La Repubblica 27.08.2000
 

Quattro libri per l'estate 

Gli «arnesi» della sua officina letteraria non conoscono praticamente sosta e ormai ci siamo abituati a veder sostare almeno tre o quattro suoi titoli sui gradini alti delle classifiche di libri. E così eccolo ora alle prese con addirittura quattro nuove creature, quattro libri ai quali sta lavorando più e meno contemporaneamente e che vedranno la luce in tempi brevi. Stiamo parlando di Andrea Camilleri, lo scrittore che con le sue opere ha diviso in due il mondo delle lettere, ma che ha raccolto a migliaia i lettori, italiani e non solo, considerate le traduzioni francesi e tedesche, davanti agli scaffali delle librerie. Nella sua vecchia casa di Porto Empedocle, a ridosso dell’antica via Roma, dove trascorre l’estate tra una passeggiata con gli amici di sempre, qualche nuotata e l’immancabile Olivetti, ci accoglie in una piccola stanza, dalla cui finestra il frastuono del traffico si mescola alla sua voce piacevolmente roca. È l’occasione per poter parlare dei suoi ultimi libri, due romanzi, una riduzione teatrale della commedia di Pirandello "La cattura" e una biografia sul grande drammaturgo agrigentino, e per commentare le reazioni del pubblico e degli addetti ai lavori di fronte a quelle cifre di vendita che hanno creato il «fenomeno Camilleri». Con La scomparsa di Patò, che sarà edito da Mondatori, lo scrittore ritorna nell’Ottocento, periodo a lui caro sin dai tempi del "Birraio di Preston", imbastendo un ordito poliziesco sulla strana storia della scomparsa di un ragioniere, Patò appunto. E lo spunto glielo fornisce Leonardo Sciascia, con l’ultima pagina di "A ciascuno il suo", quando lo scrittore di Racalmuto mette in bocca a un suo personaggio: "E’ scomparso come Patò". Ma entro quest’anno Camilleri deve consegnare alla Sellerio il laboriosissimo romanzo Il re di Girgenti, in lavorazione da diversi anni, che si ispira ad una vicenda realmente accaduta, quando la città dei templi, nel primo decennio del Settecento, divenne regno indipendente per pochi giorni, con un re contadino. «E non è stato facile – sottolinea l’autore – ricreare il dialetto contadino parlato in quegli anni». Ma a soccorrerlo è arrivato proprio Pirandello, con la sua traduzione in siciliano del "Ciclope" di Euripide. «La riduzione teatrale della novella "La cattura" è già pronta – confessa Camilleri – Questo testo me l’ha richiesto Turi Ferro per lo Stabile di Catania; eppure già da tempo lavoro ad una biografia su Pirandello, una biografia non scientifica ma interpretativa di tutta un’esistenza, basata sul suo ricchissimo epistolario e che ho intitolato Biografia del figlio cambiato». Al teatro, il suo primo amore, Camilleri ci tornerà tra pochi giorni, il 5 settembre a Catania, quando Giuseppe Dipasquale metterà in scena Troppu trafficu ppi nenti, traduzione in siciliano dello scespiriano "Tanto rumore per nulla", con Tiziana Lodato protagonista, nell’ambito dell’estate catanese da lui diretta. Ma è quando si affronta il discorso del successo smisurato, delle critiche avanzate al suo stile mescidato, alle scrollate di spalle da parte di studiosi o di critici, che Camilleri, sorpreso del fatto di essere stato inserito nel nono volume, dedicato al Novecento, della Storia della letteratura italiana diretta da Enrico Malato, si infervora, i suoi occhi si accendono e il suo tono di voce si alza: «Non so che dire a riguardo. Io vengo da una scuola severa, quella del teatro, dove il giorno appresso e poi via via sempre più distanti, uscivano dieci, quindici, venti critiche su quello che io avevo fatto come regista. L’unica volta che ho ringraziato un critico, era uno che non aveva detto bene di una mia regia: si chiamava Nicola Chiaromonte, e mi aveva dedicato sei colonne di analisi al mio spettacolo. Allora, quand’è che io mi incazzo, lo dico proprio sinceramente, quando danno giudizi su di me senza avermi letto. E chiaramente e tranquillamente lo confessano: "Io di Camilleri ho letto solo un libro, però mi è bastato quello". No, questa è una supponenza che non ammetto. Tu te li leggi tutti e sedici e poi esprimi un giudizio. Io faccio almeno così, anche con autori che non mi piacciono, ma che sono costretto da me stesso a leggere proprio per poterne dare un giudizio. Gli altri dicano quello che vogliono». Alla fine non si può non accennare all’ormai famigerato commissario Montalbano e al destino che gli riserverà il suo creatore: «E’ vero – risponde Camilleri – sono ossessionato dal mio personaggio, ma non lo farò morire io». E appena sente che Santo Piazzese, nel suo ultimo romanzo ancora non terminato, è riuscito almeno in parte, a quanto pare, a liberarsi del suo protagonista La Marca, Camilleri esclama: «Che bravo». 

Salvatore Ferlita