Interventi di Andrea Camilleri al Maurizio Costanzo Show di mercoledì 17/02/1999 sul tema Vecchi e giovani


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Certe statistiche mi lasciano completamente indifferente. Perché io credo che se facessero un'indagine sui vecchi, i vecchi direbbero esattamente le cose rovesciate che i giovani dicono dei vecchi. Cioè “questi non studiano”, etc. Io credo che ci sia una crisi di fondo. Poi 'sta generalizzazione giovani-vecchi lascia sempre un po' il tempo che trova perché è una generalizzazione anagrafica, no? Io ho incontrato dei ventenni che erano assai più grandi di me, erano già in punto di morte devo dire, ecco. Però ci sono –sempre meno di quando eravamo noi giovani- ragazzi, giovani che nutrono, vivono delle passioni. Per esempio, Sandro Curzi ed io veniamo da un'esperienza che è stata terribile, che era l'esperienza della guerra, e allora non c'era giovane che non fosse politicamente impegnato, su fronti opposti. Però non è che si può fare una guerra per impegnare i giovani! E allora forse c'è quell'errore, che Curzi diceva poco fa, di non aver saputo trasmettere quasi nulla dei nostri interessi; c'è un errore secondo me di una generazione mentre, devo dire, i giovani non aspettano altro che trovare degli appigli, che poi… Io ho insegnato per ventotto anni regia all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica; credo che il mio invecchiamento vero stia cominciando ora, da quando ho lasciato l'insegnamento. Perché prima ero mentalmente un vampiro: questi arrivavano, leggevano con me l'Amleto, mica lo leggevano come lo leggevo io da vecchio, lo leggevano da giovani, era tutto sangue vivo, mi sentivo proprio Dracula, io succhiavo… Non aspettano altro che dare… Poi ci sono gli scemi, ma ci sono anche tra i vecchi, lo scemo è trasversale, occupa qualsiasi età. Per esempio una cosa che andrebbe assolutamente levata di mezzo è questa storia “perché io devo lavorare per pagare le pensioni?”, come se Curzi ,io, lei, lui, non pagassimo le nostre pensioni. Questo è un equivoco che bisognerebbe dissipare.

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Yari Gugliucci (attore): A me piacerebbe, stasera, sentire qualcosa da Curzi, dal Professore Camilleri, avere qualche nozione, in quanto giovane, portarla a casa e in qualche modo usarla, quello secondo me dev'essere lo scopo. A.C.: L'esperienza non è trasmissibile a parole, purtroppo bisogna arrivare a 73 anni come me per avere un minimo d'esperienza.

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Io mi ritrovo in una certa difficoltà –credo di essere il più anziano, il più vecchio di tutti i presenti- a parlare a nome dei vecchi perché, come si è detto poco fa, a seconda di come c'è nonno e nonno, nonna e nonna, c'è vecchio e vecchio; io rappresento una minoranza assoluta, praticamente inesistente, nella mia presente situazione. Io mi posso permettere il lusso di perdere giornate intere nella felicità di discorrere coi miei nipoti, cosa che non ho fatto con le mie figlie, ma sono una minoranza. La stragrande maggioranza ha altri pensieri che non i miei, c'ha il pensiero della pensione che non basta ad arrivare alla fine del mese, c'ha il pensiero di come curarsi, cioè io sono un privilegiato; quindi io posso stare ore intere a parlare con lei, ma rappresento un'eccezione, anche Curzi, rappresentiamo un'eccezione della quale Curzi e io non finiremo mai di ringraziare Dio o chi ne fa le veci, tenendo anche presente 'sto fatto, che questa impazienza dei giovani è più drammatica oggi come oggi, per una sorta di accelerazione temporale alla quale tutti siamo sottoposti, con un assurdo: che mentre il tempo accelera, noi vecchi diventiamo sempre più renitenti alla leva mortuaria, ci diamo latitanti, perché la vita si è allungata. Leggevo in Montaigne (ora, detto così sembra pazzesco, dalla mattina alla sera io leggo Montaigne, nossignore, cercavo una cosa e mi è capitato all'occhio in un piccolo posto che riassumeva i pensieri di Montaigne, un signore vissuto nella seconda metà del '500) “sono entrato nella vecchiaia, ieri ho compiuto 40 anni”: nella seconda metà del '500 si era vecchi a 40 anni. Ora io e Curzi, uscendo da qui, possiamo fare i 100 metri piani, magari arriviamo un po' affannati, col fiatone, ma ce la facciamo, e questo credo che crei più impazienza, “ma quando si decidono a levarsi di mezzo?”, al che il mio pensiero riverente e commosso va ai giovani Cinesi che fino a qualche anno fa si ritrovavano davanti Mao Ze-Dong, Lin Piao, etc., il più giovane dei quali aveva 98 anni compiuti. Ecco, con ciò ho finito le mie storielle.

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Io, se devo sognare una società, sogno una società nella quale i giovani siano messi in condizione di andarsene fuori da casa prestissimo, il prima possibile. Attenzione, perché diversamente si vive in un continuo compromesso, che è dato da questo: i ragazzi che vorrebbero non esserci, in quella casa, e che trovano una oggettiva difficoltà ad andarsene, nello stesso tempo si trovano bene; i vecchi, ai quali fa un enorme piacere (perché l'unico vero rischio della vecchiaia è la solitudine) di avere questi giovani in casa, e si crea quello stato di panne inerte di cui si parlava un attimo fa. Se i giovani venissero messi veramente nella condizione di fare, dire, fuori da questa cappa familiare… Io me ne sono andato via che avevo vent'anni, ero figlio unico, ho abbandonato la Sicilia e me ne sono venuto qua cercando di fare il mio mestiere; se fossi rimasto in Sicilia, a casa mia, ben guardato, figlio unico, non so se sarei quello che oggi sono. Bisogna dare questa possibilità, che significa lavoro, in concreto, perché se un giovane ha l'autonomia del proprio lavoro, allora sì che si scontra con una generazione che tende ancora a mantenere dei privilegi, ma si scontra dialetticamente, si scontra sui concetti, si scontra sulla concezione della vita stessa, e questo diventa positivo, altrimenti è una noia mortale!

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Bisogna avere il coraggio di ammazzare i propri vecchi con grande amore e rispetto verso i medesimi.