la Repubblica - Venerdì, 28 aprile 2000 - pagina 39
di ANDREA CAMILLERI

Una galleria di ritratti di gente famosa e ignota, di aristocratici e plebei, divisi fra genialità e follia
NELL' ISOLA DEI PAZZI "IL CANE CHE ANDAVA PER MARE" È IL NUOVO LIBRO DI STEFANO MALATESTA DEDICATO ALLO STRANO CARATTERE DEI SICILIANI

LA SICILIA DEGLI STRAVAGANTI

Il palermitano Roberto Alajmo ha pubblicato qualche anno fa un Repertorio dei pazzi della città di Palermo che contiene fulminei ritrattini di matti noti e meno noti e non solo vivi e operanti ai giorni nostri. Infatti c' è, tra gli altri, il barone Pietro Pisani il quale, sdegnato con i suoi concittadini che, centotrentasei anni avanti, al Real Teatro Carolino, avevano decretato l' insuccesso del Così fan tutte di Mozart, aveva fatto allestire a sue spese Il Flauto magico assistendovi da solo. Lo stesso barone Pisani aveva fondato la "Real Casa dei Matti", ossia manicomio, dettando un regolamento che anticipava di molto (e forse continua ad anticipare) certa psichiatria d' oggi. Spesso usava firmare la sua corrispondenza con la qualifica "Primo pazzo di Sicilia". Insomma, il barone Pisani è il classico esempio del siciliano che ha, come afferma Pirandello nel Berretto a sonagli, tre corde in testa, la seria, la civile e la pazza e che dunque agisce a seconda di quale corda abbia in quel momento ritenuto opportuno girare. Il racalmutese Leonardo Sciascia, a proposito degli agrigentini, scrisse che erano "personaggi che l' amore di sé parossistico, ipertrofico, spingeva ai confini della follia: lucidi notomizzatori dei propri sentimenti e dei propri guai, presi fino al delirio dalla passione del "ragionare" ancor più che da quella per la donna o per la roba, intenti a difendere ossessivamente il loro apparire dal loro essere...". E già il poeta catanese Domenico ("Micio") Tempio, autore di versi audaci, ma uomo illuminato, lapidariamente aveva definito Catania "città di pazzi". E qui mi fermo, pur essendo certo che con poco tempo e con poca pazienza si potrebbe tracciare una mappa esaustiva della pazzia in Sicilia. Ed ecco che alla partita viene ad aggiungersi ora un non siciliano, Stefano Malatesta, calando un bel carico da undici col suo libro che si intitola Il Cane che andava per mare e che è pubblicato da Neri Pozza editore (pagg. 203, lire 28.000). Saggiamente, nella sua introduzione, Malatesta presenta al lettore le sue carte di credito: prima fra tutte, quella di avere comprato un "baglio" in Sicilia dove da tempo trascorre le sue vacanze e non solo quelle. Il baglio è una specie di masseria a fortino e basterebbero le righe che Malatesta dedica alla cerimonia della vendita del fabbricato del quale erano proprietari due fratelli, uno che ama e l' altro che detesta la Sicilia, per farci capire con quanta amorosa e un po' stupita ironia l' autore voglia raccontarci dei suoi personaggi. In questa introduzione Malatesta mette, come dire, le mani avanti (soprattutto, io credo, nei riguardi dei suscettibili lettori siciliani) elencando come, nel corso dei secoli, gli abitanti dell' Isola siano stati definiti geniali, estroversi, anarchici, traditori, simpatici, menefreghisti e via di questo passo, ogni definizione contraddicendo la precedente e la successiva. Lui invece, che non scrive mai la parola "pazzo", li chiama eccentrici, anzi, "gli unici eccentrici italiani". E prosegue: "la differenza starebbe in quella forma mentale che si chiama insularità, un atteggiamento dello spirito, un carattere, un modo di vedere le cose per estremi, prima ancora di essere un dato geografico". Bella dichiarazione di principio e, come dice Matteo Maria Boiardo, "principio sì giolivo ben conduce". è necessario però mettere subito in guardia il lettore perché la parola "stravaganza" potrebbe trarlo in inganno. Dire di uno che è stravagante, oggi come oggi, nei più viene a significare una sorta di dichiarazione di appartenenza a un determinato ceto: di un nobile è quasi doveroso chiamarlo stravagante anche quando gli è stata fatta indossare la camicia di forza, mentre un poveraccio lo si liquida subito chiamandolo pazzo. C' è una giustificazione: fino a qualche tempo fa, nelle famiglie nobili siciliane c' erano sempre, quasi facessero parte del blasone, uno zio, una cugina, un fratello matti da legare che venivano in gergo familiare definti "tanticchia strammi", un pochetto strambi. In genere erano dediti o a costossissime opere pie o a ricerche scientifiche come il moto perpetuo o la quadratura del circolo per le quali ricorrevano all' aiuto di un esercito di imbroglioni sedicenti astrologi o di falsi frati truffaldini che li avrebbero depredati radicalmente dei loro averi se la famiglia non fosse riuscita a tempo a farne dichiarare l' interdizione. E difatti il libro di Malatesta abbonda di nobili noti e meno noti, dai fratelli Piccolo al barone Di Stefano, dal duca Denti di Pirajno alla principessa di G. Però. Malatesta, che i lettori di Repubblica (ma non soltanto loro) conoscono intelligente viaggiatore che sa come organizzare il suo sguardo (prima guarda l' uomo e poi quello che lo circonda), anche in Sicilia si è comportato come nel Tibet o in Patagonia. Di conseguenza alla fauna del libro concorrono non solamente gli esemplari scelti che sono del resto quelli che più saltano all' occhio, ma anche piccoli borghesi, puttane, gente del popolo che lui da pazzi generosamente allinea ai nobili stravaganti. Solo che questi ultimi hanno i mezzi per esserlo, stravaganti, mentre i poveri resterebbero confinati nel loro ruolo di pazzi se non intervenisse l' occhio di Malatesta a scoprire anche in loro la nobiltà della stravaganza. Qui c' è lo straordinario ritratto, breve ma intensissimo, di una prostituta senza una gamba che lavora solo lungo i binari della ferrovia; o quello di ' u Zu Martino che stava rintanato in casa per tutto il mese di marzo, "convinto del carattere pericolosamente jettatorio del mese". Io credo che la parte più difficile sostenuta da Malatesta all' atto di tradurre il suo viaggio in libro sia stata quella della cernita degli episodi che gli sono stati raccontati. Non ho mai conosciuto un mio conterraneo che, una volta venuto il discorso sulle stravaganze dei siciliani, non abbia tirato fuori il nome di un parente o di un amico da includere nell' elenco. Perché i siciliani, tanto pudichi e schivi nell' esternazione di certi loro aspetti, della corda pazza sembrano invece gloriarsi. Per avvalorare la tesi di Malatesta che la stravaganza dei siciliani non è di una sola classe sociale, non so resistere a raccontare un mio incontro. Non ancora ventenne, mi trovai a vivere a E., il più alto capoluogo non solo dell' isola. Si era nell' immediato secondo dopoguerra. Si pativa un freddo polare, le case non avevano nessun riscaldamento, la notte andavo a letto col passamontagna. Un giorno, andando in municipio, nell' atrio venni investito da un' onda calda che proveniva da un portone sul quale c' era scritto: Biblioteca comunale. Entrai, ero solo. La biblioteca era riscaldata da stufe a legna, non un granello di polvere, i libri, tanti, ordinatissimi negli scaffali. In un angolo dello stanzone c' era un gabbiotto a vetri con un' ampia scrivania e degli schedari. Sulla parete di fondo si aprivano altre porte. Un uomo stava aggiungendo legna a una stufa. Poteva avere una cinquantina d' anni, ben vestito. Sentendomi entrare, si volse, ne vidi gli occhi chiarissimi. Mi domandò cosa volevo. Risposi che volevo quello che di solito si vuole da una biblioteca. "Allora parli col Direttore", mi disse. Mi fece entrare nel gabbiotto, mi offrì una sedia, si presentò: "Sono l' avvocato F., direttore, commesso, inserviente, custode di questa biblioteca". Diventammo amici, era un uomo coltissimo, capace di spaziare da Dante a Brancati e da Svevo a Petrarca con straordinaria agilità intellettuale, quasi acrobatica. Non vedendolo mai per strada, neanche la domenica, un giorno gli domandai: "Avvocato, che fa quando la biblioteca è chiusa?". Fece un balzo indietro, si guardò sospettosamente attorno (non c' era nessuno, mai vidi entrare un essere vivente), si calò all' altezza del mio viso e bisbigliò: "Venga domenica mattina a trovarmi". Abitava da solo in un villino a un piano, fuori paese. Mi aprì con cautela, mi fece visitare il pianoterra, dov' erano il salotto, le camere da pranzo e da letto. Poi mi portò al piano di sopra. Tutte le pareti divisorie erano state abbattute: grandi scaffalature correvano lungo le pareti e su esse c' erano apparecchi radio di tutte le marche. Un' altra ventina di apparecchi grandi, a mobiletto, creavano una sorta di labirinto al centro del quale c' era una poltrona. L' avvocato si sedette, chiuse gli occhi, premette un pulsante. Tutte le radio si accesero contemporaneamente, ognuna sintonizzata su una stazione diversa. Scoppiò un caos infernale. L' avvocato aprì gli occhi, mi sorrise: "Vede quello che faccio? Ascolto il caos del mondo". Malatesta è anche convinto, e fornisce esempi molto persuasivi, che la Sicilia, o meglio il germe della sua stravaganza, sia facilmente contagiabile. Come è il caso dello scrittore inglese Samuel Butler (che già di suo non pativa di un eccesso di normalità) il quale si era fatto persuaso che l' Odissea era stata scritta da una nobile trapanese e che tutto il viaggio d' Ulisse non era stato altro che un periplo dell' isola. O come Ulli, tedesco della Bassa Sassonia, laureato in psicologia, che ha scelto di vivere come mulattiere nell' isola di Ginostra. Ma nel primo dei racconti del libro, Malatesta si spinge ancora più in là, lasciando intendere che anche gli animali, nel caso specifico un cane, possano essere toccati dalla grazia della stravaganza. Ho scritto "racconti" e non ritratti a ragion veduta. Perché ogni capitolo di questo libro, che in sé pare concludersi nel proposito d' illustrare un carattere stravagante, non è in realtà che il tassello di un unico disegno narrativo, l' elemento singolo che concorre a una organica unità. La notevole capacità di racconto di Malatesta fa sì che i suoi personaggi, la loro ambientazione, le loro manie, sembrino del tutto inventati o quanto meno totalmente ricreati. Molti di questi personaggi già li conoscevo, ne avevo sentito lungamente parlare da altri, eppure il divertimento (che spesso sfociava nella ilarità) della lettura è stato sorprendentemente nuovo. E questo grazie alla scrittura abile, sorniona, sempre elegante di Malatesta e alla sua vocazione di autentico narratore.