Una giornata dedicata al romanziere
Leonardo Sciascia nel 1947 è disposto a pagare diecimila lire pur di pubblicare il suo primo libro. Lo scrive un suo amico libraio di Caltanissetta a Luisa Saracinelli Ciuni, titolare della più importante libreria di Palermo. Seguono una serie di telefonate, per trattare il prezzo e le copie, e poi una seconda lettera. «Sciascia non è in grado di sostenere un costo superiore, però è disposto a dimezzare la tiratura da 1000 a 500». Alla fine non se ne fa niente e lo scrittore di Racalmuto pubblica, a pagamento, i suoi primi due libri (Le favole della dittatura nel 1950 e La Sicilia e il suo cuore nel ' 52) con l' editore romano Bardi. «Leonardo sborsò di tasca sua 80 mila lire per ognuno dei due libri», ricorda il suo amico di adolescenza Stefano Vilardo. «Con l' editore lo aveva messo in contatto il poeta Mario Dell' Arco che scriveva in vernacolo romano». È uno Sciascia segreto quello che viene fuori nel convegno conclusosi ieri nel suo paese natio in occasione dell' undicesimo anniversario della morte. Gli amici, ai margini delle relazioni ufficiali, danno la stura ai ricordi. E lo scrittore ritrova così soprattutto una sua dimensione umana. Eccolo regista, mentre mette in scena nel bellissimo teatro di Racalmuto I nostri sogni, una delicata commedia sulla gioventù che passa, di Ugo Betti. «Era il 1943 ricorda Aldo Scimè, presidente della fondazione intitolata allo scrittore e Leonardo si cimentò nella regia. Fu un successone e con l' incasso comprammo maglie di lana per i nostri soldati in Russia. Poi, cominciò a insegnare e a scrivere e rinunciò al cinema e al teatro che erano al centro delle sue aspirazioni». Il teatro, dopo anni di degrado, sta per essere riportato agli antichi splendori. A marzo, finito il restauro, verrà riaperto. «Perché non inaugurarlo mettendo in scena proprio la commedia di Betti?», suggerisce il pittore Gaetano Tranchino, che di Sciascia ricorda la "dialettica del silenzio". «Parlava con impercettibili movimenti del corpo. Un battito di ciglia, un sorriso ironico, valevano più di tante parole. Mi metteva soggezione». Sciascia non guidava e per i suoi giri nelle gallerie palermitane e per le sue scorribande nell' isola in cerca di tesori d' arte nascosti si avvaleva dei mezzi degli amici. In tanti si contendevano l' onore di fargli da autista: Stefano Vilardo, il critico Natale Tedesco, l' avvocato Angelo Perna, il giudice Franco Nasca, il poeta dialettale Nino De Vita. Deve essere una tradizione tutta siciliana quella degli artisti senza patente. Anche Bufalino era appiedato. E anche Consolo lo è. È l' autore del Contesto a spingere Andrea Camilleri a scrivere. Il padre di Montalbano gli porta un fascio di documenti su una strage accaduta a Porto Empedocle suggerendogli di scrivere un libro. Ma Sciascia lo esorta a scriverlo lui. «Ma io non so scrivere come te», si schermisce Camilleri. La risposta non ammette repliche: «Per questo devi scriverlo tu». Sciascia era anche un grande cuoco («Alla Noce cucinava una pasta al tonno impareggiabile», ricorda il pittore Piero Guccione) e un allegro compagnone. Alcuni scherzi organizzati dalla sua comitiva di amici intellettuali sono rimasti famosi. Come quando spediscono fino a Catania un docente con velleità letterarie a un falso appuntamento con un vero editore. O come quando assecondano Natale Tedesco, che si crede un grande intenditore di vino. A casa di Sciascia gli fanno degustare il vino da una bottiglia senza etichetta. Lui sentenzia: è un Corvo di Salaparuta del 1930. Tutti strabiliati ad applaudire. Il poveraccio non sospetta che la combriccola si è messa d' accordo per confermare qualsiasi marchio e annata avesse detto.