Il messaggero 16.06.2000 

Andrea Camilleri studente immorale 
Anticipazioni/Da un libro-intervista di Marcello Sorgi, pubblichiamo un brano sulle disavventure amorose dello scrittore ventenne. Espulso dall’Accademia d’arte drammatica per i suoi ”eccessi” 

di MARCELLO SORGI 
«HO fatto questo concorso (all’Accademia Nazionale dell’Arte Drammatica, n.d.r.), ma non per fare teatro, anche se l’avevo fatto con filodrammatiche, ma esclusivamente per venirmene a Roma ed entrare in contatto con l’ambiente letterario. E quindi io ogni giorno dalle 8 alle 12 stavo in un’aula grandissima, solo con Orazio Costa, uno dei più grandi registi italiani, un mastro di tanti di noi, registi e attori. Quando nel ’50, neppure dopo l’entrata in Accademia, venni costretto ad andare via per condotta disdicevole, fu lui che mi aiutò a restare a Roma e a campare». 

Cosa avevi combinato per farti cacciare dall’oggi al domani? 
«Vuoi proprio raccontarlo, questo episodio? Nell’estate del ’50 io con tutta l’Accademia, primo, secondo e terzo anno, più alcuni attori professionisti di grandissimo livello, che allora erano giovani giovani, Nino Manfredi, Rossella Falk, Tino Buazzelli, o che si erano diplomati due o tre anni prima del mio ingresso in Accademia, Paolo Panelli, Bice Valori, insomma tre quarti del teatro italiano dei successivi quarant’anni, partecipammo a questo enorme spettacolo di Orazio Costa. Io facevo anche l’aiuto, oltre a dire due battute. E poi c’era anche gente non dell’Accademia: Orazio aveva un fiuto straordinario, prese per esempio un giovane che si chiamava Enrico Maria Salerno. «Le prove di Orazio si svolgevano dalle 10 del mattino all’1, dalle 2 alle 8, dalle 9 a mezzanotte. Io avevo una ragazza, un’attrice, una futura attrice. Quando arrivammo, ci divisero, i ragazzi li misero nel convento dei francescani, le ragazze nel convento delle clarisse. Non potevamo più vederci. Eravamo in due in queste condizioni: io e il mio fraterno amico Luigi Vannucchi. Io ero piuttosto contrariato di questa separazione. Un giorno me ne lamentavo con un’attrice. E lei mi fa: "Che scemo. La chiave ce l’ho io, la sera accompagnaci tu nel convento delle clarisse, io per salutarti ti do la mano e te la passo di nascosto". Le cose cominciarono a cambiare. Le ragazze si organizzarono, cominciarono a dormire due, tre in una stanza in maniera che in una stanza ci fossi io con la mia ragazza e in un’altra stanza, in una cella, Gigi Vannucchi con la sua. Così andammo avanti per una quindicina di giorni con una conseguente, ma lieta, per noi ragazzi di quell’età, riduzione dei già ridotti tempi di dormita. Alle 4 del mattino io zompavo dalla finestra bassa e me ne tornavo nel convento dei francescani. Sebbene avessimo poco più di vent’anni, la stanchezza tuttavia cresceva. «Così una mattina non mi svegliai e la madre superiora mi scoprì a letto con la fidanzata. Ricordo benissimo: mi svegliò il tonfo di lei che, svegliata a sua volta dall’ingresso improvviso della suora, per lo spavento era caduta per terra. Io feci quel che potevo, raccolsi tutto impacciato le mie cose e mi gettai dalla finestra. Ma oramai ero stato identificato. «Fu uno scandalo mostruoso, mi venne comunicato il ritiro della borsa di studio: modo indiretto di cacciarmi dall’Accademia. E mi trovai d’improvviso in una situazione difficile, nel senso che non avevo più i soldi per mantenermi a Roma. Allora una gentile signora di Agrigento, il cui marito era un importante uomo politico della dc, che mi voleva un bene dell’anima, questa signora, saputa la storia, prese e scrisse una bellissima lettera a Giulio Andreotti, sottosegretario allora alla presidenza e quindi con competenza sullo spettacolo. Non passarono manco quindici giorni e Giulio Andreotti rispose con una lettera che conservo nella quale mi dice: "Caro Camilleri, certo che io l’aiuterò nel limite del possibile, ma sappia che lei fa il regista, che ogni regista ha il suo aiuto regista, ma insomma in qualche modo mi occuperò della sua faccenda". Infatti dopo circa una ventina di giorni mi telefonarono dalla Minerva Film che aveva due grandi produttori: Mosco e Potios. Erano due greci che garantivano i soldi che le banche davano loro con una collezione di pitture moderne italiane favolose: tu ti incantavi, Morandi, Carrà, De Chirico. Mi diedero da leggere le sceneggiature: "Quelle che ti interessano segnalacele". E mi pagarono con cinque stecche di sigarette di contrabbando alla settimana». 

Unica paga. 
«Unica paga, cinque stecche». 

Che tu rivendevi. 
«Che io rivendevo, che altro potevo fare? Fumarmele tutte? La cosa andò avanti per un po’ di tempo. Poi lo stesso Andreotti mi mandò un’altra lettera in cui diceva che dovevo andare da Turi Vasile, un altro produttore, che forse mi avrebbe preso nella produzione di un film. Andai, il film era "Processo alla città" di Zampa. Tutto il mio compito fu quello di andare a comprare le sigarette a Zampa». 

Ti eri in qualche modo specializzato in questa banca delle sigarette. Le vendevi e le compravi, le vendevi di contrabbando e le compravi al monopolio. 
«Sì, ma andavo avanti stentatamente. L’anno dopo, Sandro d’Amico, che si era ricordato di me, mi chiamò all’Enciclopedia dello Spettacolo perché nel frattempo ci eravamo conosciuti, aveva visto che io sapevo parecchie cose di teatro. Mi assunse come redattore dell’Enciclopedia e io nel giro di un anno diventai redattore stabile per il teatro francese e italiano contemporaneo. L’Enciclopedia mi ha consentito di sposarmi e di fare un sacco di altre cose»