cosa significa? che uno crede veramente nel cambiamento - come io ci credo - ma sa che non fara' in tempo a vederlo. Perche' il cambiamento im Italia e soprattutto nel mio paese, la SIcilia, non deve avventire nella superficie ma nel DNA. comporta del tempi lunghi, pazienza, coraggio.

fino a dieci anni fa lei e' stato responsabile della prosa RAI. E' d'accordo sul fatto che le attuali proposte di fiction siano scadenti?
E' una situazione che riguarda tutta la fiction, sia quella televisiva che cinematografica. Il problema e' quello della sceneggiatura. In Italia, a differenza che negli Stati Uniti, non esistono una programmazione e investimenti a lungo termine, ne c'e' la figura dello sceneggiatore professionista. E lo paghiamo, perche' riusciamo a scrivere solo storie paesane senza respiro. Dovrebbe invece esserci una maggiore attenzione alla ricerca di soggetti e sceneggiature diverse dall'usuale, su temi che consideriamo ancora tabu'. La televisione ci dovrebbe portare in casa i temi piu' arditi. Se uno non vuole vederli, spegne il video.

Intanto un prodotto mediocre come Un medico in famiglia ottiene audience altissimi ...
Il problema e' quello della qualita'. Il fatto e' che le tv private hanno ammazzato lo spirito della televisione di Stato facendola entare assurdamente in concorrenza. Quella che oggi fa male il suo lavoro e' la RAI, non certo i canali di Berlusconi. Non si puo' entrare nella stessa logica dell'avversario, se ne devono capire i modi, il sistema di pensiero, ma per fare qualcosa di diverso. La tv commerciale deve prendere soldi da tutte le parti, quindi deve raccattare consenso. Quella pubblica dovrebbe al contrario realizzare trasmissioni che raccattino dissenso, per far pensare.

Lei insiste sul concetto di tv di Stato. Oggi pero' e' in corso un processo di privatizzazione.
Sono contrario alla privatizzazione della RAI. Sarei favorevole se perde identita'. se la conserva deve restare tv di Stato.

Angela Azzaro