Corriere della sera 06.09.2000

Shakespeare più Camilleri E tutto il mondo è Sicilia 

P erché Beatrice e Benedetto parlano in modo smisurato e all’improvviso tacciono, sprofondati in un cupo mutismo? Ma in Molto rumore per nulla , una commedia che Shakespeare scrisse nel 1598, c’è anche un’altra coppia. Claudio è innamorato di Ero e non ha il coraggio di dichiararsi. A passare da mediatore sarà il principe d’Aragona, Don Pedro. E finché lo stesso Don Pedro sembrerà apprezzare Ero, Ero sarà da Claudio desiderata; quando Don Pedro, a causa delle malignità fatte circolare da Don Juan, mostrerà di apprezzarla meno, Ero sarà da Claudio meno amata. A prescindere dallo scioglimento finale degli equivoci, ciò che conta, come sempre in Shakespeare, è la meccanica del desiderio: così, stando al testo di Molto rumore per nulla . Ben diverse le cose in Troppu trafficu ppi nenti di Andrea Camilleri, messo in scena in piazza Duca di Genova a Catania da Giuseppe Dipasquale in una scenografia povero-sontuosa, sotto un arco e tra tappeti in uno spazio che diventa a ferro di cavallo (tra gli attori, Gian Paolo Poddighe, Tiziana Lodato e Alessandra Costanzo). In Troppu trafficu ppi nenti la traduzione in dialetto siciliano è dall’autore giustificata con il luogo dell’azione, Messina. Ma è sufficiente? Si sa che per Shakespeare le indicazioni geografiche sono arbitrarie. Il semplice fatto di prenderne una alla lettera implica uno stravolgimento. Inoltre, la caparbietà nel prendere la parola Messina alla lettera qui si spinge fino a colorire la fiaba con un sapore d’Oriente. È come se in fondo a un’eco che viene da lontano si schiudesse l’azione, in uno specifico modo d’essere, tutto siciliano. Nello spettacolo, cui il pubblico ha fatto festa mostrando di esigere tanto Camilleri quanto Shakespeare, i silenzi di Beatrice e Benedetto non significano l’universale paura di dichiararsi per primi, di scoprire anzitempo le carte. Significano che siamo appunto in Sicilia, dove non spetta alla donna a parlare per prima; ma neppure all’uomo, o almeno all’uomo che si voglia tutto d’un pezzo. Allo stesso modo, le altern e fortune di Ero sono effetto di niente se non di un’altra morbosità siciliana, la diceria (là dove l’untore sarebbe, appunto, Don Juan). E insomma: anche Camilleri, come Shakespeare, ha i suoi vizi, le sue ostinazioni. Per quanto la sua lingua non sia affatto, come si sa, dialetto siciliano (che cos’è poi il dialetto siciliano?), in Camilleri tutto il mondo è Sicilia. Oppure (è un’altra ipotesi, anch’essa di matrice scespiriana) tutto il mondo è teatro. Il contenzioso tra Camilleri e il teatro è un capitolo poco esplorato. Ma vi pare che vi sia una suprema malizia, una forma di saggezza estrema, nell’aver scelto proprio Molto rumore per nulla ? Non è come se Camilleri, nel suo capzioso snobismo, fosse sempre il primo (da cui la sua simpatia, unica tra gli autori di best seller) a mettere tutto in dubbio, rumori, dicerie, successi, insuccessi e traffici? 

Franco Cordelli