Il Sole 24 ore 14 maggio 2000
Montalbano in tv
Se anche fosse un miracolo, in ogni caso il miracolo sarebbe di
quelli
annunciati: per la precisione un anno fa, con i primi due film
tratti dai
polizieschi di Andrea Camilleri. Ancora con la faccia intensa
dell'ottimo
Luca Zingaretti, per due martedì, su Raidue abbiamo visto
all'opera il
commissario Salvo Montalbano. E di rado il verbo "vedere" ha
avuto un senso
tanto forte in tivù, soprattutto in quella pensata e realizzata
in Italia.
Ossia: li abbiamo proprio visti, gli episodi "La forma
dell'acqua" e "Il
cane di terracotta", non ci siamo dovuti accontentare d'averne
una vaga
impressione, magari ripensando con rammarico ai testi
originali.
La regia (di Alberto Sironi) e la sceneggiatura (di Francesco
Bruno e Camilleri) hanno davvero tradotto in immagine la parola scritta.
Dunque,
come accade per ogni buona traduzione, hanno dato vita a
qualcosa di nuovo,
a qualcosa che - stando a una sua dichiarazione - non ha mancato
di
trasformare in spettatore appassionato, lo stesso autore dei
racconti.
E noi? A noi è capitato di rivivere (purtroppo solo per due
puntate) la
sindrome detta di E.R. Da un martedì all'altro siamo stati "in
attesa",
abbiamo considerato d'avere un appuntamento importante con il
piacere della
narrazione, con il gusto giocoso dell'identificazione, con la
festa
dell'immaginario...
Insomma, c'è accaduto quel che sempre dovrebbe accadere in fatto
di
spettacolo, e che s'è fatto da tempo evento così raro da essere
eccezione.
Miracolo o non miracolo, il Montalbano di Raidue capovolge la
strategia
televisionaria dominante. La quale è così riassumibile: gli
spettatori non
esistono, esiste solo il loro massimo comun divisore... Anzi,
no: esiste il
loro *minimo* comun divisore. Ed è al suo livello infimo che
conviene
pensare, scrivere, realizzare la tivù. Dunque le storie e i
cosiddetti
format devono puntare con decisione verso le bassure, verso la
depressione
dell'animo umano, al di sotto del grado zero della dignità, là
dove prima o
poi a tutti noi - vuoi per noia, vuoi per distrazione, vuoi per
intrinseca
ignobiltà - almeno a tratti tocca di precipitare. Il risultato
esistenzial-matematico si chiama "audience", parola inglese che
in italiano
si traduce agevolmente con "carriera" (di chi fa la tivù,
ovviamente). Camilleri, Sironi, Zingaretti e C. puntano invece in tutt'altra
direzione.
Non si rivolgono al peggio che sta in agguato in ogni
spettatore, ma al
meglio. Così gli propongono situazioni e personaggi che non
hanno la pretesa
truffaldina d'essere "normali", ma l'ambizione d'essere
straordinari. Il
risultato è, per felice paradosso, uno splendido senso di
realtà, una
gioiosa illusione di quotidianità.
Il reale e il quotidiano sono tutt'altro che normali: la loro
straordinarietà consiste nella loro specificità,
irripetibilità,
singolarità. Così è il commissario Montalbano: tanto
specifico,
irripetibile, singolare da ricordare anche a noi - annoiati,
distratti e
magari ignobili - la nostra propria specificità,
irripetibilità,
singolarità.
Ecco il segreto della sindrome detta di E.R. Ed ecco anche il
segreto
dell'eventuale miracolo. E forse non si tratta di un miracolo,
ma del
risultato d'un rispetto collettivo del mestiere: di quello della regìa, di
quello della sceneggiatura, di quello della recitazione e così
via. Che
questo sia stato possibile nella miseria televisiva italica è il
vero
entusiasmante miracolo.