Avvenire 13.12.2000
POLEMICHE Sotto accusa il narratore del momento: banalizza i drammi dell'isola?
I siciliani si dividono sull'Antimafia di Montalbano
Bonura: folklore che diventa colpevole Pasqualino: ma è un antidoto al pessimismo
Rebulla: l'Italia di oggi si riconosce in Camilleri come prima si identificava in Guttuso e Sciascia


E' da tre anni in testa alla classifica dei libri più venduti, lo scrittore Andrea Camilleri (l'ultimo è La scomparsa di Patò, Mondadori), dividendo la critica, ma non i lettori: evidentemente, si pensa, come per ogni best seller, va a toccare delle corde profonde. Ma lunedì, sulla prima pagina del “Corriere”, è uscito un articolo di Francesco Merlo piuttosto duro, che accomuna, in qualche modo, la prosa (la “retorica”) della Commissione parlamentare antimafia, e quella dello scrittore Camilleri, che viene tra l'altro definito “il massimo e forse l'ultimo geniale divulgatore di successo” di una “Sicilia immaginaria”, di “macchiette e di stereotipi”. Criticando lo stesso concetto di “sicilitudine”. Merlo accenna tra l'altro alle voci di una candidatura di Camilleri al Senato per i Ds. Mentre l'autore colpito - ci hanno detto - non intende replicare a Francesco Merlo, lo scrittore e critico Giuseppe Bonura, che in passato sulle pagine di Avvenire non aveva risparmiato critiche a Camilleri, sostiene: “Abbiamo a che fare più con un letterato, uno scrittore da anni Cinquanta, da commedia all'italiana. Anche il suo mescolare dialetto e italiano avviene senza un vero criterio estetico. Per Sciascia la mafia in Sicilia è un dramma universale, è, diceva, come le palme della Sicilia, dappertutto. Per Camilleri è folklore. In un certo senso la risata, le "barzellette" vanno a riscattare la tragedia dell'isola che ha inventato la mafia”. Dal punto di vista della prosa, per Bonura, che concorda con Merlo, rispetto alla realtà “sono fasulli il linguaggio dell'Antimafia e quello di Camilleri”. Difende Camilleri, invece, un altro scrittore siciliano, Fortunato Pasqualino: “Di Sicilie come di Rome ce ne sono tante, come gli occhi che le vedono. C'è anche una Sicilia ancora arcaica. Non c'è solo la Sicilia della mafia, vista col pessimismo di Sciascia. Lo stesso Goethe trovò nell'isola una chiave di tutto. La Sicilia può essere un ponte tra le civiltà che vi si sono contrastate o fuse”. Camilleri, dice Pasqualino, “guarda con un sorriso, oltre l'angustia: così era anche con Pirandello, un po' meno con Verga. Camilleri è la Sicilia di un certo sorriso. Dobbiamo uccidere il sorriso? Ma neanche per sogno. Lo diceva già Cicerone: i siciliani non si trovano mai così a mal partito che non sappiano uscirne con un po' di sorriso. Questo da Epicarmo a Pirandello. Anche le tragedie greche avevano uno spunto satirico. Si deve vedere la realtà nella sua sconfinata pienezza. Non trovo giusto ridurre la Sicilia a mugugno, a pessimismo professionale”. O ancora, dice Pasqualino, c'è la Sicilia di Vittorini, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia, che sarebbe però “superato perché aveva un concetto riduttivo di Sicilia. Pessimismi e ottimismi bruciano la terra dei giudizi e non sono veri”. “Quanto al fenomeno mafia, non va dimenticato - aggiunge - che è "internazionale" almeno dal dopoguerra. C'è una mafia russa, una cinese, innumerevoli mafie, perfino una mafia ebraica. A New York stanno studiando questo fenomeno come internazionale”. Al di là del caso Camilleri, a Eduardo Rebulla, altro autore siciliano, quello di Merlo sembra “un articolo di amore e di attenzione verso la terra in cui vivo. Attento a non offrire il destro alla retorica dilagante, che è quella pubblicitaria, per cui le parole sono carta da confezione. Un bel gesto d'amore”. Che però ha un bersaglio, Camilleri... “Sì - dice Rebulla -, ma anche il politico che svuota le parole di significato, il linguaggio della commissione antimafia che svuota la realtà. Camilleri lo fa, se lo può consentire, in un territorio che ama”. “Ma è quello di Camilleri - dice - un fenomeno interessante. Nonostante la critica, l'età, una piccola casa editrice, la Sellerio, che ha rivitalizzato. È un autore che ha avuto un grandissimo successo per il tam tam tra i lettori. Scrive di una Sicilia che non c'è più. Questo termine, "sicilitudine", è così abusato... Per me e per Michele Perriera che viviamo qui, scrivere è sentirsi in una realtà italiana, non certo in una appartenenza regionalistica. I costumi sono quasi uguali dappertutto, ben oltre il fenomeno mafioso. Camilleri è più vicino a una realtà di cui ha scritto Brancati. Quando esco dalla Sicilia, mi sento sempre dire: "Montalbano sono" (il personaggio di Camilleri, ndr)”. In generale, secondo Rebulla, andrebbe approfondita la nuova realtà siciliana: “A Palermo non si spara quasi più, c'è un nuovo andamento della mafia, ci sono novità che invece non vengono colte, come la trasformazione del pentitismo. Così l'Antimafia offre un'immagine più vicina a Camilleri che alla realtà vera. Il gioco della retorica dello scrittore finisce col diventare quello del politico. Ma anche la letteratura d'evasione ha legittimità. Guttuso, negli ultimi vent'anni, era diventato un pittore nazionale, ma offriva un modello di fare arte di maniera: e non c'è stato un dopo-Guttuso. Credo che oggi l'Italia senta il bisogno di uno scrittore di riferimento per identificarsi. Prima di Camilleri, c'era Sciascia”.
Pierangela Rossi