Giornale di Sicilia 11-04-1999

E il suo "Birraio" accende il pubblico etneo

Una Vigata che sfugge all'oleografia, un testo che addenta la scena per non lasciarla andare: "Il birraio di Preston" uno dei romanzi piu' riuscita di Andrea Camilleri, e' finalmente arrivato in scena a Catania, dove Giuseppe Dipasquale ne ha curato la regia per lo Stabile. Lo spettacolo e' strettamente legato al testo dello scrittore, che insieme al regista ne firma la riduzione. Anche se in questo caso sarebbe piu' adatto parlare di "trasposizione": "Il birraio" passa indenne dalle pagine alla scena, sale su un palcoscenico che lo accoglie in grembo senza togliergli niente, neanche qualche grammo di "polvere scritta" che qui si traduce in qualche passo un po troppo allungato su se stesso. Forse l'unica "accusa" che e' possibile indirizzare a Giuseppe Dipasquale e' proprio la mancanza di coraggio. Coraggio di "imbastardire" il testo con il teatro, renderlo piu' scorrevole, magari a scapito di qualche notazione a margine che si poteva tranquillamente dimenticare. A Dipasquale del "Birraio" e' piaciuto proprio tutto; e, tra quel bravo allievo che e', non ha voluto assolutamente tradire il "Maestro" Camilleri come era invece giusto fare. Lo spettacolo, forte di un rodaggio che sicuramente ne accarezzera' i tempi - dura oltre tre ore - , e' comunque pronto al successo: i personaggi disegnati da Camilleri e addolciti da Dipasquale raccontano la storia di un teatro che, il giorno dell'inagurazione, "brucio per un acuto troppo acuto". Si intrecciano le storie di un prefetto fiorentino che vuole imporre ai vigatesi un opera sconosciuta (Tuccio Musumeci e' riuscito a ritagliarsi un Bortuzzi che e' un gioiello di tic nervosi che guarda una Sicilia di cartone attraverso lenti spesse tre dita, che si arrabbia giocando con le "C" aspirate. Insomma una vera macchietta da grande attore), di un delegato troppo solerte (Giulio Brogi, triste siciliano poco camilleriano), di DOn Meme', mafioso di professione (un' altra macchietta da ricamo, un Armando Bandini che annusa come un topo la gente circostante), delle sorelle Riguccio (alternativamente, una vezzosa e brava Mariella Lo Giudice) del Dott. Gambacurta, medico prestato all'opera, onorevole prestato alla gente (Marcello Perracchio, divertente e sopra le righe). Infine l'innovazione del regista, Miko Magistro interpreta diversi ruoli tra cui l'autore (ma la voce di Camilleri fuori scena introduce ad ogni capitolo). Magistro non era in una delle sue serate migliori, soprattutto nel primo atto, e le sue strane sfarinature hanno qualche volta allentato il ritmo del lavoro. Al loro fianco una compagnia misurata e accorta che disegna una Vigata bizzosa e ciarliera, doce il pissi-pissi conta quanto un'accusa in tribunale. E' la Vigata di Camilleri, fatta di segni e parole non dette - difficilissime da rendere in scena, ma Dipasquale, soprattutto nella scena della storia d'amore tra Conmcetta e Gaspano ragginunge il suo massimo impegno - , di occhiate prestate, di cose sussurate tra una persiana e, in questo caso, un palco. Antonio Fiorentino non e' caduto nel tranello di cercare di descrivere Vigata, su cui ogni lettore ha ormai costruito il proprio immaginario. La Vigata del "Birraio" si innalza come il fondale del teatrino dei pupi, una porzione di Sicilia tipica come puo' esserlo un sogno. Il resto delle scene ideate da Fiorentino seguono il racconto, lo incanalano senza virtuosismi oleografici. Strana, ma azzeccata, la scelta dei costumi di Gemma Spina che ha voluto vestire (ma sarebbe piu' correttto dire svestire) gli attori come se fossero appena sopravissuti all'incendio, affidando loro mutandoni che appaiono sotto le marsine e corollari di stecche e busti. Una sala partecipe e un Camilleri commosso hanno accolto lo spettacolo.

Simonetta Trovato