QUANDO UN DETECTIVE SICILIANO PARLA GENOVESE

Ammazzatine e sale, ragionamento e sarde.

Così scorre la vicenda, raccolta nel pozzo buio della storia criminale, di Giovanni Bovara, l’ultima creatura di Andrea Camilleri. Che prende vita ne La mossa del cavallo.

di Pietrangelo Buttafuoco (AMICA, 21 luglio 1999, n.30)

L' estate italiana –lungo i pomeriggi del sale e del limone- parlerà il siciliano della letteratura d'intrattenimento. Da un pacchetto compatto rilegato di carta stampata, La mossa del cavallo, ritornerà alle orecchie, un gioiellino di scrittura sonora, lo struscio della parlata sofistica e sofisticata di Gorgia, Luigi Pirandello e Giovanni Gentile. Ancora una volta, quasi a ripetere l'epopea commerciale di Giovannino Guareschi, un nuovo successo di Andrea Camilleri.

Già scuderia Sellerio, con passaggi temporanei a Mondadori e oggi Rizzoli, l'autore principe della sbirreria da letteratura, Simenon di Porto Empedocle, inventore del Commissario Montalbano, pur venerando d'età, si conferma come il più giovane protagonista del mercato editoriale italiano. E ancora una volta, sale, ragionamento, limone e sarde. Quindi un successo della sicilianitudine, questa volta appena appena temperato da righe scritte in dialetto genovese (sono i pensieri di uno dei personaggi, Giovanni Bovara, nato a Vigata ma cresciuto a Genova) per raccontare una storia raccolta nel pozzo buio della ricca storia criminale. Dagli appunti di Leopoldo Franchetti, infatti (l'inquirente della commissione parlamentare per la Sicilia che, con Sonnino, alla fine dell'800, consegnò agli atti la celebre inchiesta), Camilleri ha preso l'episodio che ha fatto da spunto al suo ultimo romanzo. Questo: "A Barrafranca furono tirate due fucilate a un prete ricco, corrotto, prepotente, odiatissimo in paese. Circa 60 metri lontano dal luogo dove cadde il prete stava un torinese venuto in Sicilia come ispettore di molini. Questi voltava la schiena al prete. Al rumore delle fucilate si voltò e corse verso il prete il quale, prima di morire, gli disse: 'M'ha assassinato il tale, mio cugino'. Il torinese montò a cavallo e corse al paese a raccontare il fatto alla stazione dei Carabinieri, sulla strada a tutti raccontava l'assassinio e la rivelazione dell'assassino. Il prete aveva da 12 anni una lite col cugino che l'assassinò, c'era tra loro forte inimicizia; 24 ore dopo era stato arrestato come presunto autore dell'assassinio il torinese stesso e fra i testimoni a suo carico era il cugino stesso assassino del prete e tutto il processo s'informava su questa via mentre il paese intero e i comuni circonvicini diceva sotto sotto chi era l'assassino". Sofistica e sofisticata, la trama -spostando Barrafranca a Vigata- è stata rielaborata da Camilleri secondo quella procedura del racconto popolare. L'ammazzatina, ovviamente, è alla base di ogni affabulazione mediterranea. Il sangue -sollevato dall'obbligo dello spavento e dall'indignazione etica-, il sangue da epica minuscola, si combina bene con il sale e le sarde della vita quotidiana.

Il sale -per chi non è pratico di fantasticheria siciliana- è quel tanto di terra che si porta dentro il mare. Le sarde, invece, sono quella minuzzaglia di vita che il mare restituisce alla terra. Sarde e sale (con olio e pepe fanno uno dei piatti della lussuria gastronomica) sono anche i simboli di quel matrimonio impossibile tra l'acqua e il sole. Sono i simboli di quel tortuoso  percorso dell'esistenza siciliana dove la parlata, la camminata, l'arraggiunata (il ragionamento) sono inesorabilmente lenti, astuti, superiori. La mossa del cavallo è, infatti, la camminata laterale, sbieca, lungimirante. Il drappo del disvelamento siciliano non cede mai al colpo di scena, è piuttosto un estenuante spogliarello della logica.

La letteratura siciliana (che coincide con la grande letteratura italiana) è presuntuosa. Tutto ciò che è ragionato, in Sicilia, è romanzesco. "Più che ragionato", si legge in un interrogatorio, "è romanzesco". E il ragionamento presuppone anche un coinvolgimento del corpo, un atteggiamento che è una messa in scena. Si cammina a piedi aperti, si fanno più soste che passi, si evita il sole come la peste, ci si siede al tavolino del caffè e si dice: "Ragioniamo la cosa". Tutto il ragionamento è romanzo. E la sorpresa filosofica è tutta incarnata in meravigliosi personaggi che hanno la testa di Giovanni Gentile e l'analfabetismo di Giufà. Gente che, alla loro follia, concedono le lusinghe del ragionamento, non del romanzesco.

Come la storia di Barba Pitrinu, per esempio: "Di quella volta che si recitava in Chiesa, per Natale, la 'Natività di Nostro Signore' era saltato tra gli attori, aveva stretto la mano all'attrice che faceva Maria congratulandosi e le aveva spiato se la criatura appena nasciuta fosse màscolo o fìmmina". Come lo stesso porco prete, padre Carnazza, assolutamente 'mbriaco di femmine e porco dunque in quanto usuraio, non certo perchè malato di pacchio (o di sticchio). La formula Camilleri, offrire un siciliano scritto con il cesello da sembrare parlato, vince in ragione della sua capacità di raccontare storie. Quasi come un grande autore della tradizione orale, Camilleri è un contastorie che racconta a viva voce. Paradossalmente si può dire che sarebbe anche offensivo presentarlo come un semplice scrittore. Camilleri è appunto un autore che si serve di un qualcosa che non è la scrittura, ma della parlata, quel gracchio grasso e dolce ruminare su cose, uomini e ammazzatine, che fanno arrivare agli occhi l'odore delle cose, l'alito degli uomini, l'afrore delle ammazzatine. La mossa del cavallo è un malloppo di filologia della presunzione.

La scena centrale del giallo è un capolavoro della dissimulazione: "A un certo momento, tenendomi una mano (la vittima n.d.r.) articolò con difficoltà: 'Moro... moro... fu moro... cuscino’. Questo l'ho inteso perfettamente. Vossia sa dirmi che significa dalle nostre parti la parola moro? 'Uno scuro di pelle'. Solo questo? 'No, anche un moro vero, un arabo'. E basta? 'Be', vuol dire anche muoio'. Lo vede quanto ce ne vuole prima che moro addiventi un cognome?". Nel frattempo che moro diventi un cognome, dunque, si consuma un racconto. Un racconto da ascoltare con gli occhi.