la Repubblica - Sabato, 1 aprile 2000 - pagina 45
di FRANCESCO ERBANI

Con il "Dizionario" finisce la "Letteratura italiana" Einaudi. Il suo curatore fa un bilancio e guarda sconsolato all' oggi
DOPO CALVINO NIENTE

INTERVISTA AD ASOR ROSA Il panorama attuale è caotico. Non c' è più il dibattito letterario Gli autori giovani sono subalterni all' editoria L' Italia è in una condizione di minorità se solo si guarda a cosa accade negli Stati Uniti, in Irlanda o in India

Roma Lo stato di salute della letteratura italiana contemporanea gli appare tutt' altro che florido. Anzi, molto prossimo al coma. Alberto Asor Rosa ha appena concluso, con il secondo volume del Dizionario delle opere (dalla M alla Z, Einaudi, pagg. 772, lire 150.000) la fatica della Letteratura italiana che avviò presso la casa editrice dello Struzzo nel 1982 e che ora ammonta a una ventina di volumi per migliaia e migliaia di pagine, cui hanno lavorato centinaia di collaboratori. Dall' alto di questi volumoni - talvolta accusati di incombenti pretese teoriche, gli ultimi, invece, presi di mira per la lotteria delle inclusioni e delle esclusioni - la condizione presente della letteratura italiana non pare un granché. La Letteratura italiana parte da lontano, dai modi della produzione letteraria, e finisce chiudendo il cerchio sul protagonista vero di ogni letteratura e anche di ogni storia letteraria, l' opera. Partiamo da qui, professore. Visti gli abusi del recente passato era forse necessario che l' opera tornasse in primo piano. Non è così? "Uno dei difetti dello storicismo italiano era quello di assorbire l' identità degli autori e delle opere nel famigerato "tessuto storico"". Ma quando lei parla di storicismo pensa anche al suo prolungamento nel marxismo? "Indubbiamente. Nella sua versione più diffusa in Italia, il marxismo è stato una delle varianti dello storicismo. Devo dire però che la nostra Letteratura ha avuto l' ambizione di non cadere nell' eccesso opposto di tipo strutturalistico e semiologico. L' intenzione era quella di trovare un terzo punto di vista rispetto a storicismo e strutturalismo". E ci siete riusciti? "Ci abbiamo provato. Io amo parlare di una struttura che naviga nel corso della storia". In questo senso emerge anche un elemento autocritico. Non è vero? "Certo, anche per me quel rapporto fra storia e opera letteraria era più stretto di ora. Il mio Scrittori e popolo, però, non può essere accostato a quel tipo di determinismo marxista. In quel libro le forzature erano altre". Per esempio? "Erano di tipo settario, nell' uso politico del testo letterario, che mi pare comunque un vizio minoritario nel marxismo italiano". E ci sono autori che ora sente di aver trascurato in nome di quell' approccio? "Molti autori io li ho semplicemente scoperti dopo. Direi che per altri la comprensione è stata più radicale". Faccia dei nomi. "Direi subito Dante, la lettura che preferisco da dieci anni in qua. Venendo al Novecento, penso a Campana, Michelstaedter, o anche Montale che sono arrivato ad apprezzare dopo la rottura di quello schema". E' cambiata anche l' idea di classico? "Certamente è cambiata per me. Io definisco classico un autore che smuove la norma vigente al suo tempo, che la rompe e che punta alla radice delle cose, ad una condizione originaria. Gli scrittori classici non sono quelli che ambiscono ad una forma perfettamente realizzata, come potrebbe apparire in una visione tranquillizzante della letteratura. Ma quelli che danno forma al disordine. Sono sempre scrittori "radicali". Si pensi al grande sforzo di Leopardi per riconquistare un tono ingenuo per la sua poesia così colta". A prescindere dall' idea che si ha del classico, è chiaro che su tanti "classici" del passato l' accordo è unanime. Cosa succede quando si arriva al secolo che è appena terminato? "Se si applica quel criterio, molti nomi vengono alla mente anche nel Novecento. Prenda Pirandello. O il Gadda della Cognizione del dolore. Mi spingerei anche al Pasolini delle Ceneri di Gramsci. E arriverei fino a Calvino, contro il quale gira ora questa vociaccia secondo cui sarebbe uno scrittore formalista e tutto esterno". Sono gli ultimi? "Quel metro di misura si esaurisce con loro. Dopo avrei difficoltà ad applicarlo. Questi due elementi, il disordine di partenza e la forma che si raggiunge, si vedono molto meno". Ed è dunque questo il criterio che l' ha guidata per il Dizionario? "Direi che questa idea ha contato molto, anche se il Dizionario ha l' obiettivo di documentare, per quanto possibile, la produzione letteraria italiana. E dunque non può comprendere solo i picchi, ma anche le altezze medie e medio-basse. Le voci sono 2250. Le abbiamo estratte da un mare sterminato di testi. Compaiono le opere di valore assoluto. Poi quelle in cui è manifestato un alto senso di consapevolezza letteraria. Quindi quei testi che, come dire, rappresentano momenti essenziali per definire una coscienza italiana. E ci sono infine le scelte del direttore, che in certi punti ha forzato più che in altri". Quindi lei non nega che ci sia una impronta soggettiva? "E' assolutamente pacifico che ci sia". Qualcuno l' ha accusata di aver compiuto una "strage di quarantenni"... "Intanto noto che alcuni di coloro che hanno contestato le scelte non compaiono nel Dizionario. Mentre vi figurano autori che mi si imputa di aver trascurato, come Francesca Sanvitale. I quarantenni? Ho insistito molto perché vi fosse Valerio Magrelli, un poeta che mi pare superiore a molti suoi coetanei". Lasciando da parte i nomi, che impressione le fa la letteratura italiana degli ultimi due decenni? "Mi appare un panorama caotico. Non c' è più dibattito letterario, non ci sono più i luoghi del dibattito. Se è vero che il Novecento è il secolo delle riviste, vuol dire che il Novecento è finito ben prima della sua scadenza naturale. Le ricerche degli autori si sono fortemente individualizzate. E' difficile dire che facciano gruppo". Ma è un valore in sé il gruppo? "In parte sì, anche se il mio è un rilievo prevalentemente storico. Gli autori oggi, soprattutto i giovani, hanno un referente che era presente già in passato, ma non in questa forma così prepotente, vale a dire l' editore". Cosa fanno gli editori? "I libri vengono confezionati spesso all' interno di un laboratorio che comprende lo scrittore e i funzionari editoriali. Quindi ad un maggiore individualismo si affianca una maggiore subalternità all' impresa". Lei pensa ad un editing troppo pervasivo? "Non solo a questo. Io penso alla suggestione originaria: tanti libri nascono perché un funzionario intelligente dice a uno scrittore: "perché non fai un romanzo così e così"". Le viene in mente qualche caso? "Io credo che tutte le collane di autori giovani siano organizzate in questo modo". E il risultato di tutto questo qual è? "E' che non esiste una lingua letteraria italiana del nostro tempo". Come, tanto per fare un esempio, quella che venne elaborata negli anni Venti e Trenta? "Il paragone mi pare un po' estremo. Ma certo che se a uno studente universitario si chiede quale fosse la lingua letteraria di quel periodo non avrebbe tanti dubbi a definirla. Oggi è quasi impossibile, perché le forme del linguaggio letterario hanno subito un processo di centrifugazione straordinario, intersecando poi altre forme di espressione, la televisione e così via". Torniamo ai romanzi... "Sì, ma per dire che questa letteratura non ha prodotto granché. Molti tentativi ci sono. Ma mi sembra impossibile ricondurre questo magma ai criteri che mi hanno sempre guidato per leggere un romanzo". Questo vale soltanto per l' Italia? "L' Italia è in una condizione di minorità. Guardi cosa accade in Inghilterra, in Irlanda o in India. A me piacciono molto alcuni scrittori americani contemporanei. Lì la circolazione delle idee è vitale e il dibattito letterario è molto più organizzato...". Eppure in America l' editoria ha una forza imponente, domina con i suoi ritmi di produzione e taglia le gambe a chi li sfugge... "E' vero. Ma fatto sta che gli scrittori bravi sono anche più autonomi. E' come se ci fosse anche un problema di status sociale". Status sociale? "Ho l' impressione che in queste altre realtà lo scrittore, soprattutto giovane, goda di una condizione sociale più riconosciuta. E che abbia un' attrezzatura professionale più compiuta e maggiori strumenti di formazione della propria personalità. In Italia questo non si verifica. Aggiunga a tutto ciò la diffusione ridottissima dell' italiano che rischia davvero di metterci ai margini della scena letteraria internazionale". Intanto le vendite di alcuni nostri autori sono tutt' altro che insoddisfacenti. Le faccio due nomi, Camilleri - che non è giovanissimo, ma è apparso di recente come scrittore - e Baricco... "Camilleri e Baricco sono i segnacoli opposti di una cultura letteraria che non mi suscita alcun interesse. Camilleri è l' artefice di un' operazione intelligente di invenzione linguistica. Baricco fa il verso alla grande letteratura del passato. Lo fa bene, ma è solo il verso". Ma secondo lei perché vendono? "E' difficile dirlo. In generale mi pare che, in assenza di altri valori, funziona bene tutto quello che si presenta o come rielaborazione di modelli di consumo oppure come camuffamento dell' alta cultura".